Ripartizione dei costi infragruppo: partendo dall'analisi di un caso che riguarda i costi di un'operazione con ricavi trasferiti in capo ad una società del gruppo, di diritto australiano, senza il trasferimento proporzionale dei relativi costi, rimasti in carico alle società di diritto italiano, si arriva ad approfondire il tema dei cost sharing agreements.
La Corte di Cassazione è intervenuta più volte in passato chiarendo alcuni rilevanti profili in tema di presupposti di deducibilità dei costi infragruppo.
In uno dei recenti casi di specie, la società contribuente, operante nel settore della fabbricazione di macchine industriali, era destinataria di avviso di accertamento per l’anno di imposta 2004, con cui l’Amministrazione finanziaria le contestava di aver operato, per la gestione di una commessa, come gruppo non formalmente costituito, assieme ad altre due ditte riferibili alla stessa famiglia, a cui erano affidati specifici compiti: alla prima la realizzazione di macchine, alla seconda la progettazione, controllo, collaudo e gestione della commessa.
Le reciproche obbligazioni erano tradotte in un contratto, che regolava, tra l’altro, anche il riparto dei costi comuni, sulla base di percentuali proporzionate al carico di lavoro.
La deducibilità dei costi infragruppo e i cosiddetti cost sharing agreements: il caso
L’Ufficio contestava dunque, per quanto di interesse, l’artificiosa e convenzionale ripartizione dei costi, e, in particolare, quanto ribaltato dalla contribuente alle altre due società relativamente ai costi di struttura generale, al compenso per l’amministratore, alle consulenze legali e notarili, nonché alle spese per condono ICI.
Ne derivava così il disconoscimento dei costi, sia per la natura che per l’inerenza.
Una seconda ripresa riguardava poi costi non inerenti, come la locazione di un appartamento a Roma, ad uso dell’amministratore, per tenere le relazioni con ENEL, acquisti di materiali riguardanti il ciclo produttivo, che non potevano essere usati da una ditta commerciale, nonché ulteriori spese per una commessa in Australia, non proporzionate in relazione alla cessione di percentuale del contratto all’affiliata australiana.
Gli atti impositivi venivano impugnati, ottenendo parziale accoglimento presso la Commissione Tributaria Provinciale.
La sentenza veniva poi appellata sia dall’Ufficio che dalla contribuente, contestandosi, da parte dell’Amministrazione finanziaria, la non inerenza dei costi, nonché l’erronea ed artificiosa applicazione degli accordi pattizi sul loro riparto.
La società contribuente, invece, in via incidentale, censurava il mancato accoglimento delle sue domande circa la deducibilità dei costi per la locazione della foresteria.
La Commissione Tributaria Regionale rigettava entrambe le impugnazioni, confermando la sentenza di primo grado.
L’Ufficio, infine, proponeva ricorso per cassazione.
Con un primo motivo di impugnazione l’Amministrazione finanziaria deduceva, tra le altre, la violazione dell’art. 109 del Tuir, nonché dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 35 del Dpr. n. 633/1972, nella sostanza affermando che non era stata data risposta al motivo proposto in appello circa la prova dell’inerenza dei costi, essendo inoltre anche state violate le disposizioni sul riparto dei costi, in violazione del principio di economicità.
Con un secondo motivo di impugnazione l’Agenzia delle Entrate deduceva inoltre la violazione dell’art. 1321 c.c., evidenziando che alla originaria pattuizione era seguita una cessione di parte della commessa alla consorziata australiana, a cui avrebbe dovuto quindi far capo altresì una proporzionale quota dei costi, rimasti invece in carico alle italiane.
I due motivi, secondo la Cassazione, potevano essere trattati congiuntamente in ragione della loro stretta connessione ed erano fondati, non rinvenendosi nella sentenza le ragioni per cui erano stati ritenuti inerenti determinati costi.
Dalla scarna parte motiva, secondo i giudici di legittimità, non si evinceva, in particolare, perché dovessero ritenersi inerenti i costi per il compenso all’amministratore di altra società (per quanto partecipe alla comune iniziativa imprenditoriale), né perché potesse considerarsi coerente la ripartizione dei costi nell’operazione australiana, laddove gran parte dell’iniziativa era stata appunto trasferita in capo alla società di diritto australiano (sempre riferibile al medesimo gruppo familiare), senza però che le fossero stati trasferiti proporzionalmente anche i relativi costi, rimasti in carico alle società di diritto italiano, che li avevano poi portati in deduzione.
La pronuncia, al di là dello specifico caso processuale, consente di affrontare il sempre complesso tema della ripartizione dei costi infragruppo, spesso regolati anche tramite appositi cost sharing agreements.
