La moneta fiscale derivante dal sistema dei crediti d'imposta potrebbe essere utilmente sostituita in alcuni casi dal cashback fiscale, vediamo insieme quali e perché
L’utilizzo dello strumento dei crediti d’imposta ha avuto in questi ultimi anni un incremento notevole, entrando sempre più spesso nell’uso comune di cittadini ed imprese.
Da strumento fiscale di incentivo agli investimenti si è ora passati ad un utilizzo quale mezzo di ristoro ai contribuenti; si pensi, ad esempio, ai crediti di imposta sulle commissioni dei pagamenti Pos, alla dotazione e aggiornamento dei registratori telematici ovvero a quello sulle bollette per le forniture di energia.
Uno strumento utilizzato anche quale mezzo di sostegno e supporto nel periodo emergenziale Covid con crediti di imposta riconosciuti:
- a compensazione di spese;
- o come opzione alternativa all’erogazione dei contributi a fondo perduto.
La concessione di crediti d’imposta con la finalità di incentivo agli investimenti, come originariamente era regola fare, è sicuramente un’opzione proficua per i contribuenti.
Appare buona anche l’idea dell’uso che ne è stato fatto nel periodo emergenziale del Covid.
Tuttavia desta perplessità il fatto di utilizzare a regime il credito d’imposta (moneta fiscale) per scopi diversi, come ad esempio per il ristoro degli aumenti dei costi dell’energia per le imprese energivore.
Credito d’imposta, cashback fiscale e parametri dimensionali e reddituali delle aziende
Altra problematica relativa ai crediti d’imposta, peraltro già evidenziata in tutti i provvedimenti di erogazione dei vari bonus, riguarda alcuni vincoli legati:
- alla dimensione dell’impresa;
- ai risultati conseguiti in un determinato periodo temporale di riferimento.
Tali incentivi potrebbero paradossalmente trasformarsi in un incentivo al contenimento della dimensione aziendale in alcuni periodi; o, ancor peggio, alla riduzione artificiosa del fatturato quasi ad incentivare elusione ed evasione fiscale.
Va, inoltre, sottolineato come il passaggio da strumento mirato a strumento generalizzato, a parere di chi scrive, sta minando l’efficacia stessa con riguardo alla utilità percepita dal soggetto beneficiario.
Una diluizione della platea degli aventi diritto, a fronte di una coperta corta delle casse statali, ha reso in diverse occasioni (quasi) più conveniente il non beneficio piuttosto che la sua fruizione.
Vuoi perché i fondi stanziati si sono rilevati insufficienti a soddisfare la domanda, con la conseguenza della riduzione della percentuale di contributo riconosciuto a tutti i richiedenti, o, ancor peggio, quando gli stessi sono stati assegnati in ordine di presentazione delle domande (cd “click day”).
Credito d’imposta per le aziende: alcuni esempi pratici di cosa non ha funzionato nel recente passato
Alcuni esempi pratici rendono evidenti le criticità evidenziate:
- la sottovalutazione dei fondi stanziati per il credito di imposta per oneri di sanificazione e dpi - L’articolo 125 del Decreto Rilancio aveva introdotto un beneficio pari al 60% delle somme investite per la sanificazione di ambienti e strumenti e per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale e non solo, entro il limite dei 60.000 euro, ma aveva messo a disposizione risorse insufficienti a soddisfare le domande. Un divario tra richiesta e fondi disponibili che vide la necessità di riparametrare il valore in base alle richieste ricevute. Infatti, con il provvedimento dell’11 settembre 2020, l’Agenzia delle Entrate indicava le modalità di calcolo del valore del credito di imposta spettante a ciascun beneficiario che dal 60% atteso passava al 9,38%. Ed apparve subito evidente anche al Legislatore che tale percentuale estremamente ridotta, neanche sufficiente in alcuni casi a coprire gli oneri aggiuntivi sostenuti per la consulenza necessaria alla presentazione delle istanze di accesso al contributo, potesse rilevarsi una beffa bella e buona in capo al contribuente. Una parziale soluzione arrivò dalla legge di conversione del Decreto Agosto, un nuovo comma 4 ter aggiunto al suo articolo 31. La platea dei beneficiari restò la stessa, ma la somma totale da dividere venne triplicata e di conseguenza anche la percentuale del credito di imposta utilizzabile in compensazione F24, passato dal 9,3% al 28,3% circa, comunque meno della metà della percentuale 60% nominalmente spettante.
- Parcellizzazione e vincoli di accesso con il caso dei Crediti di Imposta sulle commissioni POS - Introdotto dal D.L. 124/2019 il credito d’imposta sulle commissioni per i pagamenti con moneta elettronica è rivolto agli esercenti attività d’impresa, arte e professione con ricavi e compensi nell’anno d’imposta precedente a quello di riferimento non superiori a 400.000 euro. Un istituto che il D.L. 99/2021 aveva potenziato, innalzando la percentuale del credito d’imposta riconosciuto agli esercenti attività d’impresa, arte e professione al 100 per cento del valore delle commissioni addebitate, rispetto alla percentuale ordinaria del 30 per cento. Tutto ciò in parallelo all’abolizione del Cashback, un altro strumento al quale invece sarebbe utile dedicare un approfondito studio sui possibili effetti nella applicazione quale strumento alternativo di ristoro, ad esempio la possibile e già paventata ipotesi di applicazione alle spese sanitarie pagate via POS, in sostituzione della detrazione IRPEF del 19%. Un incremento comunque temporaneo applicabile solo agli oneri per commissioni maturate nel periodo dal 1 luglio 2021 al 30 giugno 2022. Lo scorso 1° Luglio, oltre al ritorno alla misura del credito di imposta al 30%, abbiamo avuto l’introduzione della doppia sanzione per il mancato pagamento con il POS medesimo, pari a 30 euro fissi più il 4 per cento della transazione rifiutata.
Il cashback potrebbe sostituire in alcune occasioni il meccanismo del credito d’imposta
Senza voler qui commentare ulteriormente i meccanismi di calcolo e la loro complessità, evidenziamo comunque la difficoltà di fruizione per alcuni contribuenti, fatto che rende particolarmente difficoltoso se non a volte impossibile l’accesso al beneficio.
In sintesi, è chiaro che in diversi casi l’adempimento necessario alla fruizione del credito di imposta si rivela più complesso ed oneroso dell’effettivo beneficio.
E questo porta molti potenziali fruitori alla rinuncia, con la conseguente svilita percezione sull’effettiva utilità dei fondi stanziati rispetto all’obiettivo prefissato dal Legislatore.
L’ipotesi Cashback fiscale esteso, magari collegato ad un limite di accesso legato al dato reddituale risultante all’Anagrafe Tributaria, potrebbe essere una valida alternativa, specialmente nei casi di forte diluizione della platea dei potenziali beneficiari.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Cashback fiscale o credito d’imposta?