Legge 3/2012 e composizione della crisi da sovraindebitamento: focus sulla meritevolezza e la convenienza nelle procedure di esdebitazione.
L’esdebitazione è un istituto previsto dalla legge fallimentare (per i soggetti falliti) e dalla legge n. 3 del 2012 (per i soggetti che sono stati sottoposti alla procedura di liquidazione del patrimonio nell’ambito della legge sulla crisi da sovraindebitamento).
In particolare, poi, la cosiddetta esdebitazione del debitore incapiente è una nuova procedura, a favore dei soggetti sovraindebitati, introdotta dal Decreto Ristori (Dl. n. 137/2020), che ha modificato la legge 3 del 2012.
Tale tipo di procedura si affianca alle altre procedure già previste dalla legge 3 del 2012.
Quest’ultima legge disciplina infatti già altri tre tipi di procedure previste a favore di chi si trova in una situazione di sovraindebitamento: il piano del consumatore, l’accordo con i creditori e la liquidazione dei beni.
Le procedure di esdebitazione
A differenza dei suddetti rimedi, la procedura di esdebitazione del sovraindebitato incapiente presuppone che il soggetto interessato non abbia alcuna utilità da offrire in pagamento ai creditori.
In base al nuovo art. 14-quaterdecies della legge 3 del 2012, tale esdebitazione può essere dunque richiesta dal debitore persona fisica “che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura”, cioè sia privo di redditi e di beni patrimoniali.
Il debitore deve essere inoltre comunque “meritevole”.
Il debitore, pertanto, non deve aver causato il proprio sovraindebitamento con dolo o con colpa grave, dovendo avere contratto i propri debiti con la dovuta “diligenza” (nei limiti del possibile).
Egli, in particolare, non deve aver compiuto alcun atto in frode ai creditori (compreso il Fisco), nell’intento di non pagare quanto dovuto.
Oltre a questi necessari presupposti, la norma, per poter accedere alla procedura, prevede infine anche altri requisiti e limiti, tra cui anche quello per cui tale esdebitazione può essere richiesta una sola volta nella vita.
Inoltre, per i primi quattro anni successivi alla concessione della misura, la situazione patrimoniale e finanziaria del debitore dovrà essere monitorata dal giudice (o da un suo delegato).
Laddove infatti sopraggiungessero nuove entrate (in grado di consentire di pagare almeno il 10 per cento di quanto dovuto, al netto di quanto necessario al debitore per il mantenimento proprio e della propria famiglia, prendendo come riferimento l’importo dell’assegno sociale, aumentato della metà e moltiplicato per un parametro corrispondente al numero dei componenti del nucleo familiare secondo la scala di equivalenza ISEE), le stesse potranno essere utilizzate per pagare i creditori.
Nell’ambito della procedura, l’organismo di composizione della crisi dovrà predisporre una relazione da allegare alla domanda da depositarsi presso il Tribunale di residenza del debitore, indicando le cause dell’indebitamento, la diligenza impiegata dal debitore nell’assumere le obbligazioni e le ragioni dell’incapacità dello stesso debitore di adempiere alle obbligazioni assunte.
Inoltre, la relazione deve contenere una valutazione sulla completezza e attendibilità della documentazione allegata dal debitore.
Al giudice è dunque demandata la valutazione sulla meritevolezza del debitore, mediante la verifica, come detto, dell’assenza di dolo o colpa grave nella causazione del sovraindebitamento e dell’assenza di eventuali atti in frode ai creditori.
Se tale verifica dà esito favorevole, il giudice dichiara l’esdebitazione con decreto.
Il concetto di convenienza
Una delle differenze della procedura di esdebitazione del debitore incapiente rispetto alle precedenti è, come visto, che nella nuova procedura il debitore non ha alcuna utilità, né presente né futura, da offrire ai propri debitori.
Il concetto di convenienza della proposta di accordo rispetto all’ipotesi liquidatoria, che assume un’importanza fondamentale nella valutazione del giudice nelle altre procedure, qui perde quindi gran parte della sua rilevanza.
Pur nella loro differenza, tuttavia, alcuni profili posti in evidenza in questa ultima procedura (meritevolezza, assenza di frode, prospettive future etc), ad avviso di chi scrive, rivelano la ratio di alcuni presupposti di fondo che dovrebbero comunque caratterizzare tutte le modalità di composizione delle crisi da sovraindebitamento.
