Aliquota IVA ridotta solo se l'unità immobiliare compravenduta non è di lusso ed è utilizzata per soddisfare esigenze abitative. Escluse, quindi, dalle agevolazioni le società di capitali: lo chiarisce la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 3716 del 7 febbraio 2023
L’aliquota ridotta IVA spetta unicamente se, congiuntamente, l’unità immobiliare compravenduta – anche se non ultimata - appartiene alla categoria delle abitazioni non di lusso e che sia stata effettivamente utilizzata dall’acquirente per soddisfare esigenze abitative.
L’agevolazione, pertanto, non spetta se l’acquirente è una società di capitali, in quanto il legislatore fiscale mira a tutelare il diritto ad avere un’abitazione e non i commercianti o le immobiliari di rivendita.
È questo il principio diritto enunciato dalla Corte di Cassazione nell’Ordinanza n. 3716 del 7 febbraio 2023.
Niente aliquota ridotta IVA ridotta per le società di capitali: i chiarimenti della Corte di Cassazione
Nell’ambito di una controversia scaturita a seguito della notifica di un avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle entrate aveva accertato una maggior IVA dovuta per erronea applicazione dell’aliquota ridotta prevista al n. 127-undecies della Tab. A, Parte III, allegata al d.P.R. n. 633/1972 su una complessa operazione di permuta immobiliare, la CTR ha respinto l’appello dell’Ufficio erariale.
A parere della CTR, quanto alla ripresa ai fini IVA relativa alle operazioni di permuta, correttamente le cessioni delle unità realizzande erano state assoggettate all’aliquota agevolata, perché non di lusso e perché la stessa Tabella A cit., n. 127-undecies, fa riferimento a fabbricati “anche non ultimati”, tra cui devono ritenersi ricompresi anche i fabbricati non ancora iniziati, a condizione che – una volta realizzati – rimanga l’originaria destinazione.
Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione della Tab. A, Parte III, n. 127-undecies, allegata al d.P.R. n. 633/1972, per aver erroneamente la C.T.R. ritenuto di poter applicare l’aliquota agevolata del 10 per cento anche alla cessione di beni futuri, occorrendo invece che, a tal fine, i beni siano fisicamente esistenti.
La Corte di cassazione ha ritenuto fondate le doglianze dell’Amministrazione finanziaria, ma con un profilo diverso da quello specificamente esposto dall’Agenzia.
In tema di IVA, la Corte di cassazione ha affermato che la Tab. A, n. 127-undecies, prevede l’aliquota agevolata per le “case di abitazione non di lusso (…) ancorché non ultimate”.
Ne consegue che, la circostanza che i beni non siano ancora esistenti, perché non ancora realizzati, all’atto della permuta non costituisca ex se un ostacolo all’applicazione dell’aliquota agevolata, purché, in base al programma negoziale, essi debbano essere edificati con le caratteristiche di unità abitative “non di lusso”, in coerenza col disposto dell’art. 13 della legge n. 408/1949 (c.d. legge Tupini).
Secondo i giudici di legittimità, pertanto, ciò che primariamente rileva, infatti, è che dal contratto traslativo di permuta emerga con chiarezza la tipologia oggettiva del bene da costruire. Qualora poi, ad immobile ultimato, esso abbia conseguito caratteristiche diverse da quelle agevolabili, ben potrà l’Ufficio procedere alle necessarie rettifiche, avvalendosi dei suoi poteri.
Parimenti importante, ai fini della controversia in commento è valutare il rispetto del requisito soggettivo del cessionario, quale elemento essenziale per fruire dell’aliquota agevolata.
Essa, infatti, spetta unicamente se l’unità immobiliare compravenduta - ferme le condizioni attinenti alla categoria non di lusso delle case di abitazione ed alla qualità di costruttore nel caso di cessione di fabbricati di tipo “misto” - sia stata effettivamente utilizzata dall’acquirente per soddisfare esigenze abitative, mirando il legislatore fiscale a tutelare il diritto ad avere un’abitazione e non i commercianti o le immobiliari di rivendita.
Nel caso di specie, l’agevolazione non è spettante proprio per difetto del requisito soggettivo del cessionario, trattandosi di società commerciale, nei confronti della quale non è prospettabile alcuna esigenza di tutela dell’accesso all’abitazione.
Da qui la cassazione della sentenza e la decisione di merito di rigettare il ricorso originariamente proposto dalla società.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Niente aliquota agevolata se il cessionario è una società di capitali