Le novità in materia di chiarezza e motivazione degli atti spiegate da Assonime

Gianfranco Antico - Imposte

Chiarezza e motivazione degli atti: un focus sulle novità dalla circolare di Assonime

Le novità in materia di chiarezza e motivazione degli atti spiegate da Assonime

In diritto amministrativo la motivazione – consistente nella indicazione delle ragioni che stanno a base della scelta operata attraverso l’atto adottato – è richiesta nella generalità dei casi nei quali l’Amministrazione eserciti il proprio potere.

La motivazione dell’accertamento tributario, elemento necessario dell’atto, in funzione di tutela dei diritti costituzionalmente garantiti previsti dagli artt. 24 e 113 della Costituzione, assume una funzione di garanzia nei confronti del destinatario dell’atto, poiché è solo attraverso la motivazione che a quest’ultimo è consentito di reagire agli effetti negativi che produce l’atto, nelle forme consentite dalla legge.

Le novità in materia di chiarezza e motivazione degli atti spiegate da Assonime

È nella fase decisoria del procedimento di accertamento che diviene essenziale l’articolazione della motivazione del provvedimento adottato, che consente di avere un atto perfetto, pur se ancora non efficace.

La motivazione degli atti impositivi e, in particolare, degli atti di accertamento, descrive, quindi, l’insieme delle argomentazioni su cui si fonda la pretesa dell’ufficio, al fine di rendere edotto il contribuente delle ragioni di fatto e di diritto su cui gli atti medesimi si fondano, informando, altresì, il destinatario dell’atto sulle ragioni di un provvedimento autoritativo, suscettibile di incidere unilateralmente nella sfera giuridica del destinatario.

La conoscenza dell’iter logico seguito dall’ufficio e formalizzate nell’atto legittima la difesa, sia in fase amministrativa, davanti lo stesso ufficio attraverso l’autotutela, sia in fase giurisdizionale, davanti al giudice, attraverso il ricorso.

La motivazione spiega, pertanto, una funzione di “cerniera della legalità”, consentendo il sindacato giurisdizionale della legittimità e correttezza dell’operato dell’amministrazione finanziaria, costituendo una sorta di barriera contro possibili abusi.

Tale obbligo, sancito legislativamente, sin dalla riforma fiscale degli anni settanta, a presidio del diritto di difesa del contribuente, deve permettere al contribuente di decidere se impugnare o meno l’atto: l’assenza di indicazioni in ordine ai passaggi logici seguiti per rettificare la dichiarazione non consente, altresì, al contribuente di capire su quali argomentazioni fondare il ricorso.

È ovvio che, quando l’avviso di accertamento o rettifica contiene una pluralità di rilievi, la presenza di una motivazione generica non salva l’accertamento, essendo necessaria una motivazione distinta per ogni rilievo, così che le questioni carenti di motivazione potranno essere annullate, senza recare pregiudizio alle altre.

La decisione sulla motivazione, infatti, non investe l’atto nel suo complesso, ma i singoli recuperi a tassazione.

Se nella motivazione l’ufficio si limita a recuperare a tassazione costi non deducibili, senza indicare gli estremi della fattura che si intende recuperare e il numero progressivo che ne permette l’identificazione, senza altresì evidenziare nessun motivo, la motivazione si può ritenere apparente.

Diversamente, nei casi in cui l’ufficio, attraverso un ragionamento logico-induttivo, procede ad una ricostruzione indiretta dei ricavi, sulla base, per esempio, dei consumi, in questi casi non si può parlare di motivazione apparente: la motivazione c’è, e può essere più o meno condivisibile.

L’obbligo di motivazione: tra indicazioni dell’Assonime e giurisprudenza

L’articolo 4, comma 1, lett. a), della legge n. 111 del 2023 prevedeva, in particolare, la necessità di “rafforzare l’obbligo di motivazione degli atti impositivi, anche mediante l’indicazione delle prove su cui si fonda la pretesa tributaria”, in linea con quanto già previsto dall’art. 7, comma 5-bis, del Dlgs n. 546 del 1992, introdotto dalla legge di riforma del processo tributario (legge n. 130 del 2022).

Di conseguenza, l’art. 7 della Legge n. 212/2000, in tema di chiarezza e motivazione dei provvedimenti dell’Amministrazione finanziaria, è stato riformulato per adeguarne il contenuto alle più recenti evoluzioni della giurisprudenza interna, unionale e internazionale.

