IRAP e avvocati: guida normativa e ultime novità giurisprudenziali

Panoramica delle attuali regole IRAP per l'attività di avvocato ed analisi completa delle ultime e più rilevanti pronunce giurisprudenziali

IRAP e avvocati: guida normativa e ultime novità giurisprudenziali

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23274/2023, nel prendere atto che il giudice di merito ha escluso il requisito dell’autonoma organizzazione per un avvocato, nonostante la titolarità di un secondo studio legale e la possibilità di avvalersi della collaborazione di colleghi, ha rilevato che la CTR ha congruamente illustrato le ragioni che l’hanno indotta a ritenere non decisive le circostanze, da un lato, della disponibilità di un secondo studio legale (stante un impiego “assai limitato” dello stesso), e dall’altro della collaborazione di un altro avvocato (in ragione dell’ammontare della relativa spesa, in rapporto ai complessivi compensi dichiarati).

Profittando di questa recentissima pronuncia della Corte di Cassazione, proviamo a passare in rassegna le principali regole in materia di IRAP per gli studi legali e la panoramica delle ultime e più rilevanti posizioni giurisprudenziali.

IRAP sull’attività di Avvocato: l’analisi del fatto oggetto dell’ultima pronuncia della Corte di Cassazione

Un avvocato ha chiesto il rimborso dell’IRAP versata in relazione all’anno di imposta 2008, sul presupposto della carenza del requisito dell’autonoma organizzazione di cui all’art. 2, comma 1, del Decreto Legislativo numero 446/1997.

Il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione è stato impugnato dinanzi alla CTP di Frosinone, che ha accolto il ricorso.

Pronuncia confermata in appello, sul presupposto che le collaborazioni intrattenute con altri professionisti avessero natura del tutto episodica o “contenuto consulenziale”, e che l’impiego di un secondo immobile come studio legale fosse “assai limitato”.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, per avere il giudice di merito escluso il requisito dell’autonoma organizzazione, nonostante in senso diametralmente opposto deponessero le circostanze:

  • della titolarità di un secondo studio legale, di per sé suscettibile di eccedere “quel minimum di dotazione strumentale inerente all’esercizio dell’attività professionale di per sé inidonea a integrare quella “organizzazione autonoma” che (..) impone di applicare il prelievo Irap”;
  • e della possibilità di avvalersi della collaborazione di colleghi (“dovendo piuttosto presumersi, salvo prova contraria l’onere della cui produzione incombe sul contribuente, ex art. 2697 c.c., che la semplice compresenza e collaborazione nell’ambito di uno stesso studio, a prescindere dalle concrete forme organizzative adottate, valga a dar luogo a quelle maggiori utilità, almeno potenziali che giustificano l’applicazione dell’imposta oggetto della controversia”).

IRAP studio legale avvocato: il requisito dell’autonoma organizzazione nel Decreto Legislativo 446 del 1997

Per gli Ermellini, il requisito dell’autonoma organizzazione, previsto dall’art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997, ricorre quando il contribuente:

  • sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
  • impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione;
  • oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive (Cass., sez. un., 10/05/2016, n. 9451).

La Corte di Cassazione ha chiarito, che, nel caso di attività professionale, l’Irap coinvolge una capacità produttiva impersonale ed aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista (determinata dalla sua cultura e preparazione professionale) e colpisce un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa esterna cioè da

un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know-how del professionista (dal lavoro dei collaboratori e dipendenti, dal numero e dal grado di sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, dalle prestazioni di terzi, da forme di finanziamento diretto ed indiretto)

Cosicché è il “surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista (..), ad essere interessato dall’imposizione che colpisce l’incremento potenziale, o quid pluris, realizzabile rispetto alla produttività auto organizzata del solo lavoro personale” (Cass., 12/12/2019, n. 32510; Cass., 26/09/2018, n. 22969; Cass., Sez. Un., 26/05/2009, n. 12109; Cass., 18/11/2010, n. 23370; Cass., 28/07/2011, n. 16628).

Con specifico riguardo all’avvocato, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che

la locazione di uno studio, l’utilizzazione di software per il collegamento ad una banca dati, la formazione di un archivio, non costituiscono elementi idonei a configurare la sussistenza dei presupposti impositivi, poiché detti elementi, quali che siano il loro valore o le loro caratteristiche, rientrano nelle attrezzature usuali, o che dovrebbero essere usuali, per il suddetto professionista (Cass., 12/12/2019, n. 32510; Cass., 26/09/2018, n. 22969; Cass., 28706/2017, n. 16072; Cass., 28/12/2012, n. 24117; Cass., 13/06/2012, n. 9692; Cass., 24/07/2012, n. 13048)

Osserva la Corte che sebbene l’uso di uno studio non sia di per sé indice dell’esistenza di autonoma organizzazione, costituisce però oggetto dell’accertamento di fatto del giudice di merito (che deve valutare anche il profilo delle dimensioni e delle caratteristiche dello studio, poste in relazione al normale svolgimento di quella specifica attività) la verifica della eccedenza del bene strumentale rispetto al minimo indispensabile per l’esercizio di attività in assenza di organizzazione (Cass., 28/06/2017, n. 16072, con riferimento a un ragioniere).