La deducibilità dei costi infragruppo, una riflessione sui cost sharing agreements
In caso di ripartizione di costi infragruppo, infatti, è sempre opportuna una indicazione analitica delle prestazioni effettuate da ciascuna società, al fine di verificare la natura, il valore e l’utilità conseguita, non potendo l’inerenza delle prestazioni fatturate essere provata mediante il mero riferimento ad un contratto di servizio, né, tanto meno, con l’effettività dei pagamenti.
Spetta del resto al contribuente l’onere di provare l’esistenza, l’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, la coerenza economica dei costi deducibili, ed a tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (cfr., Cass. n. 13300/2017, n. 10269/2017, n. 10914/2015, n. 21184/2014).
L’Amministrazione finanziaria, in mancanza della prova certa della inerenza e congruità dei costi, ripartiti magari in proporzione al fatturato di ciascuna delle società del gruppo, potrà dunque negare la deducibilità di costi considerati sproporzionati rispetto ai ricavi e all’oggetto dell’impresa.
È infatti errata l’affermazione per cui i costi calcolati in misura forfettaria e addebitati dalla controllante alla controllata sono legittimi per il solo fatto che sono stati pattuiti nel contratto stipulato tra le società del medesimo gruppo, attribuendosi, altrimenti, all’autonomia negoziale delle parti la capacità di derogare a norme imperative, e violando, in particolare, il disposto dell’art. 109 del Dpr. 22 dicembre 1986 n. 917, secondo cui tutti i componenti negativi devono possedere il requisito della inerenza, ossia devono avere un nesso di effettiva funzionalità rispetto alla produzione dei ricavi (cfr., Cass., n. 23698 del 01/10/2018).
Spesso, società facenti parte di un medesimo Gruppo regolano, del resto, la suddivisione delle spese per mezzo di scritture private, in base alle quali una delle società del Gruppo (o la stessa capogruppo) si impegna ad eseguire nei confronti delle altre una serie di servizi.
Nel caso in cui, però, l’Amministrazione Finanziaria chieda conto dei criteri e delle modalità di suddivisione di tali spese, il contribuente oggetto di controllo, come detto, deve necessariamente produrre la relativa documentazione giustificativa, pena, appunto, la indeducibilità del costo.
Tali fattispecie rientrano dunque nei cosiddetti rapporti di service infragruppo, laddove la dottrina ha in particolare individuato le seguenti due forme di accordi:
- service agreement: accordo sulla base del quale le società stabiliscono un corrispettivo specifico per la fruizione di un determinato servizio, senza la correlazione diretta dello stesso con i costi sostenuti dalla società fornitrice;
- cost-sharing agreement: accordo basato su di una suddivisione diretta del costo sostenuto dalla società fornitrice fra tutte le società fruitrici.
I costi sostenuti da una società per la fruizione di un servizio infragruppo, però, come ribadito anche nella pronuncia in commento, per essere deducibili dal reddito d’impresa (di quella società), debbono essere dotati dei requisiti generalmente richiesti dalla normativa tributaria per qualsiasi componente negativo di reddito, ex art. 109 del Tuir.
E tra questi requisiti, come visto, riveste particolare importanza quello dell’inerenza.
Tale requisito implica infatti la necessità che sussista (e che sia dimostrato e documentato) un collegamento degli stessi servizi alla specifica attività economica esercitata dalla società e ai redditi dalla stessa prodotti, laddove è quindi innanzitutto necessario provare che il servizio offerto (nell’ambito del gruppo) genera un’utilità (cioè un vantaggio specifico) per la società fruitrice e non (solo o comunque non prevalentemente) per il gruppo in generale (cfr., Cass. n. 9466 del 2017; si veda anche Cass., n. 9560 del 2016 e Cass., n. 11094 del 2017).
In conclusione, i riscontri finalizzati alla verifica della regolarità fiscale della determinazione del costo ed alla sussistenza dei requisiti di deducibilità dei cosiddetti costi di regia (o comunque degli altri costi infragruppo) passano necessariamente attraverso i seguenti passaggi:
- 1) analisi della correttezza del criterio di determinazione del compenso-costo;
- 2) analisi del vantaggio;
- 3) verifica della congruità del prezzo.
Il gruppo societario non potrà, pertanto, limitarsi a ripartire proporzionalmente, per esempio sulla base del fatturato di ciascuna società controllata, tali costi, a prescindere dalla effettiva natura e rilevanza dei servizi.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: La deducibilità dei costi infragruppo e i cosiddetti cost sharing agreements