Cosa sono e come funzionano i distretti industriali? Cosa prevede la normativa vigente e quali agevolazioni sono previste per le aziende che ne fanno parte?

Una delle più diffuse forme di aggregazione tra imprese in Italia è quella dei distretti industriali.
Secondo una definizione fornita dall’economista Giacomo Becattini, essi si definiscono come
“un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese.”
Da questa, si è arrivati al primo recepimento a livello normativo, avvenuto nel 1991, che ha gettato le basi per l’evoluzione di tale strumento.
Distretti industriali: la Legge n. 317 del 5 ottobre 1991
L’art. 36 c. 2 introduce nel sistema legislativo italiano i distretti industriali, definiti come sistemi produttivi locali “caratterizzati da una elevata concentrazione di imprese industriali nonché dalla specializzazione produttiva di sistemi di imprese”.
La definizione normativa, unita a quella “accademica”, ci permette di determinare le caratteristiche principali che deve possedere un distretto industriale per essere definito tale:
- territorialità: il legame territoriale è fondamentale per poter costituire un distretto produttivo, fatta eccezione per quelli funzionali che verranno esposti più avanti. I contesti produttivi devono essere omogenei e il sentimento comune deve abbracciare non solo le imprese ma anche la stessa comunità locale, ben definita geograficamente;
- concentrazione: deve esserci un numero abbastanza consistente di piccole e medie imprese a comporre il distretto;
- specializzazione: le aziende in questione devono avere una produzione industriale comune o comunque complementare, facendo emergere la tendenza delle imprese di un determinato territorio a concentrare le proprie attività produttive in settori ben definiti.
L’importanza nel tessuto imprenditoriale italiano
L’incidenza dei distretti nell’economia nazionale non ha eguali in altri Paesi del mondo. Secondo numerosi studi, la forma distrettuale rappresenta circa un terzo del sistema produttivo italiano. Numeri importanti, che dimostrano il ruolo chiave giocato da tale aggregazione di imprese.
I principali benefici di tale forma di aggregazione sono riconducibili al ridotto costo degli approvvigionamenti e all’importante tessitura di relazioni e legami aziendali che possono costituire un vantaggio competitivo.
Il confronto con le reti di imprese
Pur apparendo a primo impatto mezzi analoghi, le differenze tra distretti e reti sono abbastanza marcate. In primis, il criterio della territorialità crea una profonda divergenza. I primi, infatti, vivono sulla base della vicinanza geografica, dovendosi necessariamente costituire in un’area ben definita. Al contrario, le reti non hanno vincoli di tal natura.
Inoltre, nei distretti la specializzazione è fondamentale per costruire l’identità dell’aggregazione; viceversa, nelle reti possono coesistere anche aziende di natura differente.
I primi finanziamenti per i distretti industriali
A seguito del riconoscimento istituzionale avvenuto nel 1991, ci furono diverse misure, soprattutto a carattere locale, pensate per le aggregazioni d’impresa. In origine, però, il legislatore concesse alla Regioni la possibilità di finanziare i consorzi con dei contratti di programma, non menzionando i distretti, che pure potevano partecipare tramite i loro comitati.
Fu solamente nel 1997 che con la legge n. 266 il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato (oggi divenuto delle imprese e del made in Italy, a seguito di numerosi mutamenti) riconobbe un contributo pari al 50%, elevabile fino al 70% per alcune aree, per spese compiute dai distretti industriali nel campo dell’informatica e delle telecomunicazioni.
Disciplina tributaria per i distretti industriali
La grande novità dal punto di vista legislativo e fiscale fu quella apportata dalla legge 23 dicembre 2005 n. 266. Secondo il comma 368, per i distretti produttivi sono previsti dei regimi di tassazione aggregata o consolidata.
In particolare, il distretto industriale viene trattato alla stregua di un “gruppo aziendale”.
L’articolo 368 c. 2 rimanda, infatti, agli art. 117 e seguenti del TUIR (D.P.R. n. 917/1986). Le imprese aderenti, in tal modo, possono optare per la tassazione di distretto ai fini dell’applicazione dell’IRES (art. 1 c. 368 lettera a), 1)). Questa possibilità è concessa alle singole aziende: non è necessario che tutte le imprese partecipanti decidano di applicare tale sistema fiscale.
Perché fare ciò? Esattamente per le stesse ragioni per cui si effettua il consolidato tradizionale. Le motivazioni più rilevanti possono dunque essere:
- possibilità di compensazione infradistrettuale delle perdite fiscali;
- esclusione integrale della tassazione sui dividendi distribuiti fra le imprese aggregate;
- facoltà di trasferire all’interno del distretto beni e partecipazioni non esenti in regime di neutralità fiscale.
