I criteri ESG hanno avuto la loro consacrazione definitiva con l’Agenda 2030 delle nazioni unite che ha definito le dimensioni dello sviluppo sostenibile, ecco un excursus storico e normativo ed il punto in cui ci troviamo oggi
Nel 2001 il Green Paper della Commissione Europea ha definito il quadro della responsabilità sociale delle imprese significando che le stesse, nel prendere coscienza del proprio ruolo, decidano di propria iniziativa di contribuire a migliorare la società e di proteggere e tutelare l’ambiente.
I fattori alla base di questa nuova presa di coscienza da parte del mondo imprenditoriale possono ricondursi sia alle nuove preoccupazioni e attese dei cittadini, dei consumatori, delle pubbliche autorità sia al peso del contesto sociale, delle inquietudini connesse al deterioramento ambientale, della trasparenza dei mezzi di comunicazione.
Quanto richiamato, nel suo insieme contribuisce ad individuare il valore economico, direttamente percepibile, delle scelte aziendali sotto l’ottica della sostenibilità.
La responsabilità sociale d’impresa si traduce, quindi, in azioni che non siano unicamente indirizzate a soddisfare gli obblighi giuridici ma anche dirette a migliorare il capitale umano, l’ambiente e la società. In tale ambito si collocano, a tal proposito, i principi dell’E.S.G.: Enviromental, Social and Governance.
Da tale presa di coscienza nasce l’esigenza di una dichiarazione di carattere non finanziario atta ad individuare un impegno aziendale che copra temi ambientali, sociali, attinenti ai lavoratori, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva.
L’obiettivo è rendere gli investimenti concretamente diretti a creare uno sviluppo sostenibile, cioè uno sviluppo
che consenta alle generazioni presenti di soddisfare i propri bisogni senza compromettere quelli delle generazioni future
Tali premesse, portano di fatto, gli stakeholders a rivolgere costante attenzione al tema del contributo economico delle imprese al contesto sociale e all’ambiente in cui operano.
Con il cardine della sostenibilità ambientale le imprese si trovano, quindi, a dover rendere conto non solo sulla profittabilità dei loro investimenti ma anche sul contributo all’economia moderna, sulla gestione risorse e sulle emissioni dei gas a effetto serra.
Iniziative che portano non soltanto allo sfruttamento cosciente delle risorse ma anche a proteggere la salute dei cittadini, la trasparenza delle informazioni e la parità delle opportunità.
Si chiede, quindi, al sistema aziendale un’economia lungimirante e circolare di limitare i c.d. danni significativi agli obiettivi ambientali.
I criteri ESG hanno avuto la loro consacrazione con l’Agenda 2030 delle nazioni unite del 2015 che ha definito le dimensioni dello sviluppo sostenibile: Ambientale, Sociale ed Economica.
Le azioni si basano su 17 obiettivi e 169 traguardi che mirano a realizzare pienamente lo sviluppo sostenibile sotto le tre richiamate direttrici.
In tale ottica le imprese, mediante le loro azioni, devono rivestire un ruolo chiave nel supporto ad uno sviluppo sostenibile ma anche ad una diretta implementazione di scelte di investimento che abbiano un chiaro ed evidente riverbero sulle direttrici ESG.
Tanto premesso, nel 2018 l’Unione Europea ha rinnovato il suo impegno verso uno sviluppo sostenibile che soddisfi le esigenze delle generazioni presenti e future mediante il Piano di azione per finanziare la crescita sostenibile (Action Plan).
Un’iniziativa che garantisca la competitività a lungo termine dell’economia mediante la sostenibilità e la transizione verso un contesto circolare a basso contenuto di carbonio e più efficiente in termini di risorse.
L’Unione Europea mira non solo a riorientare i flussi finanziari verso un’economia sostenibile ma anche a integrare la sostenibilità nella gestione dei rischi.
Quest’ultimo punto pone fondamentale attenzione affinché i rischi ambientali e sociali siano presi in considerazione nei processi decisionali finanziari.
Il futuro del mondo aziendale è, quindi, oramai manifestamente da leggersi in chiave Green.
Un futuro, che può dirsi presente, rappresentato non soltanto da inviti ad intraprendere iniziative sostenibili ma anche a redigere documenti rappresentativi degli impegni e degli investimenti.
Quest’ultimi si traducono in una richiesta al mondo economico di una c.d. dichiarazione non finanziaria di sostenibilità, in gergo ormai comunemente definito bilancio di sostenibilità che rende palese ed evidente in che posizione si colloca l’azienda nel più ampio contesto della creazione del valore sostenibile.
In ambito europeo un ’importante passo verso la definizione della dichiarazione non finanziaria di sostenibilità (DFN) è stato compiuto mediante l’adozione della direttiva 2022/2464UE, Corporate Sustainability Reporting Directive – (CSRD), che modifica a sua volta la direttiva 2013/34/UE.
Quest’ultima disciplina il contenuto della dichiarazione di sostenibilità e preannuncia la creazione degli standard europei di rendicontazione, gli ESRS (European sustainability reporting standards), che hanno l’obiettivo di incardinarsi all’interno dei già ampiamente diffusi standard GRI, Global Reporting Initiative.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Futuro e sostenibilità sono chiavi di lettura del business