Una recente sentenza della Corte di Cassazione fornisce un vero e proprio decalogo in materia di società a ristretta base azionaria
È un vero e proprio decalogo quello fornito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza numero 6202/2023, in materia di società a ristretta base azionaria - società costituite da un numero esiguo di soci - legati da vincoli non necessariamente di parentela, ove la complicità è la caratteristica principale di un gruppo così composto - che richiama e fa propri una serie di pronunciamenti pubblicati nel corso di questi anni.
La legittimità della presunta distribuzione in capo ai soci degli utili non contabilizzati da parte delle società a ristretta base azionaria, che non abbia optato per il regime di trasparenza di cui all’articolo 116 del testo unico delle imposte sui redditi, è ormai consolidata, pur sé per le società di capitali, di norma, vige, ai fini tributari, la netta separazione tra la società e i singoli soci.
Detta presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola, in ogni caso, il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci.
Nei confronti del socio di una società a ristretta base azionaria trova applicazione l’art. 44 del TUIR, norma che disciplina i redditi di capitale, mentre se la partecipazione è detenuta in regime d’impresa il dividendo concorrerà alla formazione del reddito d’impresa, in forza di quanto disposto dagli artt. 48 e 59 dello stesso TUIR.
In estrema sintesi, le modalità di tassazione dei dividendi sono le seguenti:
- partecipazione qualificata, detenuta come persona fisica (reddito di capitale, ex art. 47, comma 1, del T.U.n.917/86): determinazione della base imponibile (dividendo occulto) nella misura del 49,72% dall’anno 2008 in poi (prima del 2008, nella misura del 40%);
- partecipazione non qualificata, detenuta come persona fisica (non concorre per il percettore, ex art. 3, comma 3, lettera a), del T.U.n.917/86). Il reddito è comunque soggetto alla ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ex art. 27, del D.P.R.n.600/73, nella misura del 12,50%, e quindi contestato alla società per mancata effettuazione e versamento della prescritta ritenuta;
- partecipazione, qualificata e non qualificata, detenuta in regime d’impresa, ex art.59 del T.U.n.917/86: determinazione della base imponibile (dividendo occulto) nella misura del 49,72% dall’anno 2008 in poi (prima del 2008, nella misura del 40%).
Per completezza d’analisi rileviamo che l’articolo 1, commi da 999, della Legge numero 205/2017 (Legge di bilancio 2018), ha eliminato la distinzione tra partecipazioni qualificate e non qualificate possedute dalle persone fisiche ed ha introdotto una parificazione nella tassazione dei dividendi e plusvalenze relative alle diverse tipologie di partecipazioni, assoggettate entrambe all’aliquota del 26%, con ritenuta a titolo d’imposta per i dividendi e imposta sostitutiva per le plusvalenze.
Trattandosi di imputazione ai soci non normativamente definita occorre rilevare che il confine delle rettifiche in capo alla società trasferibili ai soci si è allargato, facendovi rientrare non solo quelle in cui vengono contestati maggiori ricavi o costi per operazioni inesistenti (dove la maggiore ricchezza può ritenersi successivamente distribuita ai soci), ma anche in alcuni casi quelle rettifiche legate alla deduzione dei costi e disciplinati dal reddito d‘impresa, di cui al TUIR.
Il “decalogo” oggetto della pronuncia della Corte di Cassazione numero 6202/2023
Indichiamo i diversi principi emessi, che costituiscono una guida in materia, che fanno capo all’ordinanza della Corte di Cassazione n. 40844 del 2021:
- “in tema di processo tributario, l’impugnazione limitata al capo della sentenza relativo all’atto impositivo emesso nei confronti di una società a ristretta base azionaria non consente la formazione del giudicato interno sul capo relativo agli atti impositivi nei confronti dei soci, rispetto al quale non può ravvisarsi acquiescenza parziale tacita per la stretta ed indissolubile dipendenza dalla definitività della relativa decisione, il cui passaggio in giudicato non può che essere unitario attesa la pregiudizialità del primo sul secondo”;
- è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, “rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova contraria del fatto che i maggiori redditi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti ( cfr. Cass., 4 settembre 2020, n. 18383; Cass., 11 settembre 2020, n. 18854; Cass., 3 giugno 2021, n. 15393)”;
- la ristrettezza della compagine societaria “implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, che fa ritenere plausibile in tutti la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza della esistenza di utili extra bilancio, alla cui distribuzione è ragionevole ritenere che tutti i soci abbiano partecipato in misura conforme al loro apporto sociale, fatta salva l’anzidetta possibilità riconosciuta al contribuente di fornire la prova contraria (cfr. Cass., 29 dicembre 2017, n. 28542; Cass., 19 gennaio 2021, n. 752)”;
- “l’accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati è il presupposto necessario per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi giacché, in mancanza, non sussiste la prova dello stesso fatto costitutivo della pretesa tributaria (cfr. Cass., 19 dicembre 2019, n. 33976; Cass., 22 marzo 2021, n. 7949; Cass., 24 maggio 2021, n. 14096), con l’effetto che deve essere dichiarato illegittimo l’avviso di accertamento che ipotizzi la percezione di maggiori utili societari in capo al socio, quando non sia stata preventivamente accertata la posizione della società di capitali, evidenziando in capo alla stessa un maggior reddito non dichiarato (cfr. Cass., 19 gennaio 2021, n. 752)”;