La disciplina fiscale dei distretti non si applica sull’IVA, ma sulle imposte sul reddito
Ciò si collega anche al fatto che in ambito tributario le norme della tassazione distrettuale non sono applicabili in materia di IVA.
Pertanto, le singole partecipanti devono assolvere agli obblighi e agli adempimenti fiscali ordinari.
In tema di imposte sul reddito, invece, sarà lo stesso distretto industriale a porsi come una sorta di holding, che provvederà agli adempimenti amministrativi e ad effettuare la somma algebrica dei redditi complessivi netti delle società aderenti. Questi saranno ovviamente corretti in base alle rettifiche di consolidamento.
La tassazione concordata
Se quelle appena esposte sono le misure previste nell’ambito della tassazione c.d. consolidata, la Legge numero 266/2005 prevede anche un sistema di tassazione concordata, valevole tanto per le imposte dirette, quanto per i tributi, contributi ed altre somme di competenza degli enti locali (art. 368 c. 5).
L’art. 368 c. 3 inserisce i distretti tra i soggetti passivi IRES, ove sia esercitata tale forma di tassazione. Questo consente ai distretti di concordare con l’Agenzia delle Entrate, preventivamente e per la durata di un triennio, il volume delle imposte dirette di competenza delle imprese appartenenti da versare in ciascun esercizio.
La ripartizione del carico tributario resta una facoltà in capo al distretto, che ovviamente deve agire secondo criteri di trasparenza. Ciò a tutela sia delle imprese partecipanti, ma anche del fisco. Infatti, una volta determinati i criteri, questi non possono essere modificati per il periodo in cui è selezionata l’opzione.
A livello pratico, il distretto presenta le dichiarazioni (IRES o IRAP) complessive, ma dovrà versare solamente gli importi concordati con l’Agenzia delle Entrate. Per la differenza si può emettere atto di accertamento parziale.
Le imposte locali
Analoghe regole valgono per il pagamento delle imposte locali. Anzi, complice la territorialità che contraddistingue i distretti, l’impatto è ancora più consistente. Il concordato, infatti, può valere per tutte le somme dovute a vario titolo agli enti locali (e, dunque, non solo per le imposte).
I distretti funzionali
Finora, la trattazione è stata focalizzata sui distretti industriali produttivi territoriali, che sono quelli maggiormente diffusi. Esiste però anche una categoria di distretti definiti funzionali, a cui si era fatto cenno precedentemente, che prescinde dal vincolo della territorialità e dall’appartenenza al medesimo settore produttivo. Questa tipologia di distretto si avvicina concettualmente di più a quello di rete, sebbene rimangano ben definiti i tratti distintivi.
Le misure di tipo fiscale sono valevoli anche per questa categoria, fatta eccezione per quanto previsto a livello locale. Infatti, appare problematico armonizzare i differenti sistemi tributari locali per poter creare un ambito unitario di applicazione.
Va comunque precisato che, sebbene non siano richiesti i requisiti di cui sopra, i distretti funzionali devono nascere per finalità sinergiche, svolgendo attività in qualche modo complementari o integrate.
La disciplina amministrativa
Per quanto riguarda l’aspetto procedurale e amministrativo, le imprese possono agire nei rapporti con amministrazioni ed enti pubblici (economici e non) tramite il distretto. Ciò semplifica notevolmente le relazioni, garantendo una maggior velocità di riscontro.
Inoltre, mediante apposite convenzioni, possono accedere alle banche dati disponibili presso le pubbliche amministrazioni e gli enti locali.
I principali distretti italiani
In conclusione, di seguito una lista dei distretti industriali italiani che, secondo il rapporto sviluppato da Intesa Sanpaolo nel 2023, sono stati i 10 migliori in termini di crescita, redditività e patrimonializzazione:
- Gomma del Sebino Bergamasco
- Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene
- Vini e distillati del Friuli
- Materie plastiche di Treviso, Vicenza e Padova
- Oreficeria di Valenza
- Macchine agricole di Padova e Vicenza
- Vini e distillati del bresciano
- Meccatronica di Trento
- Metalli di Brescia
- Legno di Casalasco-Viadanese
Si segnalano, inoltre, il distretto dei vini dei colli fiorentini e senesi e quello della meccatronica del barese.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Distretti industriali: cosa sono e quanti ne abbiamo in Italia?