Validità ed efficacia della firma CADES e PADES nel processo tributario telematico: un approfondimento sul tema partendo dal caso analizzato nell'Ordinanza numero 26099 del 2021 dalla Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 26099/2021, ha chiarito recentemente alcuni rilevanti profili in tema di firma CADES nell’ambito del processo tributario telematico.
Nel caso di specie, la società contribuente aveva proposto ricorso per cassazione avverso una sentenza della Commissione Tributaria Regionale, che ne aveva rigettato l’appello proposto avverso la decisione della Commissione Tributaria Provinciale, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso per omessa produzione degli originali delle tre cartelle di pagamento impugnate.
In particolare, la Commissione Tributaria Regionale, per quanto di interesse, aveva ritenuto che la notifica delle tre cartelle di pagamento impugnate, avvenuta a mezzo PEC, era rituale, in quanto le firme digitali di tipo CADES e di tipo PADES, pur se con le differenti estensioni “p7m” e "“pdf”, erano entrambe valide ed efficaci.
I giudici di secondo grado aveva conseguentemente ritenuto tardivo il ricorso della contribuente.
- Corte di Cassazione - Ordinanza numero 26099 del 27 settembre 2021
- Il testo dell’Ordinanza numero 26099 della Corte di Cassazione del 27 settembre 2021.
Firma CADES e PADES nel processo tributario telematico: il caso dell’Ordinanza n. 26099/2021
Nel presentare ricorso in Cassazione, la società deduceva quindi la violazione degli artt. 21, comma 1, Dlgs. n. 546 del 1992,, 26, comma 2 Dpr. n. 602 del 1973, e 20, comma 1 bis, Dlgs. n. 82 del 2005, in quanto, a suo avviso erroneamente, la sentenza impugnata aveva affermato che la PEC, con la quale le tre cartelle le erano state notificate, aveva il crisma dell’autenticità, sebbene i files contenenti le cartelle avessero un’estensione “pdf” e non “p7m”.
Al contrario, rilevava la ricorrente, l’allegato al messaggio PEC, riproduttivo delle cartelle esattoriali notificate, doveva rappresentare un vero e proprio documento informatico, dotato di firma digitale, generato in formato “p7m”, estensione che rappresentava la c.d. busta crittografica, contenente al suo interno il documento originale, l’evidenza informatica della firma e la chiave per la sua verifica.
Pertanto, la notifica delle tre cartelle, di cui era causa, secondo la ricorrente, era da qualificare come giuridicamente inesistente, con la conseguenza che il ricorso non era tardivo.
Nella specie, aggiungeva, non si stava parlando, del resto, di notifica con modalità telematiche degli atti del processo, ma di notifica di cartelle di pagamento, che erano atti amministrativi di natura impositiva, per i quali la riproduzione in formato pdf non era idonea a garantire le esigenze di sicurezza, integrità ed immodificabilità del documento, che potevano assicurare solo i file con estensione “p7m”.
Secondo la Suprema Corte la censura era infondata.
La posizione della Corte di Cassazione su firma CADES e PADES nel processo tributario telematico
Evidenziano i giudici di legittimità che correttamente la Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto che le tre cartelle di pagamento impugnate fossero state ritualmente notificate alla società ricorrente a mezzo PEC, atteso che, per la validità di detta notifica, non era necessario che i documenti trasmessi avessero estensione “p7m”, essendo sufficiente che essi avessero estensione “pdf”.
La Corte ricorda che la giurisprudenza di legittimità (cfr., Cass. SS.UU. n. 10266 del 2018) ha escluso la sussistenza dell’obbligo esclusivo di usare la firma digitale in formato CADES, nel quale il file generato si presenta con l’estensione finale «p7m», rispetto alla firma digitale in formato PADES, nel quale il file sottoscritto mantiene il comune aspetto “nomefile.pdf”, atteso che anche la busta crittografica generata con la firma PADES contiene pur sempre il documento, le evidenze informatiche ed i prescritti certificati, in modo che anche tale ultimo formato offre tutte le garanzie e consente di effettuare le verifiche del caso, anche secondo il diritto comunitario.
