Esenzione su divisione giudiziale tra ex coniugi

Come funziona l'esenzione e l'applicazione delle agevolazioni tributarie in caso di divisione giudiziale tra ex coniugi? Un approfondimento sul tema

Esenzione su divisione giudiziale tra ex coniugi

Molte volte succede che i coniugi decidono di separarsi consensualmente, lasciando però fuori dall’accordo tutti o alcuni aspetti economici che riguardano il patrimonio familiare (magari troppo complessi per poter chiudere velocemente le pratiche di divorzio), e che vengono poi decisi autonomamente o tramite procedimento di divisione giudiziale.

Se tali trasferimenti, pur avvenuti fuori dal provvedimento giudiziale di divorzio, sono finalizzati allo scioglimento della comunione e alla gestione della crisi coniugale, secondo la Cassazione spetta comunque l’esenzione e l’applicazione delle agevolazioni tributarie previste nel caso in cui gli stessi trasferimenti avvengano nell’ambito del detto provvedimento giudiziale.

L’esenzione su divisione giudiziale tra ex coniugi per favorire le famiglie in caso di in crisi coniugale

Questo l’orientamento espresso per esempio nella sentenza della Corte di Cassazione, 9 febbraio 2021 n. 3074, che ha stabilito che le agevolazioni fiscali si applicano anche alla divisione giudiziale, al fine di “favorire le famiglie già indebolite dalla crisi coniugale, non sottoponendo a tassazione i trasferimenti patrimoniali tra i coniugi compiuti nel difficile momento della separazione e del divorzio, o in un momento ad essi successivo, né lo scioglimento della comunione che insieme ai trasferimenti non sono ragionevolmente indice di capacità contributiva”.

La Cassazione afferma peraltro che l’agevolazione di cui alla L. n. 74 del 1987, art. 19 (esenzione dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa in relazione a tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio), nel testo conseguente alla declaratoria di incostituzionalità (Corte Cost., sentenza n. 154 del 1999), spetta per gli atti esecutivi degli accordi intervenuti tra i coniugi in esito alla separazione personale o allo scioglimento del matrimonio, da intendersi nel senso di “negoziazione globale” attribuito alla liquidazione del rapporto coniugale, laddove dunque l’esenzione stabilita dalla L. n. 74 del 1987, art. 19, nel testo risultante dalla sentenza additiva della Corte costituzionale n. 154/1999, riguarda tutti gli atti relativi ai procedimenti di separazione e di divorzio, senza potersi ulteriormente giustificare la distinzione, operata dall’indirizzo giurisprudenziale pregresso, tra “atti relativi al procedimento di separazione o divorzio (ai quali soltanto detto indirizzo limitava l’esenzione) e “atti stipulati in occasione della separazione e del divorzio”(cfr., Cass., n. 13840/2020; Cass., n. 3110/2016).

L’agevolazione, secondo la Suprema Corte, va estesa quindi anche ai provvedimenti di divisione giudiziale, attesa la ratio del trattamento tributario agevolato stabilito dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 19, da individuarsi nell’evitare che l’imposizione fiscale possa gravare pesantemente sui coniugi, rendendo ancora più difficile il superamento della crisi coniugale (cfr., anche Risposta ad interpello n. 39 del 10 febbraio 2020 e n. 199 del 1° luglio 2020).

Nello stesso senso si è ancora pronunciata la Cassazione con la sentenza 8 giugno 2022 n. 18556, la quale ha ribadito che in tema di imposta di registro sugli atti giudiziari, in esito ai procedimenti di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, beneficia del regime di esenzione previsto dall’art. 19, L. n. 74 del 1987 anche la sentenza di divisione giudiziale della comunione legale dei coniugi, conseguente al mancato raggiungimento di preventivi accordi.

Anche le Corti di merito stanno seguendo tale orientamento: ad esempio la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, Sez. IV, Sent., 18/11/2022, n. 4574, ha accolto la tesi della ricorrente, affermando che il giudizio di divisione era strettamente correlato allo scioglimento della comunione legale conseguente alla sentenza di separazione e trovava in esso il suo antecedente necessario, così come antecedente necessario all’acquisto dell’immobile era stata la vigenza del matrimonio.

