La questione di genere è culturale, per questo può essere necessaria, anche se non sufficiente, una terapia d'urto come la gender tax. Dalla Costituzione alla distribuzione occupazionale emerge con forza il ruolo di cura affidato alla donna, uno degli stereotipi da scardinare. Partire dalla tassazione è una delle possibili strategie, ne ha parlato Informazione Fiscale durante l'evento online Disuguaglianza di genere organizzato il 20 aprile da Arezzo in Azione.
La questione di genere è culturale: e anche per questo può essere necessario, anche se non sufficiente, forzare la mano con l’introduzione di una gender tax, una tassazione differenziata per genere.
Partire dalla tassazione è una delle possibili strategie per scardinare uno stereotipo di genere radicato e forte: la donna deve occuparsi dei lavori di cura, dentro e fuori le mura domestiche.
Con i punti di forza e debolezza della proposta di una gender tax illustrata da Informazione Fiscale, che ha approfondito il tema con un ciclo di interviste dedicato, si è concluso l’evento Disuguaglianza di genere: dalle radici culturali alle conseguenze economiche e sociali, organizzato online da Arezzo in Azione il 20 aprile.
La questione di genere è culturale, anche per questo serve una gender tax
Difronte a una formazione composta da 6 relatrici donne e due uomini, l’imprenditore Mauro Torelli, con le migliori intenzioni e riflettendo sulle ragioni del profondo e diffuso divario di genere nel mondo del lavoro, afferma:
“Non è il costo maggiore delle donne. E neanche una diversa affidabilità. Io non ce la faccio a trovare un motivo che non sia culturale!”
E infatti, sottolinea, la sua azienda è composta in maniera equa da uomini e donne, che hanno pari opportunità di ottenere un incarico dirigenziale.
Come non c’è dubbio che esistano dei territori franchi, non c’è dubbio che siano un’eccezione, se i dati descrivono un’altra realtà:
- nel Global Gender Gap Index 2021 l’Italia è al 63esimo posto su 153 dopo Bolivia e Perù;
- secondo l’aggiornamento Istat pubblicati di marzo 2021, l’occupazione femminile è al 49,4 per cento contro il 67,3 per cento degli uomini;
- il prezzo dell’emergenza sanitaria del 2020 è stato più caro per l’occupazione femminile calata del 3,4 per cento, rispetto al 2,8 per cento di quella maschile.
La lista di cifre da citare sarebbe lunga, ma bastano pochi elementi per capire che le donne sul mercato del lavoro sono ancora troppo poche, e che anche le donne presenti sul mercato del lavoro non ricevono un trattamento paritario e fanno i conti con un rischio più alto di uscirne.
La questione di genere è culturale, ha ragione Mauro Torelli. Ma non è un attenuante, è un aggravante. Ed è su questa consapevolezza che bisogna costruire una strategia per sovvertire gli schemi radicati.
Questione di genere, dagli stereotipi alla gender tax, tassazione differenziata per genere
Ad aprire l’evento Disuguaglianza di genere: dalle radici culturali alle conseguenze economiche e sociali è stata Francesca Pizzuti, psicopedagogista e counselor relazionale, con un intervento sugli stereotipi.
Il termine affonda le sue radici nel greco antico e la sua traduzione letterale: immagine rigida.
Non solo sull’universo femminile, la necessità di semplificare ci induce, per forza di cose, sempre a ragionare per stereotipi seguendo le tracce consolidate date dalla cultura di appartenenza. Ma tra i diversi schemi, tramandati di generazione in generazione, in cui vengono incasellate le donne ce n’è uno in particolare che ha un forte impatto anche sul lavoro: il ruolo di cura.
Come ricorda Lucia Zabatta, ricercatrice Inapp, lo conferma anche la Costituzione che, pure, con l’articolo 37 intende tutelare le donne:
“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
È uno schema che ha infinite declinazioni e si traduce anche in una polarizzazione di genere del mercato del lavoro.
Il 40 per cento delle donne occupate è impiegato in tre macrosettori, “che non a caso sono legati alla cura”, sottolinea Azzurra Rinaldi:
- istruzione;
- servizi alle persone;
- sanità.
È un modello difficile da scardinare. E l’unica strategia per provare a farlo è quella di forzare la mano agendo con una terapia d’urto.
Da questa consapevolezza e con questo obiettivo circa 15 anni fa nasce la proposta dell’introduzione di una gender tax, una tassazione differenziata per genere.
A formularla Andrea Ichino dell’European University Institut e Alberto Alesina della Harvard University.
Obiettivo? Aumentare il valore del lavoro delle donne, diminuendo la tassazione. La proposta di soluzione poggia le basi sulla regola di Ramsey che si può tradurre in una metafora eloquente: il lavoro dell’uomo è un bene di prima necessità, meno elastico, che si può tassare di più, quello della donna è un bene di lusso, più elastico, che si deve tassare di meno.
Questione di genere: la terapia d’urto della gender tax
La gender tax, però, periodicamente al centro del dibattito non ha ancora mai visto la luce. Certo, le criticità di un’applicazione pratica sono diverse, come i dubbi sul rispetto dei principi costituzionali o il limite di essere troppo legata a un modello esclusivamente tradizionale di famiglia, che è solo uno dei modelli possibili.
Ma non mancano le proposte per aggirare gli ostacoli. Carlo Cottarelli, intervistato sul tema da Informazione Fiscale ha una soluzione: l’alternativa potrebbe essere quella di tassare meno il secondo coniuge che entra nel mondo del lavoro, che molto spesso è donna.
Di sicuro, poi, per poter provare a sgretolare la rigidità dei modelli consolidati e cuciti addosso alle donne all’intervento sulla tassazione si dovrebbe affiancare un corollario di altre misure, come il potenziamento degli asili nido o del sistema dei congedi.
Alle porte due grandi occasioni per agire su entrambi i fronti: la riforma fiscale 2021, confermata anche nel Documento di Economia e Finanza, e l’impiego delle risorse del Recovery Fund.
Ma tutto parte da un punto: per mettere in discussione un paradigma culturale consolidato serve una forte volontà.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: La questione di genere è culturale e la gender tax può essere una terapia d’urto