Negozi chiusi e affitti da pagare, nessuna sospensione dei canoni di locazione ed un aiuto minimo con il bonus del 60%. Come possono tutelarsi artigiani e commercianti in caso di inadempienze nel periodo del coronavirus? Alcune linee guida arrivano da Confcommercio, ma il buon senso deve fare la sua parte.
Negozi chiusi a causa del coronavirus ma affitti da pagare: in mancanza di norme specifiche per la sospensione dal pagamento dei canoni di locazione, artigiani e commercianti si interrogano sulle misure di tutela previste per legge.
Come ormai noto e nonostante i primi annunci, per i titolari di partita IVA costretti alla serrata dei negozi è stato introdotto soltanto un bonus a parziale ristoro del canone d’affitto pagato.
Un credito d’imposta, pari al 60%, rivolto esclusivamente ai locali di categoria C1 (negozi e botteghe) e che non solleva dall’adempimento degli obblighi contrattuali.
Il bonus per gli affitti non risolve il problema principale di artigiani e commercianti che si trovano in seria difficoltà economica nel pagamento del canone di locazione. Cosa fare e, soprattutto, quali strumenti sono previsti per legge nel caso di sopravvenuta impossibilità ad adempiere?
Alcune linee guida sono state fornite da Confcommercio. Fondamentale, mai come in questo periodo, è la regola del buon senso.
Negozi chiusi e affitti: gli strumenti di tutela per artigiani e commercianti
In una pagina informativa Confcommercio fornisce alcune utili indicazioni relative al problema degli affitti per i negozi chiusi.
Innanzitutto ricordiamo che con il Decreto Cura Italia, primo provvedimento economico per l’emergenza coronavirus emanato dal Governo, è stato introdotto un credito d’imposta a parziale ristoro del canone d’affitto pagato dai negozi costretti alla serrata.
Il bonus affitto è pari al 60% dell’importo pagato per la locazione di immobili che rientrano nella categoria catastale C1.
Non è stata prevista alcuna possibilità esplicita di sospendere il pagamento dell’affitto, ma soltanto un rimborso - riconosciuto attualmente solo per il mese di marzo.
Confcommercio ricorda tuttavia che il Decreto Cura Italia riconosce l’emergenza epidemiologica da Covid-19 come “possibile causa di inadempimenti contrattuali”, misura che esclude il diritto al risarcimento del danno da parte del creditore. Un’ancora di salvezza che tuttavia opera esclusivamente in sede giudiziaria ed in caso di controversia tra affittuario e proprietario dell’immobile commerciale.
Sarà subordinata a singole e specifiche valutazioni la possibilità di evitare danni ulteriori in caso di difficoltà nel pagamento degli affitti per i negozi chiusi a causa del coronavirus.
Un aspetto evidenziato da Confcommercio è tuttavia l’importanza del buon senso nelle parti del rapporto contrattuale. Evidenziando che il commerciante e l’artigiano non sono sollevati dall’obbligo di pagamento del canone d’affitto, viene portata come soluzione possibile un accordo per il pagamento posticipato della somma dovuta così come rateazioni o riduzioni.
Negozi chiusi e affitti, in mancanza di agevolazioni esplicite vale la regola del buon senso
Il Decreto Cura Italia ha deluso le aspettative dei tanti artigiani e commercianti chiamati, per tutela della salute pubblica, a sospendere le proprie attività.
Un nuovo decreto economico è stato annunciato per il mese di aprile, e si spera in misure più coraggiose anche sul fronte dei rapporti contrattuali, sia per i negozianti ma anche per i proprietari di immobili commerciali.
Nell’attesa però è necessario spingere per accordi di buon senso, soprattutto per quel che riguarda gli affitti dei negozi chiusi.
In considerazione del periodo di emergenza, si può quindi chiedere e valutare con il proprietario dell’immobile commerciale una riduzione del canone d’affitto, concordando modalità di pagamento agevolate.
Come ben illustrato dall’avvocato Ladislao Kowalski dalle pagine del Sole24Ore, si può ricorrere ai seguenti istituti legislativi:
- l’impossibilità parziale sopravvenuta (articolo 1464 del Codice Civile), che prevede la possibilità di chiedere una rimodulazione del canone d’affitto in considerazione del periodo di fermo dell’attività per il coronavirus;
- l’eccessiva onerosità sopravvenuta (articolo 1467 del Codice Civile), che porta alla possibilità di risoluzione del contratto e, da parte del proprietario dell’immobile, di individuare soluzioni idonee a tutelare gli interessi di ambedue le parti;
- l’impossibilità parziale del debitore (articolo 1258 del Codice Civile), con la quale l’affittuario si libera dall’obbligazione contrattuale eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile;
- l’impossibilità temporanea (art. 1256 del Codice Civile), che consente, per eventi non imputabili al debitore, di non essere responsabile per eventuali ritardi nel pagamento. La sospensione è limitata al periodo di chiusura legata ai provvedimenti del Governo. La fine del periodo di quarantena comporta l’obbligo di versare le somme “sospese”.
Quello che appare evidente è che in tutti i casi è la mediazione tra le parti a fare la differenza. Da incentivare è quindi la ricerca di un accordo, che tenga in considerazione la situazione emergenziale ed i problemi economici causati dal coronavirus, così come la necessità di rispettare (nei limiti del possibile) gli obblighi contrattuali intrapresi.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Negozi chiusi e affitti: gli strumenti di tutela per artigiani e commercianti