Agevolazioni in caso di divisione giudiziale tra ex coniugi: come orientarsi tra le regole

La Commissione Tributaria Regionale ha poi affermato che “il tema giuridico proposto debba essere risolto nel solco ormai ampio e profondo tracciato dalla giurisprudenza di legittimità”, che ritiene che la disposizione di beneficio si debba intendere come misura generale che debba essere applicata con una interpretazione costituzionalmente orientata, anche dalle precedenti sentenze della Corte Costituzionale, a tutti i c.d. “negozi della crisi coniugale”.

Ciò è tanto vero, afferma la CTR, che la più recente giurisprudenza di legittimità ha esteso l’applicabilità della misura anche alle cessioni di quote sociali, ed a cessioni a favore di terzi o dei figli, purché concordate nell’ambito di pattuizioni che trovano la loro radice nella regolazione della patologia del vincolo coniugale.

E questo, quindi, necessariamente anche fuori dello schema tipico e ristretto del procedimento di separazione e di divorzio, a cui si riteneva di dover ancorare il beneficio in relazione alla pretesa letteralità della legge.

Quanto alla prassi dell’Agenzia e alla conferma della interpretazione “estensiva” della previsione, si richiama anche la Risposta ad interpello n. 573 del 2022, che afferma che l’esenzione di cui all’articolo 19, legge n. 74/1987 vale anche per le unioni civili risolte in via giudiziale.

L’Agenzia ricorda che la norma agevolativa sullo scioglimento del matrimonio (articolo 19, legge n. 74/1987) è stata oggetto di varie pronunce costituzionali, fra cui la sentenza n. 176/1992, in cui la Consulta riteneva incostituzionale la mancata estensione del beneficio alle iscrizioni di ipoteca effettuate a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nel giudizio di separazione, e la sentenza n. 154/1999, in cui, parimenti, veniva dichiarata incostituzionale la non applicazione del beneficio a tutti gli atti, i documenti e i provvedimenti di un procedimento di separazione (in senso conforme anche la Circolare n. 27/2012).

Con la risposta ad interpello n. 351 del 20 giugno 2023, infine, l’Agenzia delle Entrate ha affrontato il caso di due coniugi che, dopo aver acquistato immobili in Italia, avevano ottenuto in Spagna una sentenza di divorzio ed avevano regolato i rapporti relativi allo scioglimento del matrimonio con atto stipulato sempre in Spagna.

Tale atto era stato poi depositato presso un notaio italiano, al fine di rendere le necessarie attestazioni ai fini della conformità urbanistica e catastale.

Considerato che si trattava di un adempimento necessario al fine di attuare il trasferimento degli immobili, si è ritenuto quindi che la registrazione del verbale notarile attestante il deposito dell’estero in questione, dovesse avvenire in esenzione da imposte.

Tanto premesso, il punto focale della questione è pertanto il seguente.

Per godere dell’esenzione fiscale di cui all’articolo 19 della L. n. 74 del 1987, la sistemazione degli interessi economici e patrimoniali deve essere correlata e funzionale allo scioglimento del rapporto coniugale.

L’elemento oggettivo previsto dalla agevolazione in parola deve essere quindi chiaramente individuato in tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (nonché ai procedimenti esecutivi e cautelari ad esso afferenti), occorrendo che tali provvedimenti effettivamente perseguano la composizione dei rapporti patrimoniali nell’ambito del contesto familiare, a seguito dello scioglimento del rapporto di coniugio.

Se si conviene dunque che l’accordo raggiunto in merito alla divisione immobiliare trova la propria causa, anche se non diretta, nello scioglimento del rapporto matrimoniale, sussistendo un rapporto “funzionale” tra la separazione ed il successivo scioglimento della comunione, allora non ci sono dubbi che l’esenzione spetti.

Se invece si ritiene che lo stesso accordo rappresenti un atto occasionale dispositivo del patrimonio, non fisiologicamente né necessariamente collegato allo scioglimento del matrimonio, e senza nesso funzionale con la definizione del matrimonio stesso, allora l’esenzione non spetta (ma questa è più questione di fatto da appurarsi di volta in volta, così come eventuali fini elusivi).

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