Il sistema di tassazione italiano penalizza le donne che restano nel mondo del lavoro: è questo il titolo dello studio condotto dalla dottoressa Tania Stefanutto su gender tax e occupazione femminile. Il Fisco invita a lasciare o a ridurre la propria attività.
Il sistema di tassazione italiano penalizza le donne (o il coniuge debole) che restano nel mondo del lavoro: è questo il titolo dello studio condotto dalla dottoressa Tania Stefanutto in materia di gender tax.
E le cifre che emergono dall’ultimo bilancio di genere pubblicato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze sembrano darle ragione: la differenza tra l’occupazione femminile e quella maschile è pari al 17,9%.
In una famiglia composta da marito, moglie e figlia o figlio, lasciare o ridurre l’attività lavorativa per la madre è la scelta economicamente più conveniente rispetto ad assumere una baby sitter o a pagare una retta per l’asilo nido.
È questo lo scenario che emerge dall’analisi che parte dalla gender tax. Formulata da Alberto Alesina e Andrea Ichino, la proposta consiste nel differenziare la tassazione per genere prevedendo una pressione fiscale ridotta sul lavoro delle donne. Obiettivo? Ridurre il divario di genere, aumentando l’offerta di lavoro e non solo la domanda.
Potrebbe essere questo il punto cruciale per invogliare le donne a restare nel mondo del lavoro, a non abbandonarlo o a non ridurre il loro impegno nel momento in cui diventano madri.
Di questo tema e di altre questioni collegate parleremo nei prossimi giorni in diretta streaming sul canale Youtube di Informazione Fiscale con la Dottoressa Tania Stefanutto in un video approfondimento dedicato.
Il sistema di tassazione italiano penalizza le donne che restano nel mondo del lavoro
Di seguito l’abstract dello studio Il sistema di tassazione italiano penalizza le donne (o il coniuge debole) che restano nel mondo del lavoro.
In Italia, ad esempio, una famiglia che decida di affidare la cura della casa e dei figli ad un collaboratore esterno (Colf o babysitter) avrà riconosciuto, in capo al soggetto che ha materialmente sostenuto il costo, come unico onere deducibile il costo relativo ai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, nel massimo di € 1.549,37.
A fronte di un reale costo, per una babysitter part-time, di ca. 850-900€ al mese (compreso di ratei e contributi ed elaborazione busta paga), il contribuente si vedrà riconosciuto un onere detraibile dal reddito pari a ca. 70-75€ al mese.
Alternativa all’assunzione di un collaboratore è l’utilizzo di strutture esterne per la gestione dei bambini, quali gli asili nido, siano essi pubblici o privati. In questo caso si ha una detrazione d’imposta che è pari al 19% della retta (massimo valore riconosciuto come retta annua 632€): ad una famiglia che utilizza il servizio del nido è restituito un importo massimo di € 120,00 su base annua (a fronte di una spesa compresa tra i 5 e 6.000€).
La situazione familiare, cui applicare la teoria dei giochi con l’equilibrio di Nash e l’ottimo di Pareto, porta a ricercare il miglior risultato possibile: esternalizzare il ruolo genitoriale ha un costo monetario diretto, il cui beneficio diretto è il mantenimento di un livello retributivo e di carriera prenascita. Dopo la nascita, però, vi sono delle variabili monetarie che possono intervenire per alterare tale equilibrio: i sussidi alla genitorialità oggi esistenti. Alle famiglie sono riconosciute detrazioni d’imposta per familiari a carico, assegni familiari, bonus nascita, riduzioni sui costi della mensa, del trasporto scolastico, sulla fornitura dei libri di testo, ecc., in funzione del reddito complessivo del nucleo stesso: al crescere del reddito decrescono i sussidi.
Contestualizzando, quindi, nell’attuale sistema la nascita di un figlio comporta in capo ad una famiglia una scelta (ovviamente in assenza di ausili parentali ascendenti – i nonni): il mantenimento del livello di reddito precedente (la torta) potrebbe ridursi significativamente se, per mantenere inalterato il potere contrattuale femminile (reddito netto), fosse necessario sostenere un costo e, per effetto del cumulo dei redditi, vi fosse un accesso limitato ai sussidi. In poche parole, per come oggi è configurato il sistema tributario e degli aiuti alla genitorialità può rendere ottimale per la famiglia la scelta di far uscire la donna dal mondo del lavoro attivo: la torta può essere maggiore se la donna si dedica ai lavori non remunerati, essendo l’ottimo quello che deve raggiungere il gruppo a discapito del singolo.
Reddito Totale Netto = Reddito Netto Uomo (meno eventuali costi di produzione, es. trasporti) + Reddito Netto Donna (meno eventuali costi di produzione, es. asilo nido-babysitter) + Bonus Genitorialità (assegni familiari, regressivi all’incremento del reddito, mensa, trasporti, ecc.).
Nella realtà “fiscale” nazionale il Reddito netto Donna è spesso prossimo al costo di produzione, con la beffa che sommandosi al reddito dell’uomo genera un peggioramento dello scaglione di assegnazione dei bonus.
Vediamo, con un banale esempio in cui entrambi i coniugi, prima di avere un figlio percepiscono un Ral pari alla media di categoria sopra riportata, quali scelte si troveranno ad affrontare:
- mantenimento del precedente sistema familiare dopo la nascita del bambino e quindi ausilio alla genitorialità di un congiunto;
- utilizzo di strutture esterne (nido) o di un collaboratore familiare;
- riduzione dell’orario di lavoro materno con il passaggio da un contratto a tempo pieno ad uno part time.
Nel grafico il riassunto dei risultati.
È chiaro come il reddito netto (seconda parte) sia sostanzialmente identico in caso di part-time della donna o di accesso all’asilo.
Ben diversa sarebbe la situazione in caso riconoscimento delle rette come costo figurativo per il genitore: a parità di costo vi sarebbe un miglioramento del reddito complessivo di oltre 2.000€.
Il vantaggio monetario tra mantenere i livelli lavorativi precedenti, gli assegni familiari riconosciuti, i costi necessari all’ausilio alla genitorialità e la peggior qualità della vita familiare (necessità di migliore organizzazione familiare per ottimizzare i tempi) e la riduzione del 50% del tempo retribuito per la donna è pari a meno del 10% del reddito complessivo familiare.
Tra i motivi, non culturali, che spiegano anche la bassa occupazione femminile vi è anche questo sistema fiscale che non premia le donne che restano nel mondo del lavoro utilizzando supporti esterni e, in modo del tutto perverso, le penalizza con la riduzione dei sussidi familiari.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Il sistema di tassazione italiano penalizza le donne che restano nel mondo del lavoro