Il concetto di convenienza, del resto, involgendo posizioni debitorie/obbligazioni tributarie aventi natura non disponibile e rilevanza costituzionale, non dovrebbe essere di natura puramente economica.
Soprattutto laddove si intenda applicare la disciplina che consente al giudice, che valuti appunto la proposta di composizione più conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria, di superare anche il dissenso dell’Agenzia delle Entrate allo stesso accordo.
Una delle condizioni necessarie affinché possa applicarsi la norma sul trascinamento “forzoso” è infatti che la proposta di trattamento del creditore tributario sia più conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.
Convenienza attestata dal gestore della crisi nella propria relazione sulla fattibilità dell’accordo come prospettiva più favorevole a soddisfare le pretese creditorie in termini di realizzo, perché magari l’attivo messo a disposizione nella proposta, seppur di importo inferiore al debito complessivo, risulta maggiore rispetto a quanto realizzabile con la liquidazione dei beni personali del contribuente.
Bisogna però allora intanto esattamente intenderci su cosa significhi “realizzabile” con la liquidazione dei beni.
L’alternativa liquidatoria a cui fa riferimento l’art. 12, co. 3-quater, L. n. 3/2012 è infatti la liquidazione del patrimonio di cui all’art. 14-ter e ss. della stessa legge, laddove l’art. 14-ter, in tema appunto di liquidazione dei beni, stabilisce che la domanda di liquidazione deve essere corredata da una relazione particolareggiata dell’organismo di composizione della crisi che deve, tra le altre, contenere:
- l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore persona fisica nell’assumere volontariamente le obbligazioni;
- l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore persona fisica di adempiere le obbligazioni assunte;
- il resoconto sulla solvibilità del debitore persona fisica.
Tutti tali aspetti sono dunque fondamentali affinché si possa valutare la convenienza della proposta rispetto alla liquidazione e devono essere affrontati nella relazione del gestore della crisi per giustificare la detta convenienza.
Al fine dell’applicazione della norma di cui all’art. 12, comma 3-quater cit., viene allora in evidenza il ruolo essenziale del gestore della crisi, che svolge una funzione informativa nei confronti dei creditori e dei terzi sulla fattibilità del piano che sta alla base dell’accordo, in analogia alla funzione che svolge il professionista attestatore del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall..
La convenienza dell’accordo deve, quindi, esattamente risultare dalla relazione dell’organismo di composizione della crisi rispetto all’alternativa liquidatoria.
Relazione che, come detto, deve essere “particolareggiata”, ex art. 9, co. 3-bis.1, legge n. 3/2012.
In altri termini, vista anche la natura indisponibile degli stessi crediti, la relazione particolareggiata del gestore della crisi dovrebbe arricchirsi di ulteriori contenuti, comprendendo anche la prognosi degli esiti della liquidazione concorsuale o dell’esecuzione singolare per i creditori tributari.
Alcuni punti fondamentali da indagare
Per evidenziare quella che dovrebbe essere quindi l’analisi del giudice in ordine all’accettazione della proposta di esdebitazione, bisogna partire da alcune risposte a fondamentali quesiti che devono essere risolti per ricavare, come impone la norma:
- l’indicazione delle cause dell’indebitamento;
- l’indicazione della diligenza impiegata dal debitore persona fisica nell’assumere volontariamente le obbligazioni;
- l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore persona fisica di adempiere le obbligazioni assunte;
- il resoconto sulla solvibilità del debitore persona fisica.
E quindi il primo punto da valutare sarà approfondire a quanto ammonta il debito tributario, a che titolo erano stati fatti gli accertamenti da cui il debito tributario proviene e quanto propone il contribuente come soddisfacimento.
Particolare rilevanza assumerà poi il fatto che gli importi a debito iscritti a ruolo e certificati dall’Agente della Riscossione derivino magari da attività di accertamento condotta dall’Agenzia delle Entrate e non da mera attività liquidatoria. Tale origine accertativa denoterà infatti senz’altro un’origine “evasiva” dei debiti oggetto di richiesta di composizione.
