La responsabilità dell’amministratore per gli immobili non locati

Gianfranco Antico - Diritto societario

Analisi delle responsabilità di un amministratore di una società per mancata locazione degli immobili che avrebbero potuto produrre un reddito per la società medesima

La responsabilità dell'amministratore per gli immobili non locati

Qualora i comportamenti degli amministratori che si assumono illeciti non siano vietati dalla legge o dallo statuto, la condotta dell’amministratore è illegittima se omette di adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati

In tal caso l’attore ha l’onere di provare tutti gli elementi di fatto dai quali è possibile dedurre la violazione dell’obbligo di lealtà e di diligenza.

È questo il principio che si ritrae dall’interessante ordinanza n. 25620/2024 della Corte di Cassazione, che ha esaminato una ipotesi di cd mala gestio, relativa alla responsabilità di un amministratore di una società di gestione immobiliare, per non aver locato gli immobili.

Pronuncia che condensa tutta una serie di indicazioni, che ben possono essere considerati da guida.

La responsabilità dell’amministratore per gli immobili non locati

Una S.r.l. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale competente, con cui le era stato ingiunto il pagamento di una somma a favore di un soggetto, a titolo di compenso per l’attività di progettazione e di direzione dei lavori relativa a due immobili, di proprietà della società.

Si è costituita la S.r.l. per resistere alla domanda e, in via riconvenzionale, ha chiesto la condanna dello stesso attore, a titolo di risarcimento dei danni per mala gestio, nella sua veste di amministratore della società.

Il Tribunale ha rigettato l’opposizione. Pronuncia confermata dalla Corte d’Appello, che ha fondato la decisione sugli atti di conferimento di incarico da parte dell’amministratrice, moglie dell’attore, sulle quietanze di pagamento e sugli atti ricognitivi del debito, ritenendo generico il disconoscimento da parte della società, perché non investiva l’autenticità della firma.

Al di là dell’esistenza o meno di un conflitto di interessi tra il legale rappresentante della S.r.l. ed il professionista, atteso il vincolo di coniugio tra i medesimi, il punto nodale investe la pretesa mala gestio da parte del consigliere di amministrazione (attore), il quale avrebbe omesso di mettere a frutto gli immobili della società e li avrebbe utilizzati a fini personali.

Il caso di mala gestio
La società avrebbe allegato e provato l’inadempimento dell’amministratore, mentre l’attore non avrebbe provato di essersi attivato per mettere a frutto l’immobile, né avrebbe dimostrato di trovarsi nell’impossibilità di farlo, secondo la ripartizione della prova in materia contrattuale. L’inerzia dell’amministratore avrebbe causato un danno alla società, che aveva come oggetto sociale la gestione indiretta degli immobili, che negli anni precedenti erano stati locati, producendo un ricavo per la società.

Responsabilità amministratori di società per mancata locazione di immobili commerciali

Osserva, preliminarmente, la Corte che:

“all’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può eventualmente rilevare come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società: ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, e quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste l’adempimento dei suo doveri sociali previsti dall’art.2392 c.c. (Cass. n. 3409/2013; Cass. n. 1783/2015; Cass. n. 15470/2017).”

L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, il che comporta che la società ha l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro (Cass. n. 2975/2020; Cass. n. 17441/2016; Cass. n. 22911/2010).

Sul tema dell’onere probatorio osserva che:

“ove i comportamenti degli amministratori che si assumono illeciti non siano in sé vietati dalla legge o dallo statuto e l’obbligo di astenersi dal porli in essere discenda dal dovere di lealtà, coincidente col precetto di non agire in conflitto di interessi con la società amministrata, o dal dovere di diligenza, consistente nell’adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati, l’illecito è integrato dal compimento dell’atto in violazione di uno dei menzionati doveri.

In tal caso, l’onere della prova da parte della società non si esaurisce nella dimostrazione dell’atto compiuto dall’amministratore, ma investe una serie di elementi dai quali è possibile dedurre che lo stesso implica violazione del dovere di lealtà o di diligenza.

Il contenuto di siffatti obblighi di carattere generale può specificarsi solo con riferimento alle circostanze del caso concreto; pertanto, in relazione alla mancata osservanza, da parte dell’amministratore, dell’obbligo di diligenza, chi agisce in giudizio deve dare dimostrazione di una serie di indici dai quali è possibile inferire la violazione del predetto dovere, che è definito dall’art.2932 c.c. (Cass. n. 25056/2020; Cass. n. 2975/2020).”

Recentemente, è stato affermato che:

in tema di responsabilità dell’amministratore per i danni cagionati alla società amministrata, il principio della insindacabilità del merito delle scelte di gestione (cd. business judgement rule, non si applica in presenza di irragionevolezza, imprudenza o arbitrarietà palese dell’iniziativa economica (Cass. n. 8069/2024). A tali principi di diritto non si è uniformata la Corte di merito, che si è limitata ad affermare l’insindacabilità delle scelte gestionali dell’amministratore, senza verificare se il non essersi attivato per concedere in locazione gli immobili della società, utilizzandoli gratuitamente, costituisse violazione del dovere di diligenza.”

Secondo la società il consigliere di amministrazione:

“era rimasto inerte e non aveva a messo a frutto gli immobili e che tale comportamento aveva arrecato un danno costituito dalla mancata percezione dei canoni di locazione, considerato che si trattava di una società immobiliare, il cui scopo sociale è la reddittività degli immobili.”

A fronte di tale condotta inerte, era onere dell’amministratore dimostrare le ragioni di tale scelta gestionale, non essendo legittimo opporre una scelta arbitraria, che, appare prima facie, irrazionale ed implausibile rispetto all’oggetto sociale.

Per gli Ermellini, la Corte di merito ha errato non solo nella ripartizione dell’onere probatorio ma, altresì, nell’affermare l’assoluta insindacabilità delle scelte gestionali anche nell’ipotesi in cui siano contrarie a principi di irragionevolezza, imprudenza o arbitrarietà.

Fra l’altro è stato altresì omesso qualsiasi approfondimento in ordine all’utilizzo personale di tali immobili da parte dell’amministratore, al fine di stabilire se si trattasse di scelta gestionale prudente in considerazione dell’oggetto sociale della società.

Questo il principio di diritto:

“Qualora i comportamenti degli amministratori che si assumono illeciti non siano vietati dalla legge o dallo statuto, la condotta dell’amministratore è illegittima se omette di adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati; in tal caso l’attore ha l’onere di provare tutti gli elementi di fatto dai quali è possibile dedurre la violazione dell’obbligo di lealtà e di diligenza.”

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