Con la sentenza n. 10577 del 2024, la Corte di Cassazione ha chiarito alcuni profili del transfer pricing, come il valore normale e il principio di libera concorrenza
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 10577 del 2024, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di transfer pricing.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento per IRES anno 2009, avente ad oggetto la rettifica del reddito fondata sul disconoscimento di costi per effetto della riqualificazione al c.d. “valore normale” - ai sensi dell’art. 110, comma 7 del Tuir - dei corrispettivi delle negoziazioni intercorse tra la società italiana e alcune società collegate residenti in Cina.
Transfer pricing, tra valore normale e principio di libera concorrenza: il caso di specie
Nella prospettazione dell’Ufficio le società cinesi avevano praticato alla società italiana prezzi superiori al valore normale, con l’effetto di trasferire surrettiziamente in Cina utili che avrebbero dovuto invece emergere in Italia ed essere ivi tassati.
La contribuente proponeva ricorso avanti alla Commissione Tributaria Provinciale, che lo rigettava con sentenza poi riformata dalla Commissione Tributaria Regionale.
L’Amministrazione finanziaria proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, la violazione dell’art. 110, comma 7, del Tuir e dell’art. 2697 cod. civ., per avere il giudice di secondo grado, senza censurare l’utilizzo del metodo del costo maggiorato (Cost plus method) da parte dell’Agenzia delle Entrate, accolto l’appello della contribuente, ritenendo che l’Ufficio non avesse fornito la prova della comparabilità delle imprese assunte a termine di paragone, né avesse in altro modo dato prova della divergenza dal valore normale dei prezzi praticati dalle società controllate cinesi alla società italiana.
Secondo l’Amministrazione ricorrente, del resto, la CTR le aveva così indebitamente imputato l’onere di dare prova della non corrispondenza al valore normale dei corrispettivi praticati fra le società collegate, laddove l’Agenzia delle Entrate, attore in senso sostanziale, era sì gravata dell’onere di fornire un’adeguata motivazione circa il possibile scostamento dal valore normale dei prezzi effettivamente praticati, ma - in considerazione della inevitabile asimmetria informativa che caratterizza il rapporto – era comunque il contribuente a dover dare, in ultima analisi, la dimostrazione della correttezza dei prezzi, fornendo una credibile spiegazione per i “sorprendenti” mark up praticati dalle sue consociate cinesi.
La Suprema Corte, nel ritenere infondata la censura, rileva che l’art. 110, comma 7, Tuir è stato modificato dall’art. 59, comma 1, d.l. 24 aprile 2017, n. 50 ed integrato con il d.m. 14 maggio 2018, contenente le linee guida interne per l’applicazione delle nuove disposizioni, richiamando in maniera espressa il principio di libera concorrenza in luogo del valore normale contenuto nella previgente formulazione della norma.
In particolare, il d.m. 14 maggio 2018, nel dettare le linee guida per l’applicazione della normativa in parola, individua sei metodi per la determinazione dei prezzi di trasferimento conformi al principio di libera concorrenza - metodo del confronto di prezzo; metodo del prezzo di rivendita; metodo del costo maggiorato; metodo del margine netto della transazione; metodo transnazionale di ripartizione degli utili -, ponendoli sullo stesso piano e prevedendo, nel contempo, che il contribuente possa applicare un metodo diverso “qualora dimostri che nessuno di tali metodi può essere applicato in modo affidabile (...) e che tale diverso metodo produce un risultato coerente (...)”.
Transfer pricing, tra valore normale e principio di libera concorrenza: il parere della Cassazione
Tuttavia, come rileva la stessa Cass. 17/05/2022, n. 15668, già prima della novella legislativa – quindi anche con riguardo alla normativa applicabile alla fattispecie in esame - la prospettiva interpretativa della dottrina e della giurisprudenza si era già allineata al principio di libera concorrenza enunciato nell’art. 9 del Modello di Convenzione OCSE (che, pur non avendo valore normativo, costituisce una raccomandazione diretta ai Paesi aderenti: ex plurimis, Cass. 05/03/2020, n. 6242), il quale prevedeva la possibilità di sottoporre a tassazione gli utili derivanti da operazioni infragruppo che fossero state regolate da condizioni diverse da quelle che sarebbero state convenute fra imprese indipendenti, in transazioni comparabili effettuate sul libero mercato tra soggetti indipendenti.
Infatti, secondo le Linee Guida OCSE (OECD Guidelines, 1995), la selezione di un metodo di determinazione dei prezzi di trasferimento si pone sempre l’obiettivo di trovare il metodo più appropriato ad un particolare caso. A questo scopo andrebbe, tra le altre, considerato il grado di comparabilità tra transazioni controllate e transazioni tra imprese indipendenti, compresa l’affidabilità degli aggiustamenti di comparabilità che siano necessari per eliminare le differenze significative tra di loro.
