Le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non sono idonee a costituire fonte di prova della commissione di un illecito penal-tributario. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza numero 25976/2019.
Le presunzioni legali previste dalle norme tributarie hanno solo valore indiziario e non sono idonee a costituire di per sé fonte di prova della commissione di un illecito penal-tributario. Tali elementi devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente agli altri riscontri che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa. Sono queste le precisazioni contenute nella sentenza della Corte di Cassazione n. 25976/2019.
- Corte di Cassazione - Sentenza numero 25976 del 12 giugno 2019
- Il reato non può basarsi su presunzioni. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza numero 25976 del 2019.
La sentenza – La vicenda penale riguarda la contestazione di dichiarazione infedele elevata nei confronti dell’amministratore unico di una società che, al fine di evadere le imposte sui redditi, aveva indicato elementi attivi inferiori a quelli effettivamente conseguiti.
In particolare l’amministrazione finanziaria, attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici (costituite da percentuali di scarto inferiori rispetto a quella considerata dalla società) aveva presunto “vendita in nero” e accertato un maggior reddito complessivo. Considerato il superamento delle soglie penalmente rilevanti si era instaurato un procedimento penale a carico dell’amministrazione, nel cui ambito la corte di Appello aveva confermato la sentenza di condanna ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. 74/2000 e dichiarato la responsabilità penale dell’imputato.
Da qui il ricorso in cassazione, in cui l’imputato ha affermato l’illegittimità della sentenza d’appello per violazione dell’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, avendo il giudice penale espresso la sua decisione solo sulla base di presunzioni tributarie che invece non possono costituire di per sé fonte di prova nel procedimento penale, ma mero indizio.
Gli ermellini hanno ritenuto fondata la tesi del ricorrente e ribadito, sul solco di una giurisprudenza oramai consolidata, che le “presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur potendo avere valore indiziario, non sono idonee a costituire di per sé fonte di prova della commissione dell’illecito, assumendo il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa”. Nel caso di specie l’accertamento dell’IRES evasa, quantificata dall’Ufficio finanziario, e il superamento della soglia di punibilità sono stati effettuati sulla base di criteri indiziari, fondati su due premesse caratterizzate da un certo grado di opinabilità, quali la percentuale di scarto diversa da quella utilizzata dalla società e la determinazione del prezzo di vendita per le presunte operazioni “in nero”, sostanzialmente corrispondente a quello delle operazioni dichiarate.
Ciò considerato appaiono legittime le censure in ordine alla quantificazione dell’imposta evasa ed al superamento della soglia di punibilità stante “l’inidoneità delle presunzioni legali previste dalle norme tributarie a costituire di per sé fonte di prova della commissione dell’illecito penale, la non vincolatività per il giudice penale dell’accertamento del giudice tributario, e l’esistenza di un significativo grado di opinabilità delle premesse dell’accertamento compiuto”.
I giudici di legittimità hanno inoltre precisato che, sulla base dell’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000 che afferma l’autonomia del processo tributario da quello penale, è compito esclusivo del giudice penale accertare e determinare l’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi o anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario.
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