L'iscrizione ipotecaria su beni immobili costituiti in fondo patrimoniale è legittima. Il fondo paga solo i debiti familiari.
L’ordinanza della Corte di Cassazione numero 33065 del 9 novembre 2022 ha ribadito che l’iscrizione ipotecaria di cui all’articolo 77 del D.P.R. numero 602 del 1973 è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale, alle condizioni indicate dall’articolo 170 c.c., sicché
“è legittima solo se l’obbligazione tributaria sia strumentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità a tali bisogni, gravando in capo al debitore opponente l’onere della prova non solo della regolare costituzione del fondo patrimoniale, e della sua opponibilità al creditore procedente, ma anche della circostanza che il debito sia stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari, avuto riguardo al fatto generatore dell’obbligazione e a prescindere dalla natura della stessa (cfr. Cass. n. 20998/2018, in un caso nel quale venivano in rilievo sanzioni amministrative per violazione del codice della strada e per omesso pagamento di tributi), e che il detto creditore fosse a conoscenza di tale circostanza (cfr. Cass. n. 1652/2016)”
Secondo gli Ermellini, il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale va ricercato
“non già nella natura dell’obbligazione ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicché anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale può ritenersi contratto per soddisfare tale finalità, fermo restando che essa non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa del coniuge, dovendosi accertare che l’obbligazione sia sorta per il soddisfacimento dei bisogni familiari (nel cui ambito vanno incluse le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’univoco sviluppo della famiglia) ovvero per il potenziamento della capacità lavorativa, e non per esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (cfr. Cass. n. 3738/2015)”
I giudici di Piazza Cavour richiamano, altresì, e fanno proprio, il principio già dettato dalle SS. UU. - n. 19667/2014 -, secondo cui, se è vero che l’iscrizione ipotecaria è preordinata e strumentale all’espropriazione, altrettanto indubbio è che essa risponde a distinte finalità di garanzia e cautela
“così da non poter essere considerata un atto dell’espropriazione forzata, bensì un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria”
Nel caso in esame – osserva la Corte - la Commissione Tributaria Regionale ha rilevato che il contribuente non ha dimostrato, come era suo onere
“sia l’estraneità dei debiti alle esigenze familiari, trattandosi di imposte sui redditi che hanno natura mista, in quanto riguardano sia l’attività d’impresa del capo-famiglia sia l’utilizzo di tale reddito per le esigenze familiari, nonché la consapevolezza dell’Amministrazione finanziaria in ordine alla detta estraneità”
In pratica, il contribuente non ha assolto al proprio onere probatorio circa l’estraneità del debito alle esigenze familiari, nonché la conoscenza di tale estraneità in capo al creditore procedente.
Quanto alla mancata valutazione, da parte della Commissione Tributaria Regionale, della circostanza relativa alla formazione dei debiti tributari prima della formazione del nucleo familiare, i giudici di vertice rilevano che il ricorrente ha del tutto omesso di indicare specificamente la data di insorgenza dei debiti relativi all’iscrizione ipotecaria impugnata.
La Corte, da ultimo, si occupa del mancato esperimento dell’azione revocatoria da parte dell’Amministrazione. Al di là che trattasi di doglianza inammissibile in quanto costituisce questione nuova, per gli Ermellini, anche nel caso di debiti tributari
“l’Amministrazione finanziaria può agire in executivis sui beni inseriti nel fondo qualora gli stessi siano stati contratti per soddisfare i bisogni della famiglia nonché agire tramite azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c.; in altri termini, il creditore, oltre alla possibilità di ricorrere all’iscrizione ipotecaria sui beni del fondo, può inoltre utilizzare l’azione revocatoria ordinaria – e quindi veder dichiarata l’inefficacia nei suoi confronti degli atti di disposizione che possano recare pregiudizio alle sue ragioni – contro i crediti sorti anteriormente alla costituzione del fondo qualora sussistano i presupposti previsti dall’art. 2901 c.c., e ciò a patto che il debitore conoscesse il pregiudizio anzidetto o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, che l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento, ma l’iscrizione ipotecaria non è subordinata al previo esperimento dell’azione prevista dall’art. 2901 c.c.”
Brevi note
Come è noto, la riforma del diritto di famiglia del 1975 ha introdotto, nell’ordinamento legislativo italiano, il fondo patrimoniale, regolamentato dagli artt. 167 e seguenti del codice civile.
Il fondo patrimoniale è quel complesso di beni destinati a garantire e soddisfare le obbligazioni contratte per le necessità ed i bisogni della famiglia, che si struttura con il vincolo di destinazione apposto su determinati beni o sui diritti a questi connessi, in forza del quale gli stessi formano un patrimonio di destinazione, i cui frutti sono diretti al soddisfacimento delle obbligazioni contratte nell’interesse della famiglia.
