Focus sulla disciplina nazionale che riguarda le locazioni brevi: un'analisi della normativa italiana e della posizione della Corte di Giustizia UE
Negli ultimi giorni si è tornati a parlare di Airbnb e della relativa posizione fiscale, soprattutto in seguito alla raccomandazione che la Guardia di Finanza ha inviato all’Agenzia delle Entrate rispetto all’avvio di un accertamento fiscale nei confronti della filiale della stessa Airbnb in Irlanda.
Com’è ormai ben noto a lettrici e lettori di Informazione Fiscale, dal 2017 è in vigore la norma che prevede il nuovo regime fiscale sulle locazioni brevi, per effetto della quale le piattaforme online hanno l’obbligo di operare come sostituti d’imposta nei confronti dei locatori non professionali iscritti.
La Corte di Giustizia del 22 dicembre 2022, C-83/2021, si è pronunciata sulla legittimità della disciplina nazionale in tema di locazioni brevi.
La domanda di pronuncia pregiudiziale era stata presentata nell’ambito della controversia fra, da un lato, Airbnb e, dall’altro, l’Agenzia delle Entrate, relativamente, in particolare, alla legittimità di un istituto di diritto italiano relativo al regime fiscale dei servizi di intermediazione immobiliare riguardanti locazioni brevi (articolo 4 del decreto-legge del 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge del 21 giugno 2017, n. 96).
Il regime fiscale del 2017 era poi stato modificato dal DL 34/2019, convertito, con modificazioni, dalla legge 58/2019.
Disciplina nazionale sulle locazioni brevi e caso Airbnb: focus su alcuni specifiche questioni
Nel caso in giudizio, le ricorrenti nel procedimento principale gestivano il portale telematico di intermediazione immobiliare Airbnb, che, come noto, consente di mettere in contatto, da un lato, locatori che dispongono di alloggi e, dall’altro, persone che cercano tale tipo di sistemazione, riscuotendo dal cliente il pagamento per la fornitura dell’alloggio prima dell’inizio della locazione e trasferendo detto pagamento al locatore dopo l’inizio della locazione.
Le ricorrenti avevano proposto ricorso al TAR del Lazio, volto all’annullamento, in primo luogo, del provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 12 luglio 2017, n. 132395, che aveva dato attuazione al regime fiscale del 2017, e, in secondo luogo, della circolare interpretativa dell’Agenzia delle Entrate del 12 ottobre 2017, n. 24, relativa all’applicazione del regime fiscale in parola.
Con sentenza del 18 febbraio 2019, il suddetto giudice aveva respinto il ricorso, dichiarando, tra le altre, che l’obbligo di trasmettere i dati dei contratti e di applicare una ritenuta alla fonte non violava né il principio della libera prestazione dei servizi, né il principio di libera concorrenza, e che l’obbligo di designare un rappresentante fiscale, qualora una persona che gestisce un portale telematico di intermediazione immobiliare non fosse residente o stabilita in Italia, era conforme ai requisiti di proporzionalità e necessità fissati dalla giurisprudenza della Corte in materia di libera prestazione dei servizi.
Le ricorrenti impugnavano quindi tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato, giudice del rinvio davanti alla Corte comunitaria.
Tale giudice sottoponeva alla Corte tre questioni pregiudiziali vertenti su varie disposizioni di diritto dell’Unione.
Con ordinanza del 30 giugno 2020 (C-723/19), la Corte dichiarava manifestamente irricevibile tale domanda di pronuncia pregiudiziale, precisando al contempo che il giudice del rinvio avrebbe potuto presentare una nuova domanda di pronuncia pregiudiziale contenente indicazioni che le consentissero di fornire una risposta utile alle questioni sollevate.
Il Consiglio di Stato decideva quindi, nuovamente, di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le questioni pregiudiziali poi esaminate dalla Corte.
Alcuni chiarimenti sulla disciplina nazionale che riguarda le locazioni brevi
Per quanto di interesse, tra le altre, la Corte comunitaria evidenzia che il regime fiscale del 2017 modifica la normativa tributaria italiana relativa alle locazioni brevi, a prescindere dal fatto che dette locazioni siano effettuate, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, di tale regime, “direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici”.
Gravano pertanto sui soggetti di cui alla normativa tre tipi di obblighi, vale a dire:
- in primo luogo, l’obbligo di raccolta e comunicazione alle autorità fiscali dei dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito della loro intermediazione,
- in secondo luogo, tenuto conto del loro intervento nel pagamento del canone di locazione, l’obbligo di ritenuta dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori ed il versamento di tale imposta all’Erario, vuoi a titolo di cedolare secca, vuoi a titolo di acconto in funzione della scelta effettuata dai locatori,
- e, in terzo luogo, in mancanza di una stabile organizzazione in Italia, l’obbligo di designarvi un rappresentante fiscale.
