Donazione sul conto corrente del professionista, non si può presumere si tratti di compensi non dichiarati, se relativi a liberalità da parte di terzi. Ecco le ultime novità dalla Cassazione.
In sede di determinazione del reddito di un professionista sulla base degli accertamenti bancari, non si può presumere che i versamenti sul conto corrente del professionista costituiscano compensi non dichiarati se le somme afferiscono a mere liberalità da parte di terzi trattandosi di una fonte non idonea ad essere generatrice di reddito da parte del professionista accertato.
Questo il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione n. 22905 del 21 ottobre 2020.
- Corte di Cassazione - ordinanza n. 22905 del 21 ottobre 2020
- Non è un evasore il professionista che riceve in donazione somme sul proprio c/c
La sentenza - La controversia trae origine dal ricorso presentato da un avvocato avverso una serie di avvisi di accertamento per i periodi 2003, 2004 e 2005 recanti le risultanze di una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza. In particolare, sull’analisi dei conti correnti venivano attribuiti maggiori redditi ai fini Irpef ed Irap e un maggior volume di affari ai fini Iva, in particolare riferiti a somme corrisposte al professionista dai propri genitori a titolo di liberalità.
Il ricorso del contribuente era stato accolto dalla CTP, ma solo limitatamente all’ammontare delle sanzioni applicate, confermando nel resto gli accertamenti.
Il contribuente proponeva appello e la CTR competente disponeva a sua volta una consulenza tecnica d’ufficio per distinguere i movimenti bancari riconducibili all’attività professionale da quelli personali riducendo, sulla base della ctu, i maggiori redditi per i tre anni accertati.
Nel caso di specie le somme erogate dai genitori alla figlia ammontano complessivamente a euro 979.717,60: considerato che l’unica fonte di entrata dei genitori della contribuente sarebbe stato, negli anni controllati, il provento della cessione di una partecipazione societaria per euro 413.000, i giudici hanno dedotto che gli stessi non avrebbero potuto versare alla figlia l’intero importo ma solo, per l’appunto, euro 413.000.
L’eccedenza non giustificata, pari a euro 566.717,60 è stata ritenuta maggior reddito non dichiarato. Il professionista ha impugnato dinanzi alla corte di cassazione la sentenza della CTR e il ricorso è stato accolto, con rinvio alla medesima CRT in diversa composizione.
Per quanto di interesse il professionista ha lamentato violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32, primo comma, n. 2, d.P.R. 600 del 1973, nella parte in cui è previsto che i dati e gli elementi attinenti ai rapporti finanziari del contribuente sono posti a base degli accertamenti se questi non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine.
A parere del ricorrente la CTR avrebbe errato, senza peraltro motivare adeguatamente la decisione, quando ha considerato compensi non dichiarati la parte delle liberalità eccedenti le entrate dei genitori ritenute compatibili con la provvista erogata.
Nel caso di specie la CTU disposta dal giudice aveva rilevato, analizzando i movimenti bancari del contribuente, che l’importo complessivo di euro 979.717,60, accertato come reddito evaso, derivava in realtà da versamenti effettuati al contribuente dai propri genitori negli anni 2003-2005.
Pertanto, visto che l’unica fonte di entrata dei genitori sarebbe stato il provento della cessione di una partecipazione societaria per euro 413.000, i giudici hanno dedotto che gli stessi non avrebbero potuto versare alla figlia l’intero importo accertato, considerando la differenza in eccesso quale maggior reddito.
Tale ragionamento non è apparso corretto dal punto di vista logico perché se la stessa CTR ha riconosciuto, sulla base dei risultati della perizia, che l’intero importo dei versamenti ripresi a tassazione era frutto di elargizioni liberali da parte dei genitori,
“e ne riconosce quindi la fonte in un’attività non professionale o di altro tipo idonea ad essere generatrice di reddito da parte della contribuente, trattandosi infatti di una mera liberalità da terzi, non può poi, per contro, continuare a considerare un’ampia parte di tale importo come idoneo a fondare una presunzione di maggior reddito non dichiarato da parte della contribuente.”
È infatti riduttivo sostenere che i parenti del contribuente abbiano effettuato i versamenti esclusivamente con il reddito ottenuto dalla cessione di una partecipazione societaria, ben potendo gli stessi avere anche provveduto con un eventuale patrimonio accumulato in passato. La sentenza è stata pertanto rimandata alla CTR per una corretta analisi di tale aspetto.
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