Gli stessi giudici di Piazza Cavour richiamano un precedente – n.11086/2021 – che ha ritenuto (sempre con riguardo ad un avvocato) che

“l’utilizzo di due studi, ed in particolare di uno studio con costi di locazione per la somma di circa euro 300.000 l’anno, con euro 50.000 versati solo per il mese novembre-dicembre del 2005, non può essere ritenuto, come affermato dal giudice del merito, una spesa rientrante nel minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività di avvocato”

Tuttavia, concludono i massimi giudici, nel caso di specie, la CTR ha congruamente illustrato le ragioni che l’hanno indotta a ritenere non decisive, ai fini che in questa sede occupano, le circostanze, da un lato, della disponibilità di un secondo studio legale (stante un impiego “assai limitato” dello stesso), e dall’altro della collaborazione di un altro avvocato (in ragione dell’ammontare della relativa spesa, in rapporto ai complessivi compensi dichiarati).

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Brevi note tecniche ed operative in materia di IRAP per gli avvocati

La Corte di Cassazione, in materia di IRAP, più volte è intervenuta sull’applicabilità dell’imposta nei confronti degli avvocati, per fattispecie particolari.

Infatti, già con la sentenza n. 21563/2010, gli Ermellini hanno assoggettato ad IRAP un avvocato, che ha alle sue dipendenze un apprendista part time.

Sempre sul fronte avvocati, con la sentenza n. 7609/2014, la Corte ha ritenuto assoggettabile all’Irap l’avvocato, con segretaria part-time:

“l’IRAP va applicata nei casi in cui il lavoro autonomo – professionale (quale esso sia, e perciò indipendentemente dallo svolgimento di attività caratterizzata da intuitus personae) si avvalga di una significativa o non trascurabile organizzazione di mezzi e/o uomini in grado di ampliarne i risultati profittevoli, con la conseguenza che lo svolgimento di una libera professione come quella di medico, avvocato, commercialista, ragioniere, geometra, consulente, si colloca al di fuori dell’area di applicazione dell’IRAP solo a condizione (da provare da parte del contribuente e da accertare da parte del giudice di merito) che il professionista operi senza dipendenti (a prescindere dalla circostanza che essi siano o meno in grado di sostituire il professionista medesimo) e con le risorse umane e strumentali strettamente necessarie allo svolgimento della professione”

E con l’ordinanza n. 7153/2014 la Corte di Cassazione ha ritenuto che la quantità di spese affrontate da un avvocato – non siano fattore di per sé non decisivo se considerato nel suo importo globale, in quanto - ad esempio - le spese per trasferte o per i compensi ai domiciliatari non sono significative ai fini della sussistenza di una autonoma organizzazione.

Né assume valore decisivo la presenza di una segretaria. Per la Corte, “le modeste spese per personale dipendente non sono sufficienti a determinare, come invece ritiene la sentenza impugnata, l’automatica soggezione del contribuente ad IRAP (sentenza 2020/2013 di questa Corte)”.

Mentre, con la sentenza n. 16941/2015 (ud 27 marzo 2015) la Corte Cassazione ha ritenuto non applicabile l’Irap per l’avvocato che esercita in casa.

Nel caso di specie:

“il contribuente non ha neanche uno studio proprio ma esercita presso la propria abitazione; lo stesso, inoltre, è solo collaboratore di altro studio (la cui eventuale organizzazione è, quindi, irrilevante) ed ha costi per Euro 37.0332, che, se valutati nella loro specificità (Euro 5.026,00 per quote di ammortamento, Euro 1.773,00 per canoni di locazione finanziaria di beni mobili, Euro 1.439,00 per consumi, Euro 9.485,99 per spese locazione immobili, Euro 19.210,00 per altre spese…), non denotano autonoma organizzazione tale da rendere il cliente assoggettabile all’IRAP”.

La Corte, quindi, ha esonerato dall’IRAP il professionista/avvocato, che pur sostenendo costi elevati per l’esercizio dell’attività, è privo di organizzazione (in pratica, dalla lettura degli atti, sembra emergere un professionista conto terzi; cioè un professionista che confeziona lavoro per altri).

Invece, è tenuto a versare l’IRAP l’avvocato che paga elevati compensi ai collaboratori, ha molti clienti e sostiene ingenti spese di trasferta (Cass. ord. n. 20455/2019), così che la sua assenza dallo studio non incide sull’attività professionale.