Tanto premesso, per quanto riguarda l’obbligo di raccolta e comunicazione alle autorità fiscali dei dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito dell’intermediazione immobiliare, secondo la Corte, tale obbligo rientra nelle «“disposizioni fiscali”», ai sensi dell’articolo 114 TFUE, escluse dai limiti della normativa richiamata dalle ricorrenti in tema di regolamentazione del commercio elettronico e dei sistemi di informazione.
Per quanto riguarda poi l’obbligo di ritenuta alla fonte dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori e di versamento di detta imposta all’Erario, la Corte constata che si tratta di misure che presentano “natura tributaria per eccellenza”, giacché consistono nel prelevare l’imposta in nome dell’amministrazione fiscale, versando poi a quest’ultima l’importo riscosso.
Per quanto riguarda, infine, l’obbligo, imposto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare non stabiliti in Italia, di designare un rappresentante fiscale, si osserva che si tratta, parimenti, di una misura fiscale, volta a garantire l’efficace riscossione delle imposte in relazione al prelievo alla fonte effettuato in qualità di “responsabile d’imposta” dai prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro, in particolare quelli che gestiscono portali telematici.
Da quanto precede, secondo la CGUE, risulta dunque che i tre tipi di obblighi introdotti dal regime fiscale del 2017 nel diritto italiano rientrano nel concetto di “disposizioni fiscali”, ai sensi dell’articolo 114 TFUE.
Tanto chiarito, sotto il profilo del rispetto dei principi generali dell’Ordinamento comunitario, la Corte rileva che, per quanto riguarda l’obbligo di raccolta e comunicazione alle autorità fiscali dei dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito dell’intermediazione immobiliare, il regime fiscale del 2017 impone tale obbligo a tutti i terzi che intervengono in un processo di locazione immobiliare breve sul territorio italiano, indipendentemente dal fatto che si tratti di persone fisiche o giuridiche, che queste ultime risiedano o siano stabilite in detto territorio o meno e intervengano tramite strumenti digitali o con altre modalità di contatto.
La Corte conclude quindi che la riforma concretizzata dal regime fiscale del 2017 si colloca all’interno di una strategia complessiva di contrasto all’evasione fiscale nel settore in parola, in cui essa è frequente.
Una simile normativa non è quindi discriminatoria e non verte, in quanto tale, sulle condizioni della prestazione di servizi di intermediazione, ma impone solamente ai prestatori di servizi, una volta realizzata detta prestazione, di conservarne i dati ai fini dell’esatta riscossione delle imposte relative alla locazione dei beni di cui trattasi presso i proprietari interessati.
In secondo luogo, per quanto riguarda l’obbligo di ritenuta alla fonte dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori e di versamento di detta imposta all’Erario, la CGUE rileva, da un lato, anche in questo caso, che il regime fiscale del 2017 concerne tutti i terzi che intervengono in un processo di locazione immobiliare breve, indipendentemente dal fatto che si tratti di persone fisiche o giuridiche, che queste ultime risiedano o siano stabilite sul territorio italiano o meno e che intervengano tramite strumenti digitali o con altre modalità di contatto.
Disciplina nazionale sulle locazioni brevi: la posizione della Corte di Giustizia
D’altro lato, se è vero che, quando il prestatore di servizi è stabilito in uno Stato membro diverso dall’Italia, agisce in qualità di “responsabile d’imposta”, mentre, quando è stabilito in Italia, esso ha la qualità di “sostituto d’imposta”, il che ha come conseguenza di sostituirlo al contribuente e di renderlo debitore dell’imposta, tuttavia, secondo la Corte, non risulta che tale onere sia più gravoso per i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare stabiliti in uno Stato membro diverso dall’Italia rispetto a quanto lo sia per le imprese che hanno ivi uno stabilimento.
Detto regime fiscale, infatti, impone loro gli stessi obblighi di ritenuta alla fonte in nome dell’amministrazione fiscale e di pagamento dell’imposta cedolare secca del 21 per cento.
Non risulta quindi, neppure per quanto riguarda il secondo tipo di obblighi, che sia possibile ritenere che la normativa in esame vieti, ostacoli o renda meno attraente l’esercizio della libera prestazione dei servizi (v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2020, Google Ireland, C-482/18, punti 25 e 26).
In terzo ed ultimo luogo, per quanto riguarda l’obbligo di designare un rappresentante fiscale in Italia, che grava unicamente su taluni prestatori di servizi di intermediazione immobiliare privi di stabile organizzazione in Italia, qualificati come “responsabili d’imposta”, mentre i prestatori di tali servizi stabiliti in Italia, qualificati come “sostituti d’imposta”, vale a dire sostituti fiscali, non vi sono assoggettati, la CGUE precisa che l’obbligo di designare un rappresentante fiscale dipende dalla scelta, da parte dei prestatori, di incassare o meno i canoni o i corrispettivi relativi ai contratti, oppure di intervenire o meno nella riscossione di detti canoni o corrispettivi.
Pertanto, conclude la Corte, è incontestabile che, obbligando i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare privi di una stabile organizzazione in Italia e che intendano integrare nelle loro prestazioni di servizi detti incassi o detti interventi a designare nello Stato membro in parola un rappresentante fiscale, il regime fiscale del 2017 impone loro di avviare procedure e di sopportare, in pratica, il costo della retribuzione di detto rappresentante.
