Piccola società di capitali: l’infondatezza della pretesa tributaria salva il socio

Emiliano Marvulli - Società di capitali

Accertamento di utili extrabilancio e società a ristretta base societaria: l'annullamento dell'atto impositivo per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria determina l'illegittimità dell'avviso di accertamento in capo al socio. Lo stesso non accade in caso di vizi del procedimento. Lo stabilisce la Corte di cassazione con la Sentenza numero 8652 del 16 marzo 2022.

Piccola società di capitali: l'infondatezza della pretesa tributaria salva il socio

In materia di accertamento di utili extrabilancio in capo alla società a ristretta base societaria, l’annullamento dell’atto impositivo con sentenza passata in giudicato per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria determina l’illegittimità dell’avviso di accertamento in capo al socio.

L’effetto pregiudicante non opera invece se l’annullamento dell’avviso di accertamento deriva da vizi del procedimento, ad esempio l’inesistenza della notifica o l’errata intestazione dell’avviso.

Questo l’importante principio contenuto nella Sentenza n. 8652/2022 della Corte di Cassazione.

La sentenza – L’impugnazione davanti ai giudici di legittimità è conseguente al ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTR che ha rigettato l’appello dell’Ufficio contro la sentenza di primo grado di accoglimento del ricorso della socia di una società a ristretta base partecipativa.

In particolare, il giudice d’appello evidenziava che l’avviso di accertamento a carico della società era stato annullato, sicché il presupposto e l’origine dell’accertamento del reddito di partecipazione a carico dei soci è stato contestato in primo grado.

Pertanto, tenendo conto anche delle altre censure riguardanti l’onere della prova circa l’effettiva dimostrazione della distribuzione degli utili e dell’anno di riferimento, il giudice d’appello annullava anche l’accertamento relativo alla socia.

L’Agenzia delle Entrate ha lamentato violazione e falsa applicazione degli articoli 38 e 39, primo comma, lettera d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2697 c.c. in quanto, una volta accertati utili extrabilancio in capo alla società, la ristretta base azionaria costituisce presunzione semplice idonea ex se a far ritenere l’attribuzione pro-quota ai soci.

La corte di cassazione ha ritenuto infondato il motivo di ricorso proposto dalla Parte pubblica, ribadendo la tesi per cui, una volta venuto meno l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società in relazione agli utili extracontabili, vengono necessariamente travolti gli avvisi di accertamento emessi nei confronti dei soci delle società a ristretta base partecipativa.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la fondatezza della pretesa erariale contenuta nell’avviso di accertamento in ordine a ricavi non contabilizzati emesso a carico della società di capitali a ristretta base partecipativa, costituisce presupposto indefettibile per legittimare la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati.

Ne consegue che l’annullamento dell’atto impositivo con sentenza passata in giudicato per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria, avendo carattere pregiudicante, determina l’illegittimità dell’avviso di accertamento notificato al singolo socio sulla base della presunzione di percezione di maggiori utili societari.

Tale effetto non si realizza, invece, nelle ipotesi di annullamento per vizi del procedimento (nella specie per inesistenza della notifica e per errata intestazione dell’avviso), le quali danno luogo ad un giudicato formale, e non sostanziale, difettando una pronuncia che revochi in dubbio l’accertamento sulla pretesa erariale.

In questo caso, quindi, l’avviso di accertamento nei confronti del socio è legittimo salvo la prova che i maggiori ricavi non sono stati effettivamente distribuiti, perché accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (cfr. Ord. Cass. 37193/2021).

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