Quali sono i principali indicatori di allerta della crisi d'impresa?
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Con l’introduzione del Decreto Legislativo n. 14 del 2019, la prevenzione della crisi d’impresa è divenuta sempre più centrale nel sistema aziendale nazionale.
Come spiegato in un recente intervento qui su Informazione Fiscale, in origine, il CNDCEC (Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili) aveva elaborato una serie di indicatori da monitorare costantemente per tenere sotto controllo lo stato di salute dell’impresa.
Seppur a livello legislativo si sia deciso di lasciare maggior autonomia, permettendo alle aziende di dotarsi del sistema di rilevazione della crisi più aderente alle proprie peculiarità, i seguenti indici prodotti dal summenzionato organo possono continuare ad essere utilizzati come bussola per i propri sistemi di allerta.
- Indice di sostenibilità degli oneri finanziari
- Indice di adeguatezza patrimoniale
- Indice di ritorno liquido dell’attivo
- Indice di liquidità
- Indice di indebitamento previdenziale e tributario
Indice di sostenibilità degli oneri finanziari
“Indice di sostenibilità degli oneri finanziari = Oneri finanziari/Fatturato x 100”
Come si evince dalla formulazione, l’indicatore mostra percentualmente il rapporto tra il costo dell’indebitamento e il totale dei ricavi di vendita.
Il valore di questo indice va assolutamente controllato: un maggior valore, infatti, implicherebbe l’aumento del peso degli oneri finanziari sul fatturato. E ciò vorrebbe dire una costante erosione del reddito e, a cascata, una sempre minor liquidità.
Vi è poi anche una questione legata ad eventuali nuovi indebitamenti. Le banche, infatti, nella concessione dei finanziamenti utilizzano come parametro di riferimento i ricavi di vendita, in quanto sono la prima fonte di entrata dell’azienda.
Di conseguenza, se l’incidenza degli oneri finanziari è bassa rispetto al volume del fatturato, è presumibile che la sostenibilità del debito sia stabile.
Ma quanto deve misurare questo indicatore? Secondo gli standard, in base ai diversi settori, la soglia tollerata varia dall’1,5 per cento al 3,8 per cento. Superata questa barriera, l’indebitamento finanziario assume dei contorni minacciosi per la tenuta dell’impresa.
Indice di adeguatezza patrimoniale
“Indice di adeguatezza patrimoniale = Patrimonio Netto/Debiti totali”
Come si nota, l’indice di adeguatezza patrimoniale misura il grado di capitalizzazione rispetto al volume totale dei debiti dell’impresa.
La situazione ideale è quella che vede l’indicatore pari o superiore a 1. Nella realtà, però, la stragrande maggioranza delle imprese soffre il fenomeno della sottocapitalizzazione, ricorrendo a diverse forme di indebitamento.
Anche qui molto dipende dal settore, ma tendenzialmente è importante che tale rapporto non raggiunga un livello inferiore a 0,3, in considerazione di quanto appena riportato.
Al di sotto di questa soglia, scatta un segnale di allarme. Significa infatti che il peso del debito sta divenendo troppo eccessivo e rischia di schiacciare la tenuta patrimoniale dell’azienda. In questi casi, la miglior soluzione è preventiva: va infatti sempre tenuto in equilibrio il mix delle fonti di finanziamento.
Tra l’altro, l’indice di adeguatezza patrimoniale si lega a quello della sostenibilità degli oneri finanziari: un peggioramento di quest’ultimo, infatti, rischia di avere effetti negativi sulla struttura patrimoniale dell’impresa.
Indice di ritorno liquido dell’attivo
“Indice di ritorno liquido dell’attivo = Reddito netto+Costi non monetari-Ricavi non monetari/Totale Attivo x 100”
Per comprendere meglio tale indicatore, è importante analizzare i termini del numeratore, quest’ultimo anche definibile come autofinanziamento legato alla gestione reddituale.
Il reddito netto è il risultato dell’intera gestione, calcolato partendo dal valore della produzione a cui sottrarre sia i costi monetari (ad es. i costi energetici, costi per il personale, costi di produzione) sia quelli non monetari (es. ammortamenti, accantonamenti, svalutazioni e similari). Vanno poi sommati algebricamente i risultati delle altre aree gestionali quali quella accessoria, finanziaria, straordinaria, fiscale e i ricavi non monetari (es. rivalutazioni, plusvalenze non realizzate ecc.).
Il reddito netto è dunque una misura influenzata da costi e ricavi che non presentano una manifestazione, appunto, di natura monetaria. Proprio per questa ragione, devono essere opportunamente esclusi dal calcolo della liquidità. Ciò perché l’obiettivo dell’indicatore è offrire un risultato che mostri il rendimento liquido (non economico o finanziario) dell’attivo.
Al contrario dei precedenti, non esiste un livello ottimale per stabilire quando il ritorno liquido dell’attivo sia preoccupante. Va infatti sempre comparato con alcuni valori di settore.
Va comunque evidenziato che più è alto tale parametro, maggiore è la liquidità prodotta dall’attivo di Stato Patrimoniale. Occorre dunque lavorare sull’abbattimento dei costi di gestione o sull’incremento del fatturato (ai fini di aumentare il reddito netto), eliminando i riferimenti alle poste non monetarie che vengono sostanzialmente annullate.
Le configurazioni dell’indice di liquidità
Sempre in tema, l’indice di liquidità è uno dei principali strumenti utilizzati per la prevenzione della crisi d’impresa.
Fondamentalmente, tale indicatore mette in rapporto l’attivo corrente con il passivo corrente. Se per quest’ultimo si intendono tutti i debiti (commerciali e finanziari) con scadenza prevista entro 12 mesi dalla fine dell’esercizio utilizzato come riferimento per il calcolo, per l’attivo corrente è opportuno effettuare delle distinzioni, in quanto il grado di liquidità è differente.
