Concessioni balneari: dall'origine del problema alla sentenza spartiacque del Consiglio di Stato 18/2021 fino ad arrivare a un'analisi del concetto di scarsità di risorse. L'approfondimento.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza 18/2021 del 9 novembre scorso, ha recentemente “demolito” la validità delle concessioni balneari, sancendo che l’estensione delle stesse concessioni al 2033 è illegittima e che lo Stato deve riassegnare i titoli entro due anni, tramite evidenza pubblica.
Il Consiglio di Stato ha confutato tutte le tesi sostenute dagli attuali gestori, evidenziando come le concessioni balneari debbano essere riassegnate entro massimo due anni tramite gare pubbliche, poiché l’estensione al 2033 sarebbe contraria al diritto europeo, in quanto proroga automatica e generalizzata.
Secondo i giudici amministrativi, i titoli in essere non sarebbero più validi già oggi, ma “al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni, nonché di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea”, è comunque possibile mantenere l’efficacia delle attuali concessioni fino al 31 dicembre 2023.
Dal giorno successivo, tuttavia, precisano ancora i giudici, “tutte le concessioni demaniali in essere dovranno considerarsi prive di effetto, indipendentemente da se via sia o meno un soggetto subentrante nella concessione”.
Il Consiglio di Stato, come detto, ha dunque demolito tutte le tesi portate avanti in questi anni dai balneari per chiedere l’esclusione dalle gare pubbliche: dalla non scarsità di risorsa alla mancanza di interesse transfrontaliero, dal legittimo affidamento alla non-autoesecutività della direttiva europea Bolkestein.
E nella conclusione della pronuncia, il Consiglio di Stato è arrivato anche ad “imporre” i principi con cui regolamentare le future procedure di evidenza pubblica, invitando a non istituire paletti per favorire gli attuali concessionari (pur ammettendo, però, la professionalità nel settore come un elemento da considerare in fase di valutazione).
Concessioni balneari: all’origine del problema
Facendo un passo indietro, per capire l’origine del “problema”, la L. 145/2018 aveva esteso le concessioni balneari fino al 2033.
L’allora Ministro del turismo aveva giustificato il provvedimento come un “periodo transitorio”, necessario ad attuare il riordino generale del settore, che, però, a distanza di tre anni, non è stato ancora completato.
E nel frattempo sono arrivate una lettera di messa in mora dall’Unione europea e svariate pronunce dei Tar, spesso in contrasto fra loro, tra chi ha confermato la validità della scadenza al 2033 e chi invece l’ha disapplicata.
Per definire un orientamento unitario della giustizia amministrativa, il Presidente del Consiglio di Stato aveva quindi convocato un’adunanza plenaria, con lo scopo di stabilire se le singole amministrazioni locali avessero o meno il diritto di disapplicare l’estensione al 2033, oppure se questo potere spettasse solo ai giudici, e soprattutto se fosse vero – come aveva ad esempio sostenuto il Tar di Lecce – che la scadenza al 2033 era comunque valida, non essendo la direttiva Bolkestein auto-esecutiva.
Ebbene, il Consiglio di Stato, come detto, si è espresso contro entrambe le tesi, senza neppure rinviare la questione alla Corte di giustizia europea.
Dopo avere dichiarato inammissibili tutti gli interventi ad opponendum delle associazioni di categoria costituitesi in giudizio, il Consiglio di Stato ricorda del resto che la Corte di giustizia europea, con la sentenza “Promoimpresa” del 14 luglio 2016, ha già stabilito l’illegittimità delle proroghe automatiche sulle concessioni balneari, poiché contrarie alla direttiva Bolkestein e al Trattato fondativo dell’Unione europea, che prevedono la riassegnazione periodica dei beni pubblici come le spiagge attraverso procedure comparative aperte e trasparenti.
La sentenza supera inoltre due delle tesi principali portate avanti finora dagli imprenditori balneari, ovvero la non sussistenza dell’interesse transfrontaliero certo e della scarsità della risorsa, che, secondo i balneari, in base al diritto europeo, giustificherebbero l’esclusione delle spiagge dalle gare.
