Reati tributati: sull'ammontare dell'imposta evasa prevale la parola del giudice penale. Lo stabilisce la Corte di Cassazione con la Sentenza numero 21194 del 18 maggio 2023
Nell’ambito dei reati tributari, è prerogativa del giudice penale determinare l’ammontare dell’imposta evasa, quale intera imposta dovuta e non versata, in base a una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dal giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria.
Questi i principi contenuti nella Sentenza della Corte di Cassazione n. 21194 del 18 maggio 2023.
Reati tributari: è il giudice penale che quantifica l’imposta evasa
Nella vicenda in commento l’imputato era stato condannato per una serie di reati di natura penal-tributaria previsti dal D.Lgs. 74/2000.
Avverso la sentenza d’appello il reo ha proposto ricorso per cassazione lamentando, per quanto di interesse, l’erronea determinazione dell’imposta evasa.
Sul punto la Corte di cassazione si è espressa ritenendo infondato il motivo di doglianza della parte.
A motivazione della decisione, il Collegio ha richiamato il consolidato indirizzo interpretativo di legittimità secondo cui, nei reati tributari, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di determinare l’ammontare dell’imposta evasa, da intendersi come l’intera imposta dovuta e non versata in base a una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dal giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria.
La giurisprudenza di legittimità ha affermato che, per il principio di atipicità dei mezzi di prova, di cui è espressione l’art. 189 c.p.p., il giudice può avvalersi dell’accertamento induttivo, compiuto mediante gli studi di settore dagli Uffici finanziari, per la determinazione dell’imposta dovuta, ferma restando l’autonoma valutazione degli elementi emersi nel corso del giudizio penale.
Con specifico riferimento alla verifica del superamento della soglia di punibilità di cui all’art. 5 DLgs. n. 74 del 2000, fissata attualmente a 50 mila euro con riferimento ad ogni singola imposta, il giudice penale può legittimamente avvalersi dell’accertamento induttivo, mediante gli studi di settore, compiuto dagli Uffici finanziari per la determinazione dell’imponibile.
In particolare, gli studi di settore sono strumenti di natura presuntiva, posti a base di un procedimento di accertamento disciplinato dal diritto tributario, che prevede l’obbligatorio contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente. Da qui la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio che, proprio ai fini di verificare il superamento della soglia di punibilità di cui all’art. 5 del DLgs. n. 74 del 2000, il giudice penale può legittimamente avvalersi dell’accertamento induttivo dell’imponibile compiuto dagli uffici finanziari.
Nel caso di specie, l’imposta evasa è stata determinata attraverso un procedimento induttivo che ha valorizzato plurimi elementi di prova, emersi dagli accertamenti della Guardia di Finanza, che aveva determinato il reddito sulla base della documentazione presso le ditte dell’imputato e di quelle che avevano avuto rapporti commerciali con il medesimo, con deduzione dei costi non documentati dall’imputato ma risultanti dalla media dei costi sostenuti da imprese operanti nello stesso settore merceologico, giungendo così a ritenere dimostrato il superamento della soglia di rilevanza penale con riguardo all’IVA e all’IRES.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Nei reati tributari spetta al giudice penale quantificare l’imposta evasa