La nuova formulazione
1 Gli atti dell’amministrazione finanziaria, autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, sono motivati, a pena di annullabilità, indicando specificamente i presupposti, i mezzi di prova e le ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, che non è già stato portato a conoscenza dell’interessato lo stesso è allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale e la motivazione indica espressamente le ragioni per le quali i dati e gli elementi contenuti nell’atto richiamato si ritengono sussistenti e fondati.
1-bis I fatti e i mezzi di prova a fondamento dell’atto non possono essere successivamente modificati, integrati o sostituiti se non attraverso l’adozione di un ulteriore atto, ove ne ricorrano i presupposti e non siano maturate decadenze.
1-ter Gli atti della riscossione che costituiscono il primo atto con il quale è comunicata una pretesa per tributi, interessi, sanzioni o accessori, indicano, per gli interessi, la tipologia, la norma tributaria di riferimento, il criterio di determinazione, l’imposta in relazione alla quale sono stati calcolati, la data di decorrenza e i tassi applicati in ragione del lasso di tempo preso in considerazione per la relativa quantificazione.
1-quater Le disposizioni del comma 1-ter si applicano altresì agli atti della riscossione emessi nei confronti dei coobbligati solidali, paritetici e dipendenti, fermo l’obbligo di autonoma notificazione della cartella di pagamento nei loro confronti.
2 Gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare:
a) l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento;
b) l’organo o l’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela;
c) le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili.
3 Abrogato.
4 La natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti.

Come osservato da Assonime nella circolare n. 18/2024, nella previgente formulazione dell’art. 7 della legge n. 212/2000 e nell’art. 42 del DPR n. 600/1973 non si prevedeva però che, in materia di imposte sui redditi, l’avviso di accertamento dovesse recare anche la specifica indicazione dei mezzi probatori a sostegno della pretesa vantata dal Fisco; diversa, invece, la formulazione dell’art. 56 del DPR n. 633 che, in materia di imposta sul valore aggiunto, già prescriveva espressamente che “negli avvisi relativi alle rettifiche di cui all’art. 54” dovessero essere “indicati specificamente, a pena di nullità … i relativi elementi probatori”.

Tuttavia:

“nonostante questa diversa formulazione, prassi e giurisprudenza si erano orientate, anche per l’imposta sul valore aggiunto, ad escludere la necessità di indicare nell’atto anche i mezzi probatori a sostegno della pretesa del Fisco (Cfr. fra le altre Cass. n. 6727/1995).”

In effetti, osserva Assonime:

“motivazione e prova della pretesa tributaria sono due concetti autonomi: la motivazione, che costituisce requisito di legittimità dell’atto impositivo, è finalizzata a informare il contribuente dell’iter argomentativo che sostiene la pretesa del Fisco e concorre a delimitare la materia del contendere nel successivo eventuale processo; pertanto, essa non può essere modificata e/o integrata in sede processuale né dall’Amministrazione finanziaria né dal giudice tributario (Cass. n. 1126/2024). La prova, invece, attiene alla dimostrazione dell’esistenza dei fatti materiali che fondano la pretesa stessa ed è stata considerata parametro non di legittimità, ma di fondatezza dell’atto impositivo. In questa prospettiva, la giurisprudenza ha per lungo tempo ritenuto che l’indicazione delle prove non costituisse elemento essenziale dell’avviso di accertamento e che le prove potessero benissimo essere prodotte e integrate in giudizio, cioè nell’eventuale fase processuale, per essere sottoposte al prudente apprezzamento del giudice (Cass. n. 1946/2012).”

La norma pone riguardo esclusivo all’“atto autonomamente impugnabile”, ma Assonime estende tale principio anche allo schema d’atto.

In ogni caso, a fronte del nuovo obbligo legato all’indicazione dei mezzi di prova, viene meno, “nella direzione dell’efficienza dell’azione amministrativa” (così la relazione illustrativa al Dlgs n. 219/2023), la necessità, per l’Ufficio, nel caso di motivazione per relationem, di allegare l’atto richiamato, quando già portato a conoscenza del destinatario.