In merito all’interesse transfrontaliero il CdS afferma che, per quanto riguarda l’applicabilità dell’art. 49 TFUE, la Corte di giustizia, con la Sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324/98, Telaustria e Telefonadress, ha chiarito che qualsiasi atto dello Stato che stabilisce le condizioni alle quali è subordinata la prestazione di un’attività economica è tenuto a rispettare i principi fondamentali del trattato e, in particolare, i principi di non discriminazione in base alla nazionalità e di parità di trattamento, nonché l’obbligo di trasparenza che ne deriva.
Più precisamente, pertanto, quando sia accertato che un contratto (di concessione o di appalto) presenta un interesse transfrontaliero certo, l’affidamento, in mancanza di trasparenza, di tale contratto ad un’impresa con sede nello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice costituisce una disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro, che potrebbero essere interessate a tale appalto.
L’interesse transfrontaliero certo consiste quindi nella capacità di una commessa pubblica, o, più in generale, di un’opportunità di guadagno offerta dal’’amministrazione anche attraverso il rilascio di provvedimenti che non portano alla conclusione di un contratto di appalto o di concessione, di attrarre gli operatori economici di altri Stati membri.
Concessioni balneari: la sentenza spartiacque del Consiglio di Stato
Tanto premesso, il Consiglio di Stato afferma quindi che “nel caso delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative […], al contrario degli appalti o delle concessioni di sevizi, la p.a. mette a disposizione dei privati concessionari un complesso di beni demaniali che, valutati unitariamente e complessivamente, costituiscono uno dei patrimoni naturalistici (in termini di coste, laghi e fiumi e connesse aree marittime, lacuali o fluviali) più rinomati e attrattivi del mondo. Basti pensare che il giro d’affari stimato del settore si aggira intorno ai quindici miliardi di euro all’anno, a fronte dei quali l’ammontare dei canoni di concessione supera di poco i cento milioni di euro, il che rende evidente il potenziale maggior introito per le casse pubbliche a seguito di una gestione maggiormente efficiente delle medesime”.
L’attrattiva economica, rilevano ancora i giudici, è inoltre anche aumentata dall’ampia possibilità di ricorrere alla sub-concessione, essendo evidente che, a causa del ridotto canone versato all’Amministrazione concedente, il concessionario ha la possibilità di ricavare, tramite una semplice sub-concessione, un prezzo più elevato rispetto al canone concessorio, commisurato al reale valore economico e all’effettiva valenza turistica del bene.
Conclude quindi il CdS che, “pensare che questo settore, così nevralgico per l’economia del Paese, possa essere tenuto al riparo dalle regole delle concorrenza e dell’evidenza pubblica, sottraendo al mercato e alla libera competizione economica risorse naturali in grado di occasionare profitti ragguardevoli in capo ai singoli operatori economici, rappresenta una posizione insostenibile, non solo sul piano costituzionale nazionale (dove pure è chiara la violazione dei principi di libera iniziativa economica e di ragionevolezza derivanti da una proroga generalizzata e automatica delle concessioni demaniali), ma, soprattutto e ancor prima, per quello che più ci interessa ai fini del presente giudizio, rispetto ai principi europei a tutela della concorrenza e della libera circolazione”.
Concessioni balneari: la questione della scarsità di risorsa
Quanto poi alla questione della scarsità di risorsa, il Consiglio di Stato afferma invece che “il concetto di scarsità va, invero, interpretato in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della “quantità” del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi e, di conseguenza, della domanda che è in grado di generare da parte di altri potenziali concorrenti, oltre che dei fruitori finali del servizio che tramite esso viene immesso sul mercato”.
La valutazione della scarsità della risorsa naturale, in sostanza, dipende essenzialmente dall’esistenza di aree disponibili sufficienti a permettere lo svolgimento della prestazione di servizi anche ad operatori economici diversi da quelli attualmente “protetti” dalla proroga ex lege.