E la collaborazione con altri professionisti del medesimo studio con pagamento di compensi da parte dell’avvocato può determinare l’autonoma organizzazione, salvo che non sia dimostrata l’irrilevanza dell’apporto dell’attività professionale dei colleghi (Cass. sent.n. 21806 del 29 agosto 2019).

E ancora il presupposto dell’autonoma organizzazione, richiesto dall’art. 2, del D. Lgs. n. 446 del 1997, ricorre quando il professionista responsabile dell’organizzazione si avvalga, pur senza un formale rapporto di associazione, della collaborazione di un altro professionista, stante il presumibile intento di giovarsi delle reciproche competenze, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze, sì da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente (a ribadirlo è la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27435/2020).

È sempre la Cassazione - ordinanza numero 11086/2021 - che torna ad affrontare la problematica dell’Irap per un avvocato (peraltro richiamata nella pronuncia da cui abbiamo preso le mosse).

Nel caso di specie, i massimi giudici, ritengono che l’avvocato sia soggetto Irap, essendo pacifico, in atti, che il contribuente abbia utilizzato per la sua attività professionale due studi, dando così dimostrazione della sussistenza dell’autonoma organizzazione. Infatti, l’utilizzo di due studi, ed in particolare di uno studio con costi di locazione per la somma di circa Euro 300.000 l’anno, non può essere ritenuto, come affermato dal giudice del merito, una spesa rientrante nel minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività di avvocato.

Peraltro:

sebbene l’uso di uno studio non sia di per sé indice dell’esistenza di autonoma organizzazione, costituisce però oggetto dell’accertamento di fatto del giudice di merito, che deve valutare anche il profilo delle dimensioni e delle caratteristiche dello studio, poste in relazione al normale svolgimento di quella specifica attività, la verifica della eccedenza del bene strumentale rispetto al minimo indispensabile per l’esercizio di attività in assenza di organizzazione

E ancora di recente, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14772/2023, ha affermato che non necessariamente si configura il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione in capo all’avvocato che si avvalga delle prestazioni di collaboratori.

La Corte richiama dei propri precedenti, dove è stato sostenuto che:

il valore assoluto dei compensi e dei costi, ed il loro reciproco rapporto percentuale, non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione di un professionista (nella specie promotore finanziario monomandatario), atteso che, da un lato, i compensi elevati possono essere sintomo del mero valore ponderale specifico dell’attività esercitata, e, dall’altro, le spese consistenti possono derivare da costi strettamente afferenti all’aspetto personale (spese alberghiere o di rappresentanza, assicurazione per i rischi professionali o il carburante utilizzato per il veicolo strumentale), rappresentando, così, un mero elemento passivo dell’attività professionale, non funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto «organizzativo» (Cass., 02/04/2020, n. 7652; si veda anche Cass., 10/04/2018, n. 8728, ai termini della quale l’elevato ammontare dei ricavi, dei compensi e delle spese, anche per beni strumentali, non integrano di per sè il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione)

Con particolare riguardo alle prestazioni di terzi collaboratori del professionista, ed ai relativi costi, la verifica del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione richiede un esame del concreto apporto di tali prestazioni all’effettivo svolgimento dell’attività del contribuente avvocato, al fine di verificare se il coinvolgimento di tali professionalità sia o meno estraneo al bagaglio professionale del contribuente (Cass., 17/04/2018, n. 9431, in motivazione; Cass. 24/01/2017, n. 1820).

E l’impiego non occasionale di lavoro altrui, costituente una delle possibili condizioni che rende configurabile un’autonoma organizzazione, sussiste se il professionista eroga elevati compensi a terzi per prestazioni afferenti l’esercizio della propria attività, restando indifferente il mezzo giuridico utilizzato e, cioè, il ricorso a lavoratori dipendenti, a una società di servizi o un’associazione professionale (Cass., 24/10/2014, n. 22674, e numerose successive conformi; Cass., 15/10/2021, n. 28341), e, ancora, che

in tema d’IRAP, non sono indicativi del presupposto dell’autonoma organizzazione i compensi corrisposti da un avvocato per le domiciliazioni presso i colleghi, trattandosi di prestazioni strettamente connesse all’esercizio della professione forense, che esulano dall’assetto organizzativo della relativa attività (Cass., 08/11/2016, n. 22695)

IRAP studio legale avvocato: conclusioni fiscali

In attesa dell’abolizione dell’IRAP prevista nella Legge delega n. 111/2023, che dovrebbe comunque essere sostituita da una sovraimposta, secondo le stesse regole dell’IRES, è indubbio che il contenzioso che si è alimentato nel corso di questi anni continuerà a proliferare.

E sicuramente l’aspetto centrale dei giudizi posti all’attenzione della Corte di Cassazione investirà le modalità con cui il giudice di merito è riuscito a descrivere l’esercizio dell’attività professionale.

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