Occupazione femminile: la metà delle donne non lavora

Tania Stefanutto - Lavoro

Occupazione femminile: l'analisi dei dati del mercato del lavoro e la relativa condizione lavorativa sono al centro dell'estratto dello studio della Dottoressa Tania Stefanutto. Continua il nostro percorso di approfondimento sulla tassazione differenziata per genere (gender tax).

Occupazione femminile: la metà delle donne non lavora

Occupazione femminile: circa la metà delle donne non lavora.

Il dato emerge nello studio sull’occupazione femminile e l’analisi delle condizioni lavorative delle donne, il focus del lavoro di ricerca ed approfondimento della Dottoressa Tania Stefanutto, commercialista e revisore legale in Brescia.

I temi degli scorsi interventi sono stati l’inquadramento teorico pratico della tassazione fiscale differenziata per genere, con alcuni approfondimenti e con le interviste video alla stessa Dottoressa Stefanutto ed al Professor Andrea Ichino, economista e teorico della gender tax insieme al Professor Alesina.

Recente è anche lo studio sul modello svedese.

Al centro di questo estratto c’è l’analisi dell’occupazione femminile con i report dell’OCSE ed un’analisi approfondita delle condizioni lavorative delle donne, dalle mansioni svolte alla retribuzione.

Di seguito il testo dell’estratto dello studio.

Il mercato del lavoro e l’occupazione femminile

L’OCSE, utilizzando il data base Istat per l’Italia ed Eurostat per l’UE, fornisce il tasso di occupazione, ovvero il rapporto tra popolazione occupata e popolazione in età attiva per il 2019: in Italia il tasso globale è ca. il 58%, con un tasso inferiore al 50% per le donne e prossimo al 70% per gli uomini.

A livello unionale il tasso femminile è pari a ca. il 63%, mentre il maschile appena superiore il 73%, mentre a livello OCSE il dato femminile si attesta a quasi il 61% contro il 76% del maschile.

In Italia quindi una donna su due, in età lavorativa è occupata (o in cerca di occupazione), mentre l’altra non è parte del mercato del lavoro (nemmeno nella quota dei soggetti che cercano lavoro).

Analizzando il dato degli occupati attivi (dipendenti ed indipendenti) il 42% è donna, mentre limitandosi al mondo del lavoro dipendente il 45% di questi è donna.

Nel lavoro dipendente poi le figure femminili si distribuiscono in questo modo:

I numeri assoluti (uomini e donne) ci dicono che i dirigenti e i quadri rappresentano meno del 10% di tutti i lavoratori dipendenti; limitandosi poi al solo settore privato sono poco più del 5% dei dipendenti di tale settore.

In buona sostanza le donne occupate sono quasi il 55% impiegate e per quasi 1/3 hanno un impiego part-time.

Postulati questi dati vediamo quello che è il differenziale in termini retributivi tra generi a livello nazionale:

Il dato è basato sul RAL (retribuzione annua lorda) medio, quindi al lordo delle imposte, che essendo progressive possono sensibilmente ridurlo nei netti, soprattutto nelle fasce di reddito inferiore.

Ove il reddito è maggiore, si rileva un differenziale in termini percentuali minori, seppur in valore assoluto maggiore: sono proprio gli impieghi e i ruoli per i quali è difficile avere possibilità di assunzioni part-time.

Se proviamo a leggere i dati aggregati a livello Unione vi è un effetto “paradosso”: l’Italia si posiziona con una mediana prossima al 5% a fronte di un primo decile superiore il 10%, tra i Paesi con il Gender Wage Gap minore d’Europa (la Germania ad es. supera il 22%).

Ciò che però deve far riflettere, oltre il differenziale retributivo, che tutto sommato è un dato comune a tutte le economie mondiali, è il numero degli inoccupati non in cerca di sesso femminile: in Italia una donna su due non lavora e non è in cerca di lavoro, dato molto diverso dalle altre realtà unionali.

Il tasso medio di occupazione OCSE per la forza lavoro femminile è prossimo al 70%: il differenziale con l’Italia è di quasi 20 punti.

La GBT non incide su tale dato però, in quanto l’effetto è quello di migliorare la situazione delle lavoratrici impiegate, non di creare posti di lavoro. Si può ipotizzare che, lasciando agli uomini ore “libere”, le stesse siano occupate dalle donne (passaggio dal part-time al tempo pieno) o che un numero più consistente di donne abbia propensione alla ricerca di un posto di lavoro, ma questo sarebbe un effetto collaterale e non principale del sistema di tassazione di genere.

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Il dato sul differenziale retributivo (gender wage gap) è una costante in tutte le economie, anche le più aperte al mondo femminile, ed è una conseguenza di numerose disuguaglianze che le donne devono affrontare nell’accesso al lavoro, nella progressione e nei premi.