E da questo punto di vista, i dati forniti dal sistema informativo del demanio marittimo rivelano che in Italia quasi il 50 per cento delle coste sabbiose è occupato da stabilimenti balneari, con picchi che, in alcune Regioni (come Liguria, Emilia-Romagna e Campania), arrivano al 70 per cento.
A ciò si aggiunge poi che in molte Regioni è previsto un limite quantitativo massimo di costa che può essere oggetto di concessione, che, nella maggior parte dei casi, coincide con la percentuale già assegnata.
È evidente, allora, che l’insieme di questi dati già evidenzia che, attualmente, le aree demaniali marittime (ma analoghe considerazioni valgono per quelle lacuali o fluviali) a disposizione di nuovi operatori economici sono caratterizzate da una notevole scarsità.
E anche da questo punto di vista, quindi, sussistono i presupposti per applicare l’art. 12 della direttiva 2006/123.
In seguito a un altro articolato ragionamento, il Consiglio di Stato smonta poi anche un’altra storica tesi dei balneari: quella secondo la quale le concessioni demaniali marittime sarebbero beni e non servizi, e pertanto non rientrerebbero nell’ambito di applicazione della Bolkestein (dedicata appunto alla liberalizzazione dei servizi).
L’adunanza del Consiglio di Stato afferma invece perentoriamente che “le concessioni di beni demaniali per finalità turistico-ricreative rappresentano autorizzazioni di servizi ai sensi dell’art. 12 della direttiva c.d. servizi, come tali sottoposte all’obbligo di gara”.
Inoltre, per quanto riguarda la natura non-autoesecutiva della direttiva Bolkestein, che giustificherebbe la validità della 145/2018, il Consiglio di Stato ritiene che “il carattere self-executing della direttiva 2006/123 sussiste, perché tale carattere è stato espressamente riconosciuto dalla Corte di giustizia nella sentenza Promoimpresa (C-174/06), oltre che da una copiosa giurisprudenza nazionale che ad essa ha fatto seguito”.
Il legittimo affidamento, conclude il CdS, non si tutela dunque con le proroghe e le concessioni devono essere messe a gara entro due anni (con indennizzi per i gestori uscenti).
L’affidamento del concessionario, afferma il CdS, dovrebbe trovare tutela non attraverso la proroga automatica, ma al momento di fissare le regole per la procedura di gara.
Il Consiglio di Stato rileva infine di essere “consapevole del notevole impatto (anche sociale ed economico) che tale immediata non applicazione può comportare, specie in un contesto caratterizzato da un regime di proroga che è frutto di interventi normativi stratificatisi nel corso degli anni”, valutando dunque come congruo il termine del 31 dicembre 2023 per consentire a Governo e Parlamento di approvare una normativa che possa finalmente riordinare la materia e disciplinare in conformità con l’ordinamento comunitario il sistema di rilascio delle concessioni demaniali.
Il termine, precisa Palazzo Spada, è stato individuato in base alla “necessità di assicurare alle amministrazioni un ragionevole lasso di tempo per intraprendere sin d’ora le operazioni funzionali all’indizione di procedure di gara, nonché degli effetti ad ampio spettro che inevitabilmente deriveranno su una moltitudine di rapporti concessori. […] Scaduto tale termine, tutte le concessioni demaniali in essere dovranno considerarsi prive di effetto, indipendentemente da se via sia – o meno – un soggetto subentrante nella concessione”.
In ogni caso, ammette il Consiglio di Stato a tutela degli attuali titolari di spiagge, “l’indizione di procedure competitive per l’assegnazione delle concessioni dovrà, ove ne ricorrano i presupposti, essere supportata dal riconoscimento di un indennizzo a tutela degli eventuali investimenti effettuati dai concessionari uscenti, essendo tale meccanismo indispensabile per tutelare l’affidamento degli stessi”.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Concessioni balneari: la sentenza spartiacque del Consiglio di Stato