- l’annullamento “per motivi attinenti al merito della pretesa tributaria dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società sancito con sentenza passata in giudicato, avendo carattere pregiudicante, spiega i suoi effetti a favore di tutti i soci e quindi anche nel connesso giudizio avente ad oggetto l’avviso di accertamento notificato al singolo socio e relativo al suo reddito da partecipazione scaturente a seguito di rettifica operato nei confronti della società (cfr. Cass., 1 dicembre 2020, n. 27417; Cass., 19 gennaio 2021, n. 752)”;
- nel giudizio avente ad oggetto l’avviso di accertamento relativo al socio di una società di capitali a ristretta base sociale, “deve riconoscersi l’efficacia riflessa del giudicato formatosi nel giudizio intercorso tra l’Agenzia delle Entrate e la società, con cui sia stata accertata la insussistenza di utili extracontabili della medesima, in quanto detto accertamento negativo rimuove il presupposto da cui dipende il maggior utile da partecipazione conseguito dal socio (cfr. Cass., 19 gennaio 2021, n. 752; Cass., 25 maggio 2021, n. 14350; Cass., Cass., 22 giugno 2021, n. 17696; Cass., 23 giugno 2021, n. 18045)”;
- in tema di redditi da partecipazione in società di capitali a base ristretta azionaria, “ogni qual volta vi sia pendenza separata dei giudizi relativi all’accertamento del maggior reddito contestato alla società di capitali e di quello di partecipazione conseguentemente contestato al singolo socio si impone la sospensione ex art. 295 cod. proc. civ. - applicabile al giudizio tributario in forza dell’art. 1 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 - in attesa del passaggio in giudicato della sentenza emessa nei confronti della società, costituente l’antecedente logico-giuridico non solo nelle ipotesi di controversie su contestazioni di utili extracontabili, ma in tutti i casi di contestazione rivolti alla compagine sociale relativi ai maggiori redditi derivanti da ricavi non dichiarati o da costi non sostenuti (cfr. Cass., 26 gennaio 2021, n. 1574)”;
- la sospensione necessaria del processo ex art. 295 cod. proc. civ. “è applicabile anche al processo tributario qualora risultino pendenti, davanti a giudici diversi, procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità tale che la definizione dell’uno costituisce indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto al giudicato (cfr. Cass., 19 ottobre 2018, n. 26428; Cass., 10 maggio 2019, n. 12521; Cass., 25 maggio 2021, n. 14291)”;
- la sospensione, si impone “ogni qual volta vi sia pendenza separata di procedimenti relativi all’accertamento del maggior reddito contestato ad una società di capitali e di quello di partecipazione conseguentemente contestato al singolo socio, in attesa del passaggio in giudicato della sentenza emessa nei confronti della società (cfr. Cass., 15 luglio 2020, n. 15117; Cass., 24 giugno 2021, n. 18061)”;
- l’accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a base ristretta, “in ipotesi come quelle riferibili alla contestazione di utili extracontabili, costituisce un indispensabile antecedente logico giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, in virtù dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano e non ricorrendo, come invece accade per le società di persone, un’ipotesi di litisconsorzio necessario, in ordine ai rapporti tra i rispettivi processi, quello relativo al maggior reddito accertato in capo al socio deve essere sospeso ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., applicabile nel giudizio tributario in forza del generale richiamo dell’art. 1 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (cfr. Cass., 20 marzo 2019, n. 7764; Cass., 5 novembre 2020, n. 24742; Cass., 9 giugno 2021, n. 16103; Cass., 8 luglio 2021, n. 19442)”.
Si tratta di principi che vengono, quindi, ribaditi nella pronuncia numero 6202/2023, e che non riguardano solo le controversie su contestazioni di utili extracontabili:
“ma più in generale tutti i casi di contestazioni rivolte alla compagine sociale, che siano relativi ai maggiori redditi derivanti da ricavi non dichiarati o da costi non sostenuti”
Pertanto:
“nel caso di instaurazione (o pendenza) di un unico giudizio, come quello in esame, avente ad oggetto la contestuale impugnazione degli atti impositivi nei confronti della società e dei soci, è evidente che il gravame interposto dall’Amministrazione finanziaria sul capo della sentenza che attiene alla società si estende anche al capo della sentenza che attiene ai soci, giacché il passaggio in giudicato non può che essere unitario per la pregiudizialità del primo sul secondo”
Non opera, dunque, per gli Ermellini
“nel caso di impugnazione parziale, l’acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata, che si verifica, invece, solo quando le diverse parti siano del tutto autonome l’una dall’altra e non anche quando la parte non impugnata si ponga in nesso consequenziale con l’altra e trovi in essa il suo presupposto (cfr. Cass., 24 gennaio 2019, n. 1850), con la conseguenza che la sola impugnazione del capo relativo all’annullamento dell’atto impositivo emesso nei confronti della società non consente la formazione del giudicato interno sul capo relativo all’annullamento degli atti impositivi emessi nei confronti delle socie, rispetto al quale non si può ravvisare acquiescenza parziale tacita per la stretta ed indissolubile dipendenza dalla definitività della relativa decisione”
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Il “decalogo” sulle società a ristretta base azionaria