Aggiunge inoltre la Corte che non sono del resto ravvisabili elementi obiettivi, in dottrina e prassi, tali da far ritenere che solo la firma in formato CADES offra garanzie di autenticità, laddove il diritto dell’UE e la normativa vigente nel nostro Paese certificano l’equivalenza delle due firme digitali, egualmente ammesse dall’ordinamento, sia pure con le differenti estensioni “p7m” e “pdf”.
Concludeva poi la Cassazione rilevando che, in ogni caso, l’eventuale irritualità della notificazione di un atto a mezzo PEC non ne comporta la nullità, se la consegna dello stesso ha comunque prodotto, come era avvenuto anche nella fattispecie in esame, il risultato della sua conoscenza, ben potendosi applicare anche in tali casi l’istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo, di cui all’art. 156 cod. proc. civ. (cfr., Cass. n. 23620 del 2018).
Infine i giudici evidenziano che la natura sostanziale e non processuale delle cartelle di pagamento non esclude l’applicabilità alla notifica delle stesse delle norme dettate in materia processuale, essendo tali ultime norme espressamente richiamate nella disciplina tributaria qualificabile come “amministrativa”, laddove l’art. 26 comma 5 del Dpr. n. 602 del 1973, concernente la notifica delle cartelle di pagamento, rinvia all’art. 60 del Dpr. n. 600 del 1973, in materia di notifica degli avvisi di accertamento, e quest’ultimo articolo rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, ivi compresa la norma citata di cui all’art. 156 cod. proc. civ. (cfr., Cass. n. 6417 del 2019).
In conclusione, nella specie, la CTR aveva fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziale vigenti in materia di notifiche di cartelle di pagamento a mezzo PEC e il ricorso andava respinto.
Al di là dello specifico caso processuale, in termini più generali giova infine anche evidenziare quanto segue.
In caso di notifica di cartella via PEC è esclusa la sussistenza di un obbligo esclusivo di usare la firma digitale in formato CADES (cfr., anche Cass., n. 14402 dell’8 luglio 2020).
Deve quindi essere respinta la tesi per cui l’agente della riscossione deve notificare le cartelle di pagamento a mezzo PEC, attenendosi alla disciplina dettata dal codice dell’amministrazione digitale (c.d. C.A.D.), di cui al Dlgs. n. 82 del 2005, laddove, il documento informatico fa piena prova della provenienza delle dichiarazioni solo se dotato di firma digitale caratterizzata dall’estensione “p7m” del file.
Si ricorda del resto che l’art. 16 bis del Dlgs n. 546/92 non contiene comunque un’espressa sanzione di inammissibilità del ricorso nel caso di carenza rispetto alla regolamentazione tecnica, come quella relativa al formato della firma digitale, potendo essere il ricorso dichiarato inammissibile solo nel caso di violazione dell’art. 18 del medesimo decreto, in tema di sottoscrizione (cfr., CTP di Reggio Emilia, sentenza n. 162/2/2020 del 29 luglio 2020 e Cassazione, n. 18965 del 11/09/2020).
Vero è che, ai sensi del comma 1 dell’articolo 10 (Standard degli atti processuali e dei documenti informatici allegati) del Decreto del Ministero delle Finanzedel 4 agosto 2015 (Regole tecniche) , la firma digitale ammessa era solo la firma CADES.
Ma la disciplina attuale, modificata rispetto alla precedente, consente pacificamente ormai di utilizzare anche la firma digitale PADES.
Il documento informatico, sottoscritto con firma qualificata o digitale e formato nel rispetto delle regole tecniche che garantiscano l’identificabilità dell’autore, l’integrità e l’immodificabilità del documento, ha dunque l’efficacia prevista dall’art. 2702 c.c..
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