La cd. Segregazione settoriale: circa il 30% del divario retributivo di genere totale è rilevabile con la prepornderanza di donne in settori a retribuzione inferiore, come l’istruzione e cura alla persona. La percentuale di dipendenti maschi è decisamente maggiore (oltre l’80%) nei settori con retribuzioni migliori, i cd. STEM.

Il Work life balance, ovvero l’equilibrio tra vita e lavoro: il tempo dedicato dalle donne al lavoro retribuito è in media inferiore a quello degli uomini, mentre sono più occupate in mansioni non remunerate. In totale, le donne lavorano di più nell’arco della giornata e non hanno tempo per migliorare le loro possibilità di carriera.

Il soffitto di cristallo ovvero la posizione di potere: meno del 10% degli amministratori delegati delle principali aziende è donna. Proprio in questo pannel di riferimento si ritrovano le maggiori differenze di retribuzione oraria nell’UE: redditi in media inferiori del 23%, con in Italia un gap orario che può raggiunge quasi il 50%.

Discriminazione

In alcuni casi, le donne guadagnano meno degli uomini per svolgere lavori di pari valore. Tuttavia, il principio della parità di retribuzione per un lavoro di pari valore è sancito sia a livello unionale, nel Trattato di Funzionamento, che a livello internazionale nei documenti ONU.

Infine va rilevato che le donne sono presenti in misura maggiore nei settori produttivi (le cd. famiglie professionali) meno remunerativi e dove il gap, con i pari qualifica maschi, è più alto (ad. es. settore bancario e finanziario).

Ecco quindi che applicando il modello GBT alla realtà si può notare come sia difficile conciliare un’efficienza dello stesso in presenza di donne principalmente in occupazioni con retribuzioni inferiori: essendo i redditi bassi sarà necessario un differenziale di tassazione molto elevato per ottenere un significativo incremento del potere contrattuale.

Sarebbe quindi più opportuna una diversa allocazione dei generi nel mondo del lavoro: la leva fiscale potrebbe essere in grado di modificare le scelte scolastiche delle donne facendo loro abbandonare studi più tradizionali in favore di maggior presenza nelle scuole professionali e tecniche, le cui retribuzioni sono maggiori e per cui il differenziale d’imposta creerebbe un reale vantaggio competitivo?

Le donne in sostanza studiano di più, conseguono la laurea in tempi più brevi e con voti migliori, ma privilegiano corsi che hanno sbocchi occupazionali con minori possibilità di carriera e retributive: ecco spiegato perché al salire del livello d’istruzione il differenziale di reddito è sempre più rilevante (Fra i laureati la differenza è del 32,8% contro un 9,8% del resto dei lavoratori, ma arriva addirittura al 47,3% nel caso di master di 2° livello).

In situazioni di gerarchia di comando (quindi parlando di retribuzioni di manager) per parificare il netto orario si rischia di arrivare ad un paradosso con una curva della tassazione che inizialmente deve essere notevolmente più bassa di quella maschile: per annullare il differenziale del netto medio tra impiegati le prime tre aliquote devono essere ridotte (in assenza di detrazioni) del 20%, mentre per pareggiare le successive servirebbe una riduzione del 10% della quarta per ritornare verso il 20% della quinta.

Differentemente le disparità sul netto ipotetico non verrebbero azzerate.
Se si prescinde dal dato mediano nazionale (5%) e si applicano le reali differenze retributive è quindi evidente come la riduzione non sia lineare rispetto alle attuali aliquote con un rischio di mancato rispetto delle norme.

Ciò che però vien da chiedersi: una ragazza diciottenne nel momento di affrontare la scelta della vita lavorativa sarà incline a prediligere il fattore monetario (facoltà con prospettive di lavoro remunerative medio termine) o sarà incline a scegliere ciò che le è naturalmente più incline (facoltà con materie che affini alle proprie passioni)?

Da donna e madre di una futura donna lavoratrice devo ammettere che la variabile reddito è l’ultima che viene presa in considerazione, pertanto ritenere che, in presenza di una GBT, le donne si iscriveranno alle facoltà STEM credo sia una conclusione che sconti un limite concettuale: le donne non sono uomini.

Tania Stefanutto - Il mercato del lavoro e l’occupazione femminile
Gender tax: prosegue il nostro percorso di approfondimento teorico pratico sulla tassazione differenziata per genere. In questo box i lettori interessati potranno scaricare l’estratto dello studio della Dottoressa Tania Stefanutto in materia di analisi dati del mercato del lavoro rispetto al tema dell’occupazione femminile.

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