Rivalsa a seguito di accertamento, se l'imposta non è pagata dal cessionario o dal committente la nota di variazione IVA in diminuzione non può essere emessa. Lo spiega la risposta all'interpello numero 219 del 20 luglio 2020: l'istituto ha natura privatistica e l'istante non può che rivolgersi all'ordinaria giurisdizione civilistica.
Rivalsa a seguito di accertamento, la nota di variazione IVA non si può emettere.
Lo spiega l’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello numero 219 del 20 luglio 2020: se l’imposta non è pagata dal cessionario o dal committente, le regole sull’IVA non permettono la variazione in diminuzione.
L’istituto è, infatti, di natura privatistica e l’istante deve rivolgersi all’ordinaria giurisdizione civilistica.
Rivalsa a seguito di accertamento: non si può emettere nota di variazione IVA
Nel caso di rivalsa dopo un accertamento non si può emettere la nota di variazione IVA.
Lo rende noto l’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello numero 219 del 20 luglio 2020.
- Agenzia delle Entrate - Risposta all’interpello numero 219 del 20 luglio 2020
- Interpello articolo 11, comma 1, lettera a), legge 27 luglio 2000, n. 212 -articolo 60, ultimo comma, del dPR 26 ottobre 1972, n. 633 - nota di variazione.
Il quesito è posto da una società che ha venduto applicando il regime di non imponibilità a seguito della presentazione da parte degli acquirenti di lettere d’intento in seguito rivelatesi false.
La stessa società ha eseguito il versamento dell’IVA accertata e chiede la possibilità di emettere la nota di variazione IVA.
L’Agenzia delle Entrate non condivide la soluzione dell’istante e richiama la normativa e i documenti di prassi di riferimento.
L’articolo 60 del decreto IVA, all’ultimo comma prevede che:
“il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione”.
La norma in questione ha l’intento di ripristinare la neutralità dell’IVA che deve gravare sul consumatore finale.
La neutralità è garantita dal meccanismo della rivalsa, che può essere esercitato dal fornitore soggetto passivo a condizione che abbia definitivamente corrisposto le somme dovute all’Erario a titolo di imposta, interessi e sanzioni.
A completare il quadro c’è il diritto di detrazione, che può essere invece esercitato dal cliente soggetto passivo a condizione che abbia corrisposto quanto addebitatogli a titolo di rivalsa.
Rivalsa a seguito di accertamento: ha natura privatistica
A differenza della rivalsa ordinaria, la rivalsa a seguito di accertamento è facoltativa, successiva all’operazione e presuppone l’avvenuto versamento definitivo della maggiore IVA accertata da parte del cedente o prestatore.
Nel chiarirlo, l’Agenzia delle Entrate richiama i seguenti documenti di prassi:
- la circolare numero 35/E del 2013;
- la risposta all’interpello numero 84 del 26 novembre 2018;
- la risposta all’interpello numero 531 del 26 novembre 2019;
- la risposta all’interpello numero 176 pubblicata il 31 maggio 2019.
Tale tipo di rivalsa ha natura privatistica.
Da ciò deriva che, in caso di mancato versamento dell’IVA, la sola possibilità per recuperare l’imposta addebitata in rivalsa e non incassata è l’ordinaria giurisdizione civilistica.
L’istante, infatti, non potrà emettere la nota di variazione IVA in diminuzione se il cessionario committente sia cancellato dal registro delle imprese senza che il credito sia soddisfatto o nella situazione in cui la procedura esecutiva ha dato esito infruttuoso.
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