L'imposta sostitutiva versata per il perfezionamento del valore di acquisto di partecipazioni non può essere rimborsata. Non lo permette la natura irretrattabile della dichiarazione di volontà espressa con l'esercizio dell'opzione. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione
Ai fini del perfezionamento della procedura di rideterminazione del valore di acquisto di partecipazioni assumono rilievo esclusivamente la redazione della perizia giurata di stima ed il pagamento dell’imposta sostitutiva effettuato nei termini di legge, essendo irrilevante l’effettiva realizzazione della plusvalenza a seguito di cessione.
Pertanto, non sussiste il diritto al rimborso dell’imposta versata, sulla base della natura irretrattabile della dichiarazione di volontà espressa con l’esercizio dell’opzione fiscale, la quale non è inficiata se non nel caso di errore obiettivamente riconoscibile ed essenziale ai sensi dell’articolo 1428 c.c.
Questo il contenuto dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 31120/2023.
L’opzione per l’affrancamento del valore delle quote è irretrattabile, un caso pratico
Nella controversia in commento il detentore di quote di partecipazione in una società di capitali procedeva, mediante perizia giurata, alla rivalutazione delle sue quote e versava due rate della relativa imposta sostitutiva.
A seguito dell’avvio della procedura concorsuale di concordato preventivo, il socio presentava all’Ufficio territorialmente competente dell’Agenzia delle Entrate di rimborso di quanto versato, dato il venir meno di ogni valore della partecipazione in questione e, così, della possibilità di realizzare una qualche plusvalenza mediante cessione.
Avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Ufficio, il contribuente ha proposto ricorso.
Il gravame è stato respinto sia dalla CTP che dalla CTR e avverso la decisione del giudice d’appello il contribuente ha proposto ricorso in cassazione, eccependo violazione o falsa applicazione dell’art. 1 commi 626 e 627 della legge n. 190/2014 e dell’art. 38 del DPR 602/1973.
Il ricorrente ha dedotto, nello specifico, che sussisterebbe il diritto al rimborso di quanto versato, dato che la revoca dell’opzione fiscale sarebbe derivata da una scelta unilaterale di soggetti terzi, nello specifico gli amministratori ed i creditori della società, da cui sarebbe conseguita l’insussistenza del presupposto normativo della plusvalenza e, quindi, dell’elemento causale della relativa dichiarazione di volontà.
I giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno ritenuto infondato il motivo di doglianza e hanno rigettato il ricorso.
Rivalutazione delle partecipazioni: no al rimborso dell’imposta
Il collegio di legittimità ha ricordato in premessa che, in materia di plusvalenze, l’opzione per la rivalutazione delle partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati costituisce atto unilaterale dichiarativo di volontà del contribuente, che non può, in un secondo momento, essere revocato.
Al riguardo, la scelta di ricorrere alla rivalutazione delle proprie partecipazioni comporta benefici sia in capo al contribuente che all’Amministrazione finanziaria, dato che il primo, con il versamento dell’imposta sostitutiva, in caso di futura cessione, ottiene un risparmio sull’imposta altrimenti dovuta sulla plusvalenza non affrancata, mentre la seconda riceve un immediato introito fiscale.
L’obbligazione tributaria così sorta si considera perfezionata con il versamento dell’intero importo dell’imposta sostitutiva ovvero, in caso di pagamento rateale, con il versamento della prima rata, non essendo subordinata alla effettiva realizzazione della plusvalenza a seguito di cessione.
Per il perfezionamento della procedura di rideterminazione del valore di acquisto di partecipazioni, prevista dall’art. 5 della legge n. 448/2001, assumono rilievo la redazione della perizia giurata di stima ed il pagamento dell’imposta sostitutiva, da effettuarsi per l’intero importo ovvero con il versamento della prima rata entro i termini indicati dal predetto articolo 5.
Il contribuente paga, in tal modo, un’imposta che si sostituisce a quella futura e il cui presupposto non è la futura e incerta plusvalenza, ma l’importo riscontrato effettivamente mediante la perizia giurata che lo stesso contribuente affida al professionista.
L’interesse del contribuente a liberarsi dalla futura tassazione della plusvalenza corrisponde all’interesse erariale a incassare un tributo nell’anno in cui il contribuente esercita la facoltà, senza attendere la futura e incerta maturazione della plusvalenza.
Né può dirsi che la scelta del contribuente sia solo un’attenuazione del prelievo dovuto “al verificarsi del fatto tassabile”, giacché l’imposta sorge ed è liquidata immediatamente e il beneficio è altrettanto immediato: il contribuente è da quel momento libero di cedere il bene senza essere soggetto a tassazione della plusvalenza.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha confermato che il ricorrente non ha diritto al rimborso di quanto versato in termini di imposta sostitutiva in quanto la realizzazione della plusvalenza a seguito di cessione delle partecipazioni rivalutate non costituisce presupposto dell’opzione.
Il giudice di seconde cure, pertanto, ha correttamente applicato l’art. 38 del DPR n. 602/73, non ritenendo sussistente il diritto al rimborso di quanto versato, sulla base della natura irretrattabile della dichiarazione di volontà espressa con l’esercizio dell’opzione fiscale, la quale non è inficiata se non “nel caso di errore obiettivamente riconoscibile ed essenziale ai sensi dell’art. 1428 c.c.”
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