La giurisprudenza di legittimità ed amministrativa si è espressa in tema di modalità di scrittura degli atti processuali. La riforma Cartabia ha esteso al processo civile i principi generali già vigenti di chiarezza e sinteticità. Il mancato rispetto dei criteri previsti può comportare l'inammissibilità dei ricorsi
La giurisprudenza di legittimità ed amministrativa, si è espressa in tema di modalità di scrittura degli atti processuali, richiamando anche le novità di cui al Dm. Giustizia n. 110/2023, oltre agli articoli 3 c.p.a. e 13-ter allegato II al c.p.a., in tema di necessaria chiarezza e sinteticità degli atti processuali.
In particolare il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8928 del 2023, ha affermato che, nel caso in esame, il ricorso superava i limiti dimensionali necessari “al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con i principi di sinteticità e chiarezza”, rilevando come le parti debbano redigere il ricorso e gli altri atti difensivi secondo i criteri e nei limiti dimensionali stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 22.12.2016, che, all’articolo 3, comma 1, lett. b), prevede, per i ricorsi ordinari, il limite massimo di 70.000 caratteri. Limite derogabile solo se autorizzato in via preventiva o in sanatoria, laddove il citato articolo 13-ter, comma 5, dell’allegato II al c.p.a. dispone che “Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L’omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione”.
La chiarezza e sinteticità degli atti processuali: il caso di specie
Peraltro, conclude il CdS, il ricorso, “in presenza di motivi di appello che il collegio non è tenuto ad esaminare diviene inammissibile perché, in relazione ad una parte essenziale per la identificazione della domanda - richiesta dall’art. 44, comma 1, lett. b) c.p.a. a pena di nullità -, viene meno l’obbligo di provvedere e con esso la stessa possibilità di esame della domanda” (cfr., anche Cds 22 settembre 2023, n. 8487, che ha stabilito che “secondo la più corretta esegesi, tale previsione non lascia al giudice la facoltà di esaminare o meno le questioni trattate nelle pagine successive al limite massimo, ma, invece, in ossequio ai principi di terzietà e imparzialità, obbliga il giudice a non esaminare le questioni che si trovano oltre il limite massimo di pagine”).
La violazione del principio di sinteticità degli atti processuali è peraltro rilevabile d’ufficio (cfr., CdS n. 8487/2023).
La rilevanza della sinteticità degli atti non vale comunque certo solo per il processo amministrativo.
A partire dal 1° settembre 2023, infatti, per effetto del citato Dm Giustizia n. 110 del 7 agosto 2023 (Regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo, ai sensi dell’articolo 46 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile), pubblicato sulla G.U. n.187 dell’11 agosto 2023, per i nuovi procedimenti (escluse le controversie al di sopra dei 500.000 euro di valore), tutti gli avvocati dovranno essere «sintetici», rispettando (salvo esplicite eccezioni) i seguenti limiti: l’esposizione non potrà superare le 40 pagine (precisamente 80mila caratteri) per l’atto di citazione e il ricorso, la comparsa di risposta e la memoria difensiva, gli atti di intervento e chiamata di terzi, le comparse e note conclusionali, nonché gli atti introduttivi dei giudizi di impugnazione. Memorie e repliche invece dovranno essere contenute in massimo 26 pagine (50.000 caratteri); mentre per le note scritte in sostituzione dell’udienza la soglia si abbassa a 5 cartelle (10.000). Nel conteggio del numero massimo di caratteri non si computano gli spazi.
Il medesimo decreto indica poi anche le “Tecniche redazionali” da seguire:
- caratteri di dimensioni di 12 punti;
- interlinea di 1,5;
- margini orizzontali e verticali di 2,5 centimetri, e non consente note, salvo che per l’indicazione dei precedenti giurisprudenziali, nonché dei riferimenti dottrinari.
Almeno, in questo caso, il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell’atto “non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo” (art. 46 disp. Att. Cpc, modificato dalla riforma Cartabia).
Nel novellato art. 121 c.p.c, poi, alla indicazione secondo cui «Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo» è stata aggiunta la precisazione che “Tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico”, inserendo quindi ufficialmente nel codice di procedura civile, con portata generale (compreso quindi il processo tributario, per il rinvio del Dlgs 546/92), il principio di chiarezza e sinteticità degli atti processuali.
Tale principio, peraltro, non è una novità nel nostro Ordinamento giuridico, laddove, la Corte di Cassazione aveva già dichiarato, anche prima delle dette novità, l’inammissibilità dei ricorsi stilati mediante assemblaggio di atti e documenti dei gradi di merito, in quanto inidonei ad assolvere al requisito dell’esposizione sommaria del fatto di cui all’art. 366, comma 1°, n. 3, c.p.c (cfr.,Cass., 16 marzo 2023, n. 7600; Cass., 6 settembre 2022, n. 26234; Cass., 18 novembre 2021, n. 35247; Cass., 30 agosto 2019, n. 21868).
La chiarezza e sinteticità degli atti processuali: le ultime pronunce giurisprudenziali
Da ultimo, Cassazione n. 22085 del 2023 ha poi evidenziato che sono inammissibili i ricorsi per cassazione troppo prolissi e non specificatamente motivati, laddove, affermano i giudici, il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali, fissato dall’art. 3, comma 2 c.p.a., esprime un principio generale del diritto processuale ed espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, non già per l’irragionevole estensione del ricorso, la quale non è normativamente sanzionata, ma in quanto rischia di pregiudicare l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza impugnata.
E ancora la Suprema Corte, con l’Ordinanza n. 25254 del 2023 (nell’ambito peraltro di un procedimento tributario), ha ricordato che si è in proposito già stabilito che: “Ai fini del rispetto dei limiti contenutistici di cui all’art. 366, comma 1, n. 3) e 4), c.p.c., il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; l’inosservanza di tale dovere (nella specie ravvisata dalla S.C. a fronte di ricorso per cassazione di 239 pagine, nonostante la semplicità della questione giuridica alla base della decisione impugnata, illustrata in due pagine) pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, pertanto, comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponendosi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (artt. 111, comma 2, Cost. e 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui.”
La stessa Cassazione ricorda infine come i caratteri di sinteticità, concisione, chiarezza, specificità, pertinenza, continenza ed intellegibilità attengano non già a notazioni puramente stilistiche e formali, bensì alla sostanza del ricorso, così come descritto nel modello legale, con conseguente inammissibilità in caso di loro violazione.
In conclusione, la riforma Cartabia ha esteso al processo civile, ancor più chiaramente, il principio generale già vigente nel processo amministrativo fin dal 2010 e comunque già più volte affermato in sede giurisprudenziale, laddove la Relazione Illustrativa del Ministero della Giustizia chiarisce anche cosa si debba intendere esattamente per chiarezza e sinteticità, specificando che un testo chiaro è quello che si rende univocamente intellegibile e che un testo sintetico è quelli che evita ripetizioni e prolissità.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Chiarezza e sinteticità degli atti processuali