Pignoramento dello stipendio o pensione: come per difendersi alla luce delle recenti novità giurisprudenziali.
Il Pignoramento presso terzi è una procedura esecutiva messa in atto dall’Agenzia delle Entrate Riscossione nei confronti del contribuente che, trascorsi 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento, non ha provveduto al pagamento o alla rateizzazione delle somme dovute, né è intervenuto un provvedimento di sospensione o annullamento del suo debito.
L’agente della riscossione è quindi legittimato a pignorare lo stipendio, la pensione o il conto corrente del contribuente moroso, nel rispetto però alcuni limiti d’azione.
Vediamo di seguito come il cittadino può difendersi da questa procedura; interessante è un nuovo punto di vista proposto da una sentenza della Suprema Corte di Cassazione per cui le procedure avviate fino ad ora sono da ritenere illegittime.
Pignoramento stipendio o pensione: quando opporre ricorso?
Dopo 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento, se il contribuente - debitore non ha provveduto al pagamento, non ha ottenuto una rateizzazione o non è intervenuto un provvedimento di sospensione o annullamento del debito, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione attiva le procedure previste dalla legge per tutelare e riscuotere il credito degli enti che le hanno affidato l’incarico di recuperare le somme dovute.
Tra queste procedure cautelari ed esecutive, il pignoramento presso terzi è un atto dall’Agenzia delle Entrate - Riscossione che può avere per oggetto lo stipendio, il conto corrente o la pensione del debitore: con questa procedura si richiede a un terzo creditore di versare direttamente all’Agenzia delle Entrate Riscossione quanto dovuto dal debitore di quest’ultima, che, a sua volta, è creditore del terzo (datore di lavoro o ente pensionistico).
Da un punto di vista civilistico il pignoramento presso terzi è un atto che permette al creditore di aggredire i beni o i crediti del debitore, che sono nella disponibilità del terzo; è disciplinato dall’art. 543 del c.p.c. e segue un iter ben preciso. L’ Ufficiale giudiziario notifica al debitore e al terzo pignorato, per conto del creditore, l’atto di pignoramento che dovrà essere discusso dinanzi al giudice, in tribunale, il quale si esprime in merito e autorizza o meno la procedura.
Il comportamento dell’Agenzia delle Entrate - Riscossione è completamente diverso dai dettami normativi: non è necessario citare in giudizio il debitore ed attendere la sentenza di pignoramento, in quanto la cartella di pagamento notificata al debitore è considerata un titolo esecutivo. L’Agenzia delle Entrate quindi, ordina direttamente all’ente creditore (banca, datore di lavoro, Inps) di versare le somme a proprio favore, sulla base del credito vantato in relazione a cartelle esattoriali e avvisi di addebito, addirittura senza l’obbligo di adire l’Autorità giudiziaria, penalizzando enormemente i contribuenti.
La Suprema Corte di Cassazione ha espresso una recente sentenza (n. 26519 del 9 novembre 2017), dichiarando l’illegittimità dei pignoramenti presso terzi effettuati fino ad ora, avverso i quali i contribuenti potrebbero opporre ricorso.
Questo perché, nella maggioranza dei casi, l’atto di pignoramento di crediti verso terzi notificato dall’Agenzia Entrate, si limita ad intimare genericamente il pagamento di una somma complessiva per tributi vari senza specificare a che titolo siano dovuti tali importi, (se sono multe, imposte, tasse etc.) o senza dettagliare le cartelle di pagamento e l’avvenuta notifica delle stesse.
La Corte di Cassazione ha posto fine a questo atteggiamento: la sentenza ribadisce che le procedure di pignoramento presso terzi, carenti di indicazioni dettagliate sui crediti, sono illegittime, dando così la possibilità ai contribuenti di opporre ricorso.
Pignoramento presso terzi: quali sono i limiti per l’Agenzia delle Riscossione?
Oltre questo importante punto di svolta sancito dalla Cassazione, il contribuente deve essere a conoscenza che l’agente di riscossione deve rispettare de limiti tassativi, nel rispetto della legge e della condizione minima di sussistenza del contribuente, per poter agire con pignoramento della pensione o dello stipendio.
L’art. 543 del codice di procedura civile detta i limiti previsti per i «crediti non pignorabili»: a tale articolo fa specifico rimando l’art. 72-bis del D.p.r. 602/73 che tratta per l’appunto l’istituto del pignoramento presso terzi:
“Le somme dovute da privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego.... possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle Province e ai Comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito”
L’art. 3 della Legge 16/2012 ha ampliato la disciplina prevista dal codice di procedura civile introducendo dei limiti entro i quali l’Agenzia delle Entrate - Riscossione deve attenersi. Per stipendio/pensione :
- fino a 2.500 euro la quota pignorabile è un decimo;
- tra 2.500 e 5.000 euro la quota pignorabile è un settimo;
- sopra i 5.000 euro la quota pignorabile è un quinto. (come previsto dal c.p.c.)
Potendo accedere all’anagrafe tributaria, l’Agenzia delle entrate può risalire alla posizione lavorativa del debitore e può imporre al suo datore di lavoro di trattenere una parte dello stipendio che sarà usata per il rimborso del debito.
Lo stipendio può essere pignorato anche direttamente sul conto corrente entro delle soglie limite necessarie per assicurare al soggetto i mezzi adeguati alle esigenze di vita: l’agente della riscossione non può pignorare un conto corrente in cui confluisce un solo stipendio, assegno sociale o altra forma di indennità, nel limite di 1.344 euro, che corrisponde al triplo dell’assegno sociale. L’eventuale eccedenza è invece pignorabile.
Un’altra regola da ricordare è la cumulabilità dei pignoramenti: se alla richiesta di pignoramento di Agenzia delle Entrate-Riscossione si aggiunge il pignoramento di un altro soggetto, le trattenute complessive sullo stipendio del debitore possono arrivare fino al 50% dell’importo netto.
Infine è opportuno ricordare che, per sbloccare un contro corrente pignorato, il contribuente leso nei suoi interessi (perché ad esempio non riesce ad accedere al credito bancario), può avanzare richiesta di rateizzazione all’Agenzia delle Entrate: in questo modo l’agente non potrà procedere con il pignoramento di nuove somme, ma quelle già riscosse non potranno essere restituite.
Per i pensionati, altro concetto da tenere ben a mente è il c.d. minimo vitale che è rappresentato dalla pensione minima sociale aumentata della metà ossia 672,10 euro. Se il pensionato percepisce solo redditi da pensione in misura equivalente o inferiore al minimo vitale non potrà subire alcun pignoramento; in caso di percezione di un assegno pensionistico superiore, la parte pignorabile corrisponde alla differenza tra la pensione percepita e il minimo vitale.
Es: su una pensione di 1.000 euro è pignorabile solo un decimo di 328,90 euro (ossia la differenza tra 1.000 e 672,10).
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Pignoramento stipendio e pensione: come difendersi?