Se lo studio è altrove il professionista non gode del bonus “prima casa” sull’immobile abitativo: avere la residenza o svolgere l'attività lavorativa nel comune in cui si trova l'immobile acquistato è un requisito fondamentale per l'accesso all'agevolazione. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 24542 del 4 novembre 2020.
L’agevolazione “prima casa” sugli immobili abitativi “non di lusso” spetta a condizione che l’acquirente abbia la residenza, o la trasferisca entro 18 mesi, nel Comune in cui si trova l’immobile acquistato oppure che vi svolga la propria attività lavorativa.
Se il contribuente è un professionista, l’agevolazione non spetta se questi non ha la propria residenza o il suo studio legale nel comune interessato, a nulla rilevando la circostanza che la sua attività può essere esercitata sull’intero territorio nazionale, essendo dirimente la sede dello studio legale. Questo ha deciso la Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 24542/2020.
- Corte di Cassazione - Ordinanza numero 24542 del 4 novembre 2020
- Se lo studio è altrove il professionista non gode del bonus “prima casa” sull’immobile abitativo. A stabilirlo è l’ordinanza numero 24542 del 4 novembre 2020.
La decisione – Un avvocato ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della CTR che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate in una controversia attinente all’impugnazione di un avviso di accertamento e liquidazione della maggiore imposta.
Con l’atto de qua l’Ufficio aveva revocato l’aliquota agevolata del 4% concessa con riferimento all’acquisto di un immobile, con irrogazione di una maggiore IVA, oltre interessi di mora e sanzioni perché l’acquirente aveva omesso di trasferirvi la residenza o lo studio legale entro il termine di diciotto mesi.
Per quanto di interesse il ricorrente ha lamentato violazione e falsa applicazione dell’articolo 1, nota II bis comma 1, lett. a, d.P.R. n. 131 del 1986, degli articoli 4 ss. del R.D.L. n. 1578 del 1933 poiché la CTR avrebbe errato nel ritenere che sussistesse l’obbligo di trasferimento del proprio studio professionale presso il Comune ove si trovava l’immobile.
I giudici di legittimità hanno ritenuto infondato il motivo e rigettato sul punto il ricorso.
Il citato art. 1 del d.P.R. n. 131 del 1986 prescrive che, ai fini dell’applicazione dell’aliquota agevolata agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso, è necessario che “l’immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività”.
L’Amministrazione finanziaria ha disconosciuto l’agevolazione dell’aliquota agevolata “prima casa” per assenza dei requisiti soggettivi, avendo il contribuente la propria residenza ed il suo studio legale in un altro comune a nulla rilevando come invece dedotto dalla controparte che, in quanto esercente la professione legale, il suo ambito territoriale di attività coinciderebbe con tutto il territorio nazionale.
La Corte di Cassazione ha respinto tale tesi ricordando che l’agevolazione in commento deve essere interpretata in senso restrittivo e, pertanto, può essere riconosciuta solo all’acquirente che risieda o svolga la propria attività nel territorio del Comune interessato.
Peraltro, non è necessario che l’attività sia svolta in via esclusiva o prevalente nel luogo nel quale è sito il bene
“ma è innegabile che l’esercizio deve essere effettivo, mirando la detta agevolazione a favorire l’acquisto di diritti reali su case per persone che ne siano sprovviste nelle località nelle quali vivono o lavorano”
Ciò si desume dall’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in tema di beneficio fiscale relativo all’acquisto della prima casa, il contribuente deve invocare, a pena di decadenza, al momento della registrazione dell’atto di acquisto, alternativamente, il criterio della residenza o quello della sede effettiva di lavoro, dovendosi valutare la spettanza del beneficio, nel primo caso, in base alle risultanze delle certificazioni anagrafiche e, nel secondo, alla stregua dell’effettiva sede di lavoro.
Ne consegue che decade dall’agevolazione il contribuente che non abbia indicato, nell’atto notarile, di volere utilizzare l’abitazione in luogo di lavoro diverso dal comune di residenza, oltretutto non consentendo all’Amministrazione finanziaria di deve poter verificare la sussistenza dei presupposti del beneficio provvisoriamente riconosciuto.
Nel caso di specie, pertanto, non spetta alcuna agevolazione avendo chiarito il professionista di non risiedere e di non avere uno studio nel Comune in esame e di non aver neanche reso le dichiarazioni di cui sopra nell’atto di acquisto.
In senso conforme si era espressa la Cassazione con l’Ordinanza n. 10072/2019 affermando che i benefici fiscali previsti per l’acquisto della prima casa
“spettano unicamente a chi possa dimostrare in base ai dati anagrafici di risiedere o lavorare nel comune dove ha acquistato l’immobile senza che, a tal fine, possano rilevare la residenza di fatto o altre situazioni contrastanti con le risultanze degli atti dello stato civile”
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