Tali vincoli determinano quindi, per detti operatori, un ostacolo idoneo a dissuaderli dall’effettuare servizi di intermediazione immobiliare in Italia, dovendo pertanto essere considerati, questi sì, quale restrizione alla libera circolazione dei servizi, vietata, in linea di principio, dall’articolo 56 TFUE (v., per analogia, sentenza del 5 maggio 2011, Commissione/Portogallo, C-267/09, punto 37).
Ciò posto, il giudice del rinvio aveva tuttavia correttamente rilevato che la Corte, nella sua giurisprudenza, non aveva enunciato un principio di incompatibilità tra l’obbligo di designare un rappresentante fiscale, imposto da una normativa o da una disciplina nazionale nei confronti di persone fisiche o giuridiche residenti o stabilite in uno Stato membro diverso da quello di imposizione, e la libera prestazione dei servizi, dal momento che, in ogni caso, bisogna rilevare se la restrizione possa essere giustificata alla luce dei motivi imperativi d’interesse generale perseguiti dalla disciplina nazionale in discussione (sentenze del 5 luglio 2007, Commissione/Belgio, C-522/04, punti da 47 a 58; del 5 maggio 2011, Commissione/Portogallo, C-267/09, punti da 38 a 46, e dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C-678/11, punti da 42 a 62).
A tal riguardo, del resto, la Corte ha più volte dichiarato che la lotta contro l’evasione fiscale e l’efficacia dei controlli fiscali possono essere invocate per giustificare restrizioni all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE (sentenza dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C-678/11, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).
Parimenti, la necessità di garantire l’efficacia della riscossione dell’imposta costituisce una “ragione imperativa di interesse generale”, tale da giustificare una restrizione alla libera prestazione dei servizi (sentenza dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C-678/11, punto 46).
E, secondo la Corte, era infatti proprio nel perseguimento di tale obiettivo che si inseriva l’obbligo, imposto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare che effettuano gli incassi o gli altri interventi menzionati, privi di una stabile organizzazione in Italia, di designarvi un rappresentante fiscale.
Una misura fiscale come il terzo tipo di obblighi risultanti dal regime fiscale del 2017 perseguiva pertanto uno scopo legittimo, compatibile con il Trattato.
Il ricorso a prestatori di servizi di intermediazione immobiliare che gestiscono un portale telematico ha del resto conosciuto uno sviluppo esponenziale.
Tali locazioni sono spesso brevi.
Di conseguenza, qualunque sia la modalità di intermediazione dei prestatori di servizi interessati, uno stesso bene immobile situato in Italia può essere oggetto di locazione numerose volte nel corso di un esercizio fiscale da parte di un dato locatore a favore di conduttori ipoteticamente residenti in altri Stati membri, per il tramite di prestatori di servizi essi stessi eventualmente stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.
In un tale contesto, pertanto, l’obbligo, imposto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare privi di una stabile organizzazione in Italia, di designarvi un rappresentante fiscale è idoneo a garantire il conseguimento dell’obiettivo di contrasto all’evasione fiscale e a consentire l’esatta riscossione dell’imposta.
Tanto premesso, rileva la Corte, la misura poteva però considerarsi, nella specie, eccedente quanto necessario per raggiungere tale (legittimo) obiettivo.
Sotto il profilo della della proporzionalità, anche se è corretto affermare che il gran numero di transazioni e di beni immobili che possono essere oggetto di una transazione per il tramite dei prestatori d’intermediazione immobiliare rende complesso il compito delle autorità fiscali, esso non comporta tuttavia necessariamente il ricorso ad una misura come l’obbligo di designazione di un rappresentante fiscale residente, o stabilito nel territorio di tale Stato, anche considerato che, in primo luogo, con la stessa normativa, vengono fornite a dette autorità fiscali tutte le informazioni atte a consentire di identificare i contribuenti debitori dell’imposta e di determinare la base imponibile, in secondo luogo, il secondo tipo di obblighi consente di garantire il prelievo alla fonte dell’imposta e, in terzo luogo, il legislatore italiano non aveva considerato la possibilità che il rappresentante fiscale abbia la possibilità di risiedere o di essere stabilito in uno Stato membro diverso dall’Italia.
Se il controllo su un tale rappresentante da parte delle autorità fiscali di uno Stato membro può effettivamente risultare più difficile qualora questi sia stabilito in un altro Stato membro, dalla giurisprudenza discende tuttavia che le difficoltà amministrative non costituiscono, di per sé, un motivo idoneo a giustificare un ostacolo a una libertà fondamentale garantita dal diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C-678/11, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).
In definitiva, secondo la CGUE, il controllo del rispetto degli obblighi gravanti sui prestatori di servizi interessati in qualità di responsabili d’imposta poteva essere garantito con mezzi meno lesivi rispetto alla nomina di un rappresentante fiscale residente in Italia.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Locazioni brevi: regole di riferimento e posizione della Corte di Giustizia europea