Ai fini dell’esecuzione forzata sui beni e sui frutti del fondo patrimoniale, l’articolo 170 del codice civile pone precisi limiti all’esercizio di questa azione, in forza dei quali il creditore non può richiedere l’esecuzione forzata quando:
- il debito sia stato contratto per bisogni estranei alla famiglia;
- il creditore stesso sia stato a conoscenza dell’estraneità dell’obbligazione ai bisogni familiari.
L’eccezione all’impignorabilità dei beni – possibilità per il creditore di procedere esecutivamente quando il debito sia stato contratto per far fronte ai bisogni familiari – che trova la sua norma nell’articolo 170 del Codice civile, pone l’onere sul debitore di dimostrare che il debito sia stato contratto per scopi familiari.
Se in alcuni casi appare facile per il creditore pignorare i beni inclusi nel fondo nel caso, per esempio, di mancato pagamento della fornitura dell’acqua dell’immobile conferito nel fondo, non sempre è agevole individuare lo scopo del negozio giuridico posto in essere, in particolare in tutte quelle ipotesi in cui uno dei coniugi sia titilare di reddito d’impresa.
In sede giurisprudenziale, la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 15862/2009 ha affermato che
“il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo va ricercato non già nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse e i bisogni della famiglia (Cass. 8991/03, 12998/06), di talché risulta senz’altro erronea la sentenza impugnata ove ha ritenuto di eludere il divieto di esecuzione sui beni del fondo di cui all’art. 170 c.c. sulla base della natura legale e non contrattuale dell’obbligazione tributaria azionata in via esecutiva”
Ancora successivamente la Suprema Corte, con l’ordinanza n.5017 del 25 febbraio 2020, ha ritenuto iscrivibile l’ipoteca sui beni di un fondo patrimoniale in presenza di debiti tributari.
In particolare, si è sostenuto che
“il creditore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al debitore e conferiti nel fondo, se il debito sia stato contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero - nell’ipotesi contraria - purché il titolare del credito, per il quale procede alla riscossione, non fosse a conoscenza di tale estraneità, dovendosi ritenere, diversamente, illegittima l’eventuale iscrizione comunque effettuata. Ne consegue che i beni costituenti il fondo patrimoniale non possono essere sottratti all’azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell’obbligazione sia quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso oggettivo, ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore di vita prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari. Spetta, pertanto, al giudice di merito di accertare - in fatto - se il debito in questione si possa dire contratto per soddisfare i bisogni della famiglia, a prescindere dalla natura dello stesso: “sicché anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale può ritenersi contratto per soddisfare tale finalità, fermo restando che essa non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa, dovendosi accertare che l’obbligazione sia sorta per il soddisfacimento dei bisogni familiari, nel cui ambito vanno incluse le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’univoco sviluppo della famiglia, ovvero per il potenziamento della capacità lavorativa, e non per esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi”
E sempre la Cassazione, con l’ordinanza numero 15252 del 1° giugno 2021, ha confermato che l’iscrizione ipotecaria di cui all’art.77, del D.P.R. 602 del 1973, è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall’articolo 170 del codice civile, sicché è legittima solo se l’obbligazione tributaria sia strumentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità ai bisogni della famiglia, circostanze che non possono ritenersi dimostrate, né escluse, per il solo fatto dell’insorgenza del debito nell’esercizio dell’impresa.
In conseguenza di ciò, il debitore deve necessariamente dimostrare non solo la regolare costituzione del fondo patrimoniale e la sua opponibilità al creditore procedente, ma anche che il debito nei confronti di tale soggetto sia stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari.
E, al riguardo, è stato affermato che
“l’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 cod. civ. grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, sicché, ove sia proposta opposizione, ex art. 615 cod. proc. civ., per contestare il diritto del creditore ad agire esecutivamente, il debitore opponente deve dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente, ma anche che il suo debito verso quest’ultimo venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia, a tal fine occorrendo che l’indagine del giudice si rivolga specificamente al fatto generatore dell’obbligazione, a prescindere dalla natura della stessa: pertanto, i beni costituiti in fondo patrimoniale non potranno essere sottratti all’azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell’obbligarsi sia quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso meramente oggettivo ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari (Cass. n. 10166/2020; n. 20998/2018; Cass. n. 222761/2016; Cass. n. 641 e 5385 del 2015; Cass. Nn. 23876, 3738 del 2015; Cass. n. 4011 del 2013)”
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