Si riaccendono i riflettori sul redditometro. Dalla Commissione Finanze del Senato l'invito a definire una nuova identità ma soprattutto un nuovo nome: controlli solo in caso di forti incongruenze tra dichiarazione dei redditi e spese sostenute
A volte le parole fanno più paura di quello che rappresentano: è il caso del redditometro. E infatti la Commissione Finanze e Tesoro del Senato nella seduta di ieri, 10 luglio, sui lavori correttivi della riforma fiscale ha chiesto al Governo di definirne una nuova identità. E soprattutto un nuovo nome, verrebbe da aggiungere.
A fine maggio, infatti, il ripristino dello strumento che prende in esame le spese sostenute dai cittadini per verificarne la loro capacità contributiva tramite l’approvazione di un decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze ha generato reazioni immediate all’interno del Governo.
In pochi giorni lo stesso MEF ha sospeso l’accertamento sintetico con un atto di indirizzo dichiarando la volontà di ridefinirne i contorni.
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Allo studio l’evoluzione del redditometro per verificare incongruenze tra dichiarazione dei redditi e spese
È chiaro che la parola “redditometro”, più per la politica che per i cittadini, è preoccupante e resta impronunciabile. E la costruzione del nuovo strumento di controllo parte proprio dalla sua negazione.
“La Commissione sollecita quindi il Governo a incrementare le tutele dei contribuenti, evitando di ripristinare strumenti e istituti a carattere induttivo di massa (come ad esempio il cosiddetto redditometro), ma definendo l’ambito esclusivamente sui singoli casi di contribuenti che presentano ex ante profili di rischio fiscale”.
Si legge nel parere fornito ieri sul decreto correttivo della riforma fiscale.
Sebbene sulla carta l’attività di controllo su redditi dichiarati e spese sostenute possa sembrare capillare e ad ampio raggio, i dati danno la misura di uno strumento applicato in via residuale che ha portato, in totale, negli ultimi anni al recupero di circa 300.000 euro.
Le cifre arrivano dalla Corte dei Conti nella relazione dello scorso anno, che ha sottolineato proprio la scarsa valorizzazione degli accertamenti sintetici nella strategia dei controlli fiscali.
In cosa consiste il redditometro attuale? Si tratta della possibilità di rideterminare in via induttiva del reddito complessivo del contribuente, a patto che risulti superiore di almeno un quinto a quello dichiarato, in base alle spese sostenute nel periodo d’imposta o ad una serie di indici che fanno supporre una capacità contributiva effettiva superiore.
E l’evoluzione proposta in Commissione Finanze non sembra discostarsene totalmente. Al Governo si chiede di delineare “strumenti induttivi di ricostruzione del reddito affidati all’Agenzia dell’Entrate, da indirizzare esclusivamente verso le situazioni che presentano alti livelli di scostamento di congruità tra spese e redditi dichiarati, anche prevedendo soglie percentuali che riducano o eliminino la discrezionalità dell’Agenzia delle Entrate”.
Senza dubbio, anche in questa nuova formulazione, a fare la differenza potranno essere le parole e quello che rappresenteranno.
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Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Nessuno dica “redditometro”: controlli su incongruenze tra dichiarazione dei redditi e spese