Cessione del credito, sconto in fattura e bonus fiscali edilizi: facciamo chiarezza

Salvatore Cuomo - Irpef

Il Decreto Legge numero 11/2023 è un provvedimento inevitabile, ancorché perfettibile, che blocca tout court il mercato dei crediti fiscali edilizi. L’analisi di un atto oggetto di forti critiche e fonte di infiniti dibattiti

Cessione del credito, sconto in fattura e bonus fiscali edilizi: facciamo chiarezza

L’iniziativa del Governo sul blocco della cessione del credito e dello sconto in fattura ha alzato un polverone di polemiche e proteste che, condivisibili o meno, stanno comunque portando all’attenzione il tema dei crediti incagliati che il sistema bancario non è attualmente in grado di assorbire ulteriormente, se non con grandi difficoltà.

Il provvedimento può in estrema sintesi essere esplicato con il seguente elenco:

  • per i lavori già formalmente iniziati non cambia nulla;
  • per i nuovi lavori resta la detrazione in dichiarazione dei redditi;
  • le Pubbliche Amministrazioni non possono acquistare crediti.

Inoltre, introduce una salvaguardia per i cessionari estranei ad atti dolosi dalla corresponsabilità se in possesso di un preciso elenco di documenti

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Cessione del credito e sconto in fattura, nessun blocco dei bonus fiscali edilizi

Nessun blocco dei bonus fiscali edilizi è stato quindi previsto dal provvedimento del Governo Meloni sul blocco della cessione del credito e dello sconto in fattura.

In Europa non risultano in essere iniziative in termini di ampiezza analoghe a quella italiana nel realizzare un mercato dei crediti d’imposta (cd moneta fiscale).

Luca Ascoli, direttore del dipartimento statistiche sulla finanza pubblica di Eurostat, in una recente audizione parlamentare in commissione Finanze al Senato, sottolinea che il caso è già da tempo studiato insieme all’Istat, non solo con riguardo alla definizione di una comune regola di rilevazione statistica, ma anche dal punto di vista dell’impatto sui conti pubblici. Con particolare riferimento alla corretta rilevazione del deficit.

Intanto, il punto fermo resta che il credito d’imposta in se non rappresenta debito e va pertanto rilevato nell’anno della sua fruizione alimentando il deficit di quell’esercizio.

Ma ecco la novità impattante sulla corretta imputazione del credito fiscale.

L’aggiornamento del manuale Eurostat sul disavanzo e sul debito pubblico pubblicato lo scorso 1° febbraio contempla una nuova sezione dedicata ai crediti d’imposta e alla loro classificazione contabile: pagabili o non pagabili:

  • sono pagabili i tax credit per cui la spesa da parte del Governo sorge al momento dell’evento generatore del credito;
  • mentre sono non pagabili quelli che provocano una spesa immediata ma riducono le entrate tributarie future.

Per la corretta classificazione dovranno essere considerati tre aspetti:

  • la trasferibilità;
  • la possibilità di compensazione;
  • la differibilità negli anni successivi.

Sempre secondo Ascoli la trasferibilità in particolare è il criterio più importante da considerare in quanto

il fatto che sia trasferibile urbi et orbi aumenta di molto la probabilità che un giorno che il credito di imposta sarà utilizzato

In ogni caso ai fini dell‘impatto sui conti pubblici se un credito fiscale vale 100 ed è pagabile, la spesa di 100 è da iscrivere tutta nell’anno in cui il credito sorge.

Se, invece il credito da bonus è spalmabile in cinque, la spesa imputabile a deficit è del 20% per ogni anno, ma la somma finale sempre 100 resta.

Come peraltro già espresso da Lucia Albano, sottosegretaria al MeF, nel corso di una interrogazione a risposta immediata tenutasi nel gennaio 2023 in Commissione Finanze della Camera.

L’impatto sui conti pubblici dei nuovi criteri

Fermo restando che lo stesso Ascoli ha ribadito che è comunque compito dell’Istat classificare il credito fiscale, questo in se non dovrebbe essere considerato “pagabile” per la sola concessione del bonus bensì per effetto della “cedibilità” che, per il motivo sopra spiegato riduce di molto l’aleatorietà della percentuale di effettiva utilizzo del credito trasformandolo nei fatti in una “obbligazione”, un debito sostanzialmente certo da imputare nell’anno di maturazione.

Proviamo a spiegare meglio.

Il MEF ha reso pubblici dati riguardanti il superbonus 110%.

sulla base dell’aggiornamento al 31 dicembre 2022 risulta che sono state effettuate cessioni per il Superbonus 110% e per gli altri bonus edilizi per 58,4 miliardi di euro dei quali 6,6 sono già stati utilizzati in compensazione

Dei 110 mld maturati sono 6,6 miliardi sono i crediti edilizi ad ora compensati quindi certi nella loro fruizione, 58,4 mld quelli ceduti che verosimilmente saranno “consumati” dai cessionari, mentre dei residui miliardi maturati non si sa nulla.

E di questi ad oggi si potrà eventualmente stimare una percentuale di utilizzazione, atteso che potrebbero essere totalmente o solo parzialmente utilizzati alle relative scadenze come, invece, del tutto inutilizzati per incapienza, dimenticanza o quant’altro.

Quindi, se fino ad ora per effetto della incertezza sulla probabilità di effettivo utilizzo del credito fiscale le rilevazioni nei conti pubblici potevano essere limitate alla imputazione a deficit dei 6,6 mld realmente compensati al 31 dicembre 2022 anche i 58,4 mld ceduti, che quindi per effetto di detta operazione hanno acquisito una maggior probabilità di effettivo utilizzo da parte dei cessionari, ancorché non ancora compensati dovranno essere imputati al debito pubblico negli anni di loro maturazione.

Questo, paradossalmente, avrà un effetto positivo nei conti degli anni 2023 e seguenti, dando maggior spazio di manovra per l’attuazione delle politiche economiche del Governo.

Infatti, non saranno influenzati dalla contabilizzazione dell’utilizzo dei 58 mld fino ad ora ceduti che, invece di alimentare il deficit dell’anno corrente di utilizzo, saranno imputati a debito a rettifica dei bilanci degli anni precedenti, incrementandone il loro deficit, peraltro non soggetto alle regole UE sospese a seguito della pandemia da Covid.

Cessione del credito e sconto in fattura. I bonus fiscali edilizi roba da ricchi?

Fermo restando ogni altra implicazione derivante dal provvedimento in esame volevo dare risalto ad un risvolto “sociale” non di poco conto.

Questo blocco taglierà definitivamente fuori da ogni agevolazione erogata sotto forma di bonus edilizi la fascia di contribuenti dal reddito più basso che per incapienza IRPEF non potrà in alcun modo beneficiarne.

Si tratta di tutte quelle situazioni in cui il reddito complessivo o l’imposta lorda del contribuente sono così bassi da non consentirgli di avvalersi completamente delle agevolazioni spettanti dalla normativa fiscale, come in questi casi.

La coperta è si corta ma si potrebbe comunque studiare un meccanismo che salvaguardi i diritti di accesso al beneficio fiscale a questa numerosa fascia di contribuenti, senza il quale dovremo considerare da oggi in poi i bonus edilizi una “roba da ricchi”.

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