Se non già portato a conoscenza, l’atto deve essere allegato oppure se ne deve riprodurre il contenuto essenziale. In entrambi i casi, seguendo l’interpretazione della Cassazione (Cass. n. 8690/2002) la motivazione deve indicare “espressamente le ragioni per le quali i dati e gli elementi contenuti nell’atto richiamato si ritengono sussistenti e fondati” (art. 7, comma 1, secondo periodo, dello Statuto).

“Si tratta di una precisazione che intende allineare il nostro ordinamento a quella recente giurisprudenza unionale che, in tema di diritto di accesso e di contraddittorio, ha ritenuto illegittima, in quanto lesiva del diritto di difesa, la prassi dell’Amministrazione finanziaria di limitarsi a comunicare una sintesi degli esiti dei procedimenti connessi.”

Infatti, sia la giurisprudenza che la dottrina sono ormai concordi nel ritenere che la funzione di informazione della motivazione venga rispettata anche nel caso di motivazione per relationem, quando questa rinvia ad un precedente processo verbale di constatazione, se tale atto è in possesso del contribuente ed è idoneo ad illustrare le ragioni della rettifica, in quanto descrive chiaramente tutti i passaggi logici che conducono alla rettifica e consente, pertanto, l’esercizio del sindacato di legittimità.

Secondo i Giudici Supremi (Cass. n.4290/1990), la legittimità della motivazione per relationem è riscontrabile in tutti quei casi in cui il p.v. sia conoscibile, anche se in concreto non conosciuto dal destinatario dell’avviso per propria colpa (verbalizzazione del rifiuto di ricevere copia del p.v.c.).

Inoltre, secondo un consolidato orientamento, anche recentemente ribadito (Cass. n. 4176/2019), l’obbligo legale di motivazione degli atti tributari per relationem è assolto se sono presenti quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento, che risultino “necessari e sufficienti” per sostenere il provvedimento adottato.

Gli atti riscossivi

I nuovi commi 1-ter e 1-quater dell’articolo 7 della Legge n. 212/2000 riguardano, rispettivamente, gli atti della riscossione con i quali è comunicata una pretesa per tributi e gli atti verso i coobbligati solidali.

In particolare, il comma 1-ter dispone, come abbiamo accennato, che:

“Gli atti della riscossione che costituiscono il primo atto con il quale è comunicata una pretesa per tributi, interessi, sanzioni o accessori, indicano, per gli interessi, la tipologia, la norma tributaria di riferimento, il criterio di determinazione, l’imposta in relazione alla quale sono stati calcolati, la data di decorrenza e i tassi applicati in ragione del lasso di tempo preso in considerazione per la relativa quantificazione.”

Per Assonime:

“la norma impone, quindi, determinate indicazioni da inserire nell’atto di riscossione che riguardano un accessorio del tributo, senza specificare alcunché riguardo alla motivazione della pretesa impositiva contenuta nell’atto stesso. Tuttavia, tale estesa motivazione riguardo alla determinazione degli interessi porta a ritenere che una motivazione completa sia necessariamente richiesta, a maggior ragione, anche per l’obbligazione tributaria principale.”

In tale ottica, Assonime “ritiene confermato, sia pure implicitamente”, il principio, affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 11722/2010, secondo cui:

“quando la cartella esattoriale non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria … essa deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo e contenere, quindi, gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione.”

In tal caso, la cartella:

“ha natura di atto impositivo in senso sostanziale e richiede, quanto all’individuazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche su cui si fonda la ripresa, una motivazione completa, dovendo l’agente esternare gli elementi essenziali della pretesa che consentano al contribuente di verificarne la legittimità e di impugnarla, anche per contestare il merito della stessa (Cass. n. 27271/1995 e Cass. n. 22281/2022).”

Il successivo comma 1-quater estende, infine, la tutela dello Statuto prevista dal suddetto comma 1-ter agli atti della riscossione emessi nei confronti dei coobbligati solidali, paritetici e dipendenti, cioè dei soggetti a vario titolo coinvolti nella responsabilità per fatto dell’obbligato principale.

Lo stesso comma, inoltre, dichiara “fermo” l’obbligo di autonoma notifica della cartella di pagamento nei loro confronti, “superando così – sembra di potersi ritenere, con valenza interpretativa – taluni orientamenti giurisprudenziali, peraltro non uniformi, volti a ritenere sufficiente la notifica al coobbligato dipendente della sola intimazione di pagamento”.

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