L’attivo corrente è infatti composto da liquidità immediate (disponibilità liquide), liquidità differite (crediti) e rimanenze. Ognuna di queste tre categorie ha un grado di liquidità diverso e, all’interno delle categorie delle liquidità differite e delle rimanenze, si hanno forme differenti di grandezze liquidabili.
Proprio per tali motivi, è opportuno distinguere tre indici di liquidità.
Per correttezza, va detto che gli indicatori tengono in considerazioni parametri di bilancio (riferiti allo Stato Patrimoniale) che non sempre riflettono lo stato reale delle cose. Per poter avere un calcolo corretto, infatti, bisognerebbe integrare i valori dell’ultimo bilancio con le operazioni intercorse nel lasso di tempo che va dalla fine dell’esercizio precedente al momento in cui si effettua la rilevazione.
Indice di liquidità immediata
“Indice di liquidità immediata = Liquidità immediate/Passività correnti”
Il primo è quello che mette in rapporto la sola liquidità immediata con le passività correnti. Per liquidità immediata intendiamo il denaro in cassa, i depositi su conto corrente bancario o su conto corrente postale, gli assegni e, più in generale, tutto ciò che può considerarsi moneta.
Una costante che si ritrova in tutte e tre le configurazioni è l’interpretazione: in tutti i casi, infatti, l’ideale è avere un valore pari o superiore a 1. Nel caso specifico, avere un valore di 1,5 (a titolo esemplificativo) vorrebbe dire avere delle liquidità immediate pari al 50 per cento in più dei debiti correnti. Pertanto, non dovrebbero esserci grosse difficoltà nel gestire le scadenze, in quanto si può far fronte tempestivamente alle spese a breve termine.
In caso contrario, l’allarme sarebbe forte. Avere un indice inferiore all’unità significherebbe avere delle risorse liquide che, al momento del calcolo, non consentono di ottemperare a tutti i debiti in scadenza entro un anno. Un buon modo per cui il controllo di gestione può agire in merito è quello di ridurre i tempi di incasso, convertendo eventuali crediti in moneta, e cercare di agire il più possibile sulla gestione caratteristica, aumentando il reddito operativo.
Indice di liquidità primaria
“Indice di liquidità primaria (quick ratio) = Liquidità immediate+Liquidità differite/Passività correnti”
Rispetto all’indice di liquidità immediata, quella primaria aggiunge al numeratore le liquidità differite. Aritmeticamente, a meno che (caso raro) le liquidità differite siano pari a zero, tale indice sarà sicuramente migliore rispetto al precedente.
Le liquidità differite sono rappresentate dai crediti. Anche qui, come anticipato, se l’ammontare di quest’ultimi, unito alle forze liquide già in essere, riesce a coprire i debiti a breve termine, allora la situazione può considerarsi positiva (indice > 1). Viceversa, il problema per la salute dell’impresa è evidente.
Come accennato poc’anzi, bisogna opportunamente valutare l’indicatore. I crediti, soprattutto quelli commerciali, non sono uguali. Alcuni possono essere facilmente incassati, altri richiedono maggior attenzione, altri ancora possono persino essere oggetto di svalutazione. Pertanto, avere una massa di crediti imponente potrebbe anche garantire un valore alto del quick ratio, ma a conti fatti, se una parte di questi risulta essere inesigibile, è chiaro che la rappresentazione potrebbe essere distorta.
Dunque, è sempre necessario integrare il calcolo matematico con dati verificabili e reali.
Indice di liquidità secondaria
“Indice di liquidità secondaria (current ratio) = Liquidità immediate+Liquidità differite+Rimanenze/Passività correnti”
In quest’ultimo caso, si aggiungono anche le rimanenze. Come è intuibile, il grado di incertezza di conversione in liquidità delle rimanenze è più alto rispetto ai crediti. E, ancora, all’interno delle varie tipologie di rimanenze vi sono differenze: le merci o i prodotti finiti presentano un grado di liquidabilità più elevato rispetto ai semilavorati o delle materie prime.
In tal caso, la maggior parte degli analisti suggerisce di puntare ad un indicatore superiore a 1, ma di molto, per evitare di valutare positivamente un indice che include le rimanenze.
Indice di indebitamento previdenziale e tributario
“Indice di indebitamento previdenziale e tributario = Debiti previdenziali+Debiti tributari/Totale Attivo x 100”
L’ultimo indicatore originariamente elaborato dal CNDCEC è legato all’indebitamento non commerciale e, nello specifico, a quello previdenziale e tributario.
Qui si vuole verificare l’esposizione debitoria nei confronti dello Stato rispetto all’attivo. In questi casi, non ci sono riferimenti. Pertanto, sarà necessario un confronto con i concorrenti appartenenti allo stesso settore.
Adeguati assetti aziendali, online il test ANCE – CNDCEC per il settore edilizia
Per i dottori commercialisti e gli esperti contabili iscritti all’albo è disponibile gratuitamente uno strumento per una prima valutazione sull’atteggiamento delle imprese rispetto all’istituzione di sistemi di controllo interno.
Il software è disponibile nell’area riservata agli iscritti del sito del Consiglio nazionale il test “Autodiagnosi adeguati assetti aziendali“, in forma di questionario, per effettuare la valutazione sul livello di adeguamento aziendale delle imprese del settore costruzioni rispetto all’istituzione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili previsti nell’articolo 2086, comma 2, codice civile e nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al d.lgs. 14/2019).
L’iniziativa nasce dalla collaborazione fra l’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) e il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili (CNDCEC), mediante la propria Fondazione Nazionale di Ricerca.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Crisi d’impresa: analisi dei principali indicatori di allerta