Con la procedura di infrazione aperta dall'UE contro l'Italia si rischia davvero lo stop dell'assegno unico per figli a carico? L'Europa chiede eliminare il requisito dei 2 anni di residenza nel Paese
L’assegno unico per i figli a carico rischia di scomparire?
Questa è la prospettiva evidenziata dalla Premier Meloni se la procedura di infrazione aperta dall’UE dovesse confermare l’obbligo di adeguamento.
Ma cosa chiede davvero l’Europa all’Italia per quanto riguarda la prestazione?
La procedura contesta una discriminazione causata dal requisito per ottenere l’assegno legato alla residenza in Italia per almeno 2 anni nello stesso nucleo familiare insieme ai figli, che violerebbe le norme UE in materia di coordinamento della sicurezza sociale e di libera circolazione dei lavoratori.
Assegno unico verso lo stop? Cosa chiede davvero l’Europa all’Italia
Il futuro dell’assegno unico potrebbe essere a rischio. La prestazione erogata alle famiglie con figli a carico, infatti, rischia di essere cancellata se la procedura di infrazione avviata lo scorso novembre dovesse portare all’obbligo di adeguamento.
Questo almeno il punto di vista della Premier Giorgia Meloni, che intervenuta il 3 giugno nella trasmissione televisiva di Rete 4, Quarta Repubblica, ha puntato il dito contro l’Europa per aver messo a rischio la prestazione dopo aver evidenziato una presunta dimensione discriminatoria dell’assegno unico.
“È la dimostrazione del perché l’Europa va cambiata. Perché fa delle cose che sono oggettivamente surreali. [...] E quando i Governi cercano di dare una mano alle famiglie del loro Stato membro per fare dei figli, ti fanno le procedure di infrazione, facendo una cosa che chiaramente per noi vuole dire, se loro alla fine avessero ragione, dover rinunciare all’assegno unico.”
L’assegno unico per i figli a carico, quindi, rischia davvero di scomparire? Facciamo un passo indietro.
Assegno unico: in cosa consiste la procedura di infrazione UE
Tutto è partito a febbraio 2023 quando la Commissione Europea ha dapprima inviato una lettera di costituzione in mora e successivamente, a novembre, un parere motivato che ha dato il via al procedimento di infrazione.
Questo parere (INFR(2022)4113) riguarda il mancato rispetto delle norme UE in materia di coordinamento della sicurezza sociale (regolamento (CE) 2004/883) e di libera circolazione dei lavoratori (regolamento (UE) n. 492/2011 e articolo 45 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea).
Nello specifico, le criticità si riscontrano nei requisiti di accesso all’assegno unico. Come noto, la normativa prevede solo una condizione per accedere al beneficio ed è relativa al possesso di specifici requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata della prestazione, per cui i beneficiari devono essere:
- cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione europea oppure essere cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea in possesso del permesso di soggiorno.
- soggetti al pagamento dell’imposta sul reddito in Italia;
- residenti e domiciliati in Italia;
- residenti in Italia per almeno 2 anni, anche non continuativi, ovvero essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata almeno semestrale.
Secondo il parere della Commissione, questa normativa, in particolare il requisito di residenza di almeno 2 anni e a condizione che vivano in uno stesso nucleo familiare insieme ai figli, viola il diritto dell’UE, in quanto non tratta i cittadini dell’Unione in modo equo, e pertanto si qualifica come discriminazione.
Il regolamento sul coordinamento della sicurezza sociale, infatti, vieta qualsiasi requisito di residenza ai fini del riconoscimento di prestazioni di sicurezza sociale, come appunto gli assegni familiari.
Proprio sulla base di queste motivazioni, la Commissione ha chiesto all’Italia di adeguarsi al diritto comunitario. In caso contrario può decidere di deferire il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale può emettere una sentenza che obblighi lo Stato a conformarsi. In mancanza di tale adeguamento può essere imposto un pagamento di sanzioni pecuniarie.
Assegno unico: possibile una modifica dei requisiti di accesso?
Stando così le cose la prestazione per i figli a carico non dovrà necessariamente essere bloccata. La Commissione non ha chiesto di eliminare l’assegno unico ma solo di rivedere il requisito di residenza così da conformarlo a quanto previsto dal diritto europeo.
Il Governo, quindi, potrebbe decidere di intervenire con delle modifiche ai requisiti di accesso per “correggere” gli aspetti evidenziati dalla Commissione, in sostanza eliminando l’obbligo di residenza di 2 anni.
La prestazione ad oggi vede il coinvolgimento di più di 6 milioni di nuclei familiari e rappresenta probabilmente il principale supporto alle famiglie con figli. Si tratta senza dubbio di uno sforzo importante che prevede l’impiego di molte risorse.
Proprio per questo motivo, sottolinea la Premier, aprire a un numero molto maggiore di famiglie, eliminando il requisito di residenza, potrebbe rivelarsi un carico troppo grande da sopportare per le finanze dello Stato.
“Chiaramente se io devo andare a dare l’assegno unico a tutti, non solo ai comunitari, ma anche agli extracomunitari che lavorano in Italia ma che hanno i figli in patria, io non lo reggo.”
Una questione che complicherebbe anche il calcolo dell’ISEE, il parametro sul quale viene definito l’importo dell’assegno spettante, e sulla quale Giorgia Meloni ha annunciato di voler “dare battaglia”, sperando che “la Commissione di domani possa essere un po’ più pragmatica”.
Non resta che attendere per capire quale sarà il futuro della prestazione per i figli a carico.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Assegno unico verso lo stop? Cosa chiede davvero l’Europa all’Italia