Regime di non imponibilità dell'IVA legato alle cessioni all'esportazione: per beneficiarne l'esportatore deve dimostrare in maniera certa e incontrovertibile l'avvenuta presentazione in dogana della merce. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza numero 1864 del 28 gennaio 2020.
Per beneficiare del regime di non imponibilità dell’IVA legato alle cessioni all’esportazione, l’esportatore deve dimostrare in maniera certa e incontrovertibile l’avvenuta presentazione in dogana della merce, ad esempio attraverso l’attestazione di pubbliche amministrazioni del paese di destinazione. Nell’ipotesi in cui la società non fornisca la prova della presentazione delle merci alla dogana di destinazione, l’operazione deve considerarsi come non effettuata ed equiparata ad una cessione nel territorio nazionale, soggetta ad IVA.
Questo l’importante principio enunciato dalla Corte di Cassazione nella Sentenza n. 1864/2020.
- Corte di Cassazione - Sentenza numero 1964 del 28 gennaio 2020
- Senza documentazione doganale l’esportazione si considera operazione soggetta a IVA. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza numero 1864 del 28 gennaio 2020.
La sentenza – La controversia riguarda il ricorso proposto dalla curatela fallimentare avverso un avviso di accertamento, con il quale l’Agenzia delle Entrate, a seguito di una verifica nei confronti della società, aveva proceduto nei confronti di quest’ultima al recupero a tassazione di maggiori imposte dirette ed IVA.
Con specifico riferimento alle impose indirette l’Amministrazione finanziaria aveva disconosciuto l’esenzione dell’IVA relativa alle cessioni all’esportazione perché la società non aveva prodotto alcun supporto probatorio a supporto dell’arrivo a destinazione della merce. Giunto sino in CTR, il ricorso è stato accolto sul punto, sebbene l’Amministrazione finanziaria avesse rilevato l’assenza di documenti a supporto. Da qui il ricorso in cassazione proposto dall’Agenzia delle entrate.
Sul punto i giudici di legittimità hanno ritenuto fondato il ricorso dell’Ufficio finanziario, riconoscendo l’estrema vaghezza con cui i giudici di merito hanno riconosciuto la spettanza della non imponibilità sulle esportazioni pur in assenza di documentazione probatoria. A parere del Collegio di Piazza Cavour, infatti, le argomentazioni svolte dai giudici di merito, essendo molto generiche, non consentono di evincere sulla base di quale documentazione sia stata accertata la prova dell’esportazione delle merci vendute.
Con precipuo riguardo alla prova dell’esportazione, l’art. 8, primo comma, lett. a), D.P.R. n. 633 del 1972 dispone che “la esportazione deve risultare da documentazione doganale, o da vidimazione apposta dall’Ufficio doganale su un esemplare della fattura ovvero su un esemplare della bolla di accompagnamento emessa a norma dell’art. 2 del D.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627 o, se questa non è prescritta, sul documento di cui all’articolo 21, quarto comma, secondo periodo”.
A riguardo la Corte di cassazione ha ribadito che “per beneficiare dell’esenzione dall’IVA prevista per le cessioni all’esportazione deve essere fornita una prova certa ed incontrovertibile, quale l’attestazione di pubbliche amministrazioni del paese di destinazione dell’avvenuta presentazione delle merci in dogana, poiché il regime probatorio dell’esportazione deve essere ricavato dalla disciplina doganale, non potendo l’operatore valersi di documenti alternativi rispetto al documento doganale, con la conseguenza che, nel caso in cui non sia stata fornita la prova della presentazione delle merci alla dogana di destinazione, l’operazione deve considerarsi come non effettuata ed equiparata ad una cessione nel territorio nazionale, soggetta ad IVA,” (in tal senso Cass. n. 4161 del 21/2/2018).
Nel caso di specie i giudici di merito non hanno dato corretta applicazione a tale principio perché, in maniera assolutamente generica, hanno riconosciuto legittimo il regime di non imponibilità previsto per le esportazioni di merce senza esplicitare il percorso argomentativo sulla base del quale sono stati indotti a ritenere che la società accertata fosse nelle condizioni di legge giustificative di tale regime. Da qui la cassazione sul punto della sentenza di merito impugnata.
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