Dovrà poi essere rilevato il perché tali debiti (tributari) sono rimasti inevasi.
Soprattutto laddove emerga magari che il contribuente ha, nel corso degli anni, pagato tutti gli altri creditori, lasciando indietro l’Erario (o l’INPS, o gli altri enti territoriali), o che, a seguito della notifica degli accertamenti, abbia dismesso il proprio patrimonio immobiliare.
In presenza di tali “indizi”, infatti, apparirebbe evidente che la condotta del contribuente è stata tutt’altro che “meritevole”, essendo stata finalizzata a far sì che il creditore-Erario, vista la mancanza di un patrimonio da aggredire, rimanesse di fatto insoddisfatto.
L’approvazione del proposto accordo sarebbe dunque soltanto l’esito “premeditato” (e ora addirittura “certificato”) di un percorso evasivo.
La convenienza attuale della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria, in presenza di presupposti come quelli sopra evidenziati, sarebbe quindi in realtà frutto di una scelta di sottrazione delle garanzie patrimoniali a soddisfacimento del credito erariale, più che di legittima composizione di una crisi da sovraindebitamento.
Conclusioni
In conclusione, una procedura quale quella in esame, vista anche la sua “invasività” su poste creditorie pubbliche di rilevanza costituzionale e considerata comunque la ratio della norma, dovrebbe essere “garantita” solo al debitore “meritevole”.
Solo così, ad avviso di chi scrive, si giustifica l’intento (meritorio) di sgravare contribuenti in oggettiva difficoltà (a prescindere dalla specifica procedura in cui si ricada).
Ciò vuol dire, però, come detto, che, come espressamente da ultimo affermato con la procedura del debitore incapiente, egli non deve aver causato il proprio sovraindebitamento con dolo o con colpa grave.
E soprattutto non deve aver compiuto alcun atto in frode ai creditori.
L’intento del Legislatore è infatti, chiaramente, quello di disancorare la concessione dell’esdebitazione dal pagamento del dovuto (minimo o addirittura azzerato come nel caso della procedura da ultimo introdotta), subordinandola però (almeno) ad una valutazione delle cause del debito e del comportamento tenuto dal “fallito” (cfr., Trib. Parma 13 ottobre 2021).
Può essere utile a tal proposito richiamare allora alcune pronunce dei giudici.
Il Tribunale di Milano, ad esempio, con provvedimento del 25 novembre 2021, ha disposto che il debitore che ha accumulato sistematicamente debiti tributari per rilevanti importi, può comunque accedere al beneficio dell’esdebitazione ex art. 14 quater-decies della L. 3/2012, in presenza di tutti i presupposti di legge, ove il mancato pagamento sia riconducibile al sopravvenire di una grave malattia che abbia impedito al medesimo di proseguire l’attività lavorativa.
Il giudice nell’ammettere al beneficio dell’esdebitazione il debitore ha anche considerato la circostanza che il medesimo debitore non potesse offrire in prospettiva alcuna utilità per soddisfare almeno in parte i suoi debiti, in quanto, oltre a non possedere alcun bene né mobile né immobile, non aveva alcuna possibilità neppure di riprendere lo svolgimento di qualche attività lavorativa, dato il suo stato di salute.
Da tale pronuncia possiamo peraltro ricavare che, nell’esame della spettanza o meno dell’accesso alla procedura, bisognerà sempre valutare le cause del mancato pagamento del debito, anche solo colpose.
Vi è del resto a tal proposito da evidenziare che, sempre il Tribunale di Milano, con provvedimento del 17 febbraio 2021, in merito ad un soggetto sovraindebitato che non aveva regolarmente ottemperato ai propri obblighi di presentazione delle dichiarazioni fiscali, ha negato l’accesso all’esdebitazione, ritenendo che la mancata presentazione delle dichiarazioni integrasse un atto di frode nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, avendo tale comportamento ostacolato l’accertamento dei debiti fiscali.
Da tale pronuncia possiamo quindi ricavare che ogni volta che il debito tributario provenga da un’omessa dichiarazione, già questo potrebbe integrare un comportamento colposo (o doloso), tale da consentire all’Amministrazione finanziaria di opporsi alla esdebitazione.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Esdebitazione: meritevolezza e convenienza