Nell’indicare i criteri di selezione dei metodi tradizionali, le linee guida OCSE si soffermano poi, sul Cost plus method, che stabilisce che (v. punto 2.47 e ss. OECD Guidelines) “(…) una transazione tra parti indipendenti è comparabile con una transazione tra imprese associate ai fini del metodo del costo maggiorato, se è soddisfatta una delle due seguenti condizioni: a) nessuna differenza (nel caso in cui esistano) tra le transazioni comparate o tra le imprese che avviano dette transazioni influenza sostanzialmente la percentuale di ricarico sul libero mercato o b) possono essere apportati aggiustamenti adeguati allo scopo di eliminare gli effetti sostanziali di dette differenze”.
Con specifico riguardo al tema dell’onere della prova, la Cassazione ricorda poi che l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità, già al tempo dell’emanazione della sentenza resa dalla CTR, aveva abbandonato la considerazione della natura dell’art. 110, comma 7, TUIR come clausola antielusiva, a ciò conseguendo l’ulteriore principio secondo cui la disciplina di cui all’art. 110, comma 7, d.P.R. n. 917 del 1986 non richiede di provare, da parte dell’Amministrazione, la funzione elusiva, bensì la sola esistenza di “transazioni” tra imprese collegate a un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, mentre grava sul contribuente, in virtù del principio di vicinanza della prova ex art. 2697 c.c., l’onere di dimostrare che tali “transazioni” sono intervenute per valori di mercato da considerare normali ai sensi dell’art. 9, comma 3, del medesimo decreto, tali essendo i prezzi di beni e servizi praticati in condizioni di libera concorrenza, al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e luogo in cui i beni e servizi sono stati acquistati o prestati e, in mancanza, nel tempo e luogo più prossimi e con riferimento, in quanto possibile, a listini e tariffe d’uso, non escludendosi dunque l’utilizzabilità di altri mezzi di prova (cfr., Cass., 19 maggio 2021, n. 13571 e Cass., 8 maggio 2013, n. 10742).
I giudici di appello si erano quindi conformati a tali principi, evidenziando che le sei società cinesi erano state selezionate in un parterre di 44 imprese, quali soggetti terzi comparabili, sostanzialmente in base alle seguenti caratteristiche, come indicate dall’Amministrazione nell’avviso di accertamento:
- presentano lo stesso codice attività anche se non producono gli stessi beni;
- non sono titolari di “Intangible fixed assets”;
- appartengono alla medesima area geografica;
- hanno conseguito un volume di affari equivalente.
La Commissione Tributaria Regionale aveva però ritenuto che l’Amministrazione non avesse correttamente identificato il parametro rispetto al quale identificare il prezzo “normale” da cui la società contribuente si sarebbe discostata, osservando in particolare che “Nel caso di specie non solo la tipologia delle sei aziende prescelte a comporre il campione di riferimento presenta ineccepite incongruenze quanto meno in riferimento alla incoerente tipologia di produzione - e.g. cabine, serbatoi, ingranaggi e simili vs filtri ad alta tecnologia - ed alla localizzazione geografica - considerata altresì la remota localizzazione di aziende del campione all’interno della Cina in confronto con la localizzazione delle due controllate situate direttamente nella stessa area portuale di Shanghai - ma soprattutto non risulta essere stata data alcuna dimostrazione e/o evidenza delle “funzioni, rischi o investimenti” comparabili delle sei società del prescelto campione, risultando assente qualunque specifica descrizione relativa a progettazione, produzione, assemblaggio, ricerca, acquisti, distribuzione e marketing, stante che gli unici dati resi disponibili sono quelli di bilancio”.
E secondo la Cassazione tale ricostruzione era ineccepibile.
In conclusione e a prescindere dallo specifico caso processuale, giova evidenziare che in tema di transfer pricing, la regola di giudizio del canone di normalità del prezzo di transazione, come il relativo onere probatorio, sono a carico dell’Ufficio, senza che abbia rilievo la finalità elusiva di parte contribuente.
Ciò che l’Amministrazione deve provare - a superamento del dato documentale risultante dalla pattuizione degli specifici prezzi di trasferimento infragruppo - è dunque che le transazioni - ove condotte tra soggetti indipendenti - avrebbero generato un maggior reddito imponibile per la società contribuente residente (cfr., Cass., n. 1374 del 18.01.2022, Cass., 16 gennaio 2019, n. 898), ricorrendo a tal fine alla metodologia indicata dall’art. 9 Tuir (cfr., Cass., 18 settembre 2015, n. 18392; Cass., 19 aprile 2018, n. 9673), come integrata dalle linee guida OCSE (Cass., 18 giugno 2020, n. 11837).
Solo ove risulti provata l’esistenza di un prezzo di transazione non comparabile con quello che sarebbe stato praticato con una impresa indipendente in analoghe condizioni di mercato, sorgerebbe dunque l’onere della contribuente di provare che tali transazioni sono in realtà intervenute per valori di mercato da considerarsi normali (cfr., Cass., Sez. V, 19 aprile 2018, n. 9673; Cass., Sez. V, 15 novembre 2017, 27018; Cass., Sez. V, 15 aprile 2016, n. 7493; Cass., 30 giugno 2016, n. 13387; Cass., Sez. V, 18 settembre 2015, n. 18392), dando contezza delle eventuali ragioni commerciali per le quali la stessa transazione è stata conclusa (cfr., Cass., n. 1232/2021; Corte di Giustizia UE, 8 ottobre 2020, Pizzarotti, C-558/19, punto 36).
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