Accertamento di un maggior reddito dell'impresa familiare: si riferisce solo al titolare, è escluso il coinvolgimento degli altri familiari collaboratori aventi diritto alla partecipazione agli utili d'impresa, da momento che non sono contitolari ma ne ricavano solo un reddito da lavoro. La posizione della Corte di Cassazione nell'Ordinanza numero 9198 del 2022.
In caso di accertamento di un maggior reddito dell’impresa familiare, lo stesso deve essere riferito soltanto al titolare dell’impresa, rimanendo escluso che possa essere attribuito pro-quota agli altri familiari collaboratori aventi diritto alla partecipazione agli utili d’impresa, in quanto questi non sono contitolari della stessa ma ne ricavano solo un reddito da lavoro.
Questo il contenuto dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 9198 del 22 marzo 2022.
- Corte di Cassazione - Ordinanza numero 9198 del 22 marzo 2022
- Il testo dell’Ordinanza numero 9198 del 22 marzo 2022.
La Sentenza – La controversia è sorta a seguito del ricorso presentato dal titolare di un’impresa familiare a seguito della notifica dell’avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle Entrate ha rettificato il reddito dichiarato per l’omessa contabilizzazione e dichiarazione dei ricavi relativi alla percezione di somme a titolo di indennità di fine rapporto.
Con l’impugnazione il contribuente ha eccepito il difetto di legittimità passiva in riferimento al 49 per cento dell’imponibile accertato, riferibile ai familiari in quanto titolari di tale quota dell’impresa familiare.
Giunta la controversia sin in CTR, qui i giudici hanno ritenuto infondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva in relazione all’imputazione del residuo 49 per cento di reddito ulteriore, accertato al titolare dell’impresa familiare invece che ai familiari partecipanti, in quanto, in tale forma di impresa, l’imprenditore era solo il titolare e non i collaboratori.
L’imprenditore ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione del disposto di cui all’art. 5, quarto comma, del d.P.R. n.917 del 1986, laddove la C.T.R. aveva affermato che il maggior reddito accertato, prodotto in regime di impresa familiare, dovesse essere assoggettato a tassazione unicamente presso l’imprenditore e non presso i collaboratori, senza che fosse mai stata contestata l’esistenza, in fatto e in diritto, dei presupposti formali e sostanziali previsti dall’art.5, quarto comma, del d.P.R. n.917/1986.
La Suprema Corte ha ritenuto infondato il motivo e ha rigettato il ricorso originariamente proposto dall’imprenditore.
In materia di redditi prodotti in forma associata, l’art. 5 del TUIR prevede che i redditi delle imprese familiari, limitatamente al 49 per cento dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore, sono imputati a ciascun familiare (coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado), che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell’impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.
La disposizione si applica a condizione che:
- a) i familiari partecipanti all’impresa risultino nominativamente, con l’indicazione del rapporto di parentela o di affinità con l’imprenditore, da atto pubblico o da scrittura privata autenticata anteriore all’inizio del periodo d’imposta, recante la sottoscrizione dell’imprenditore e dei familiari partecipanti;
- b) la dichiarazione dei redditi dell’imprenditore rechi l’indicazione delle quote di partecipazione agli utili spettanti ai familiari e l’attestazione che le quote stesse sono proporzionate alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato nell’impresa in modo continuativo e prevalente, nel periodo d’imposta;
- c) ciascun familiare attesti, nella propria dichiarazione dei redditi, di aver prestato la sua attività di lavoro nell’impresa in modo continuativo e prevalente.
A parere dei giudici di cassazione la sentenza impugnata è corretta perché in linea con l’interpretazione prevalente secondo cui, in materia di impresa familiare, il reddito percepito dal titolare, che è pari al reddito conseguito dall’impresa al netto delle quote di competenza dei familiari collaboratori, costituisce un reddito d’impresa, mentre le quote spettanti ai collaboratori - che non sono contitolari dell’impresa familiare - costituiscono redditi di puro lavoro, non assimilabili a quello di impresa, e devono essere assoggettati all’imposizione nei limiti dei redditi dichiarati dall’imprenditore.
Di conseguenza, dal punto di vista fiscale, in caso di accertamento di un maggior reddito imprenditoriale, lo stesso deve essere riferito soltanto al titolare dell’impresa, rimanendo escluso che possa essere attribuito pro-quota agli altri familiari collaboratori aventi diritto alla partecipazione agli utili d’impresa.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Nell’impresa familiare l’imprenditore è solo il titolare