Dichiarazione di fallimento e diritto al rimborso dei versamenti IVA che risultano effettuati in eccedenza: i chiarimenti della Corte di Cassazione
La dichiarazione con cui i curatori o i commissari liquidatori devono presentare una dichiarazione ai fini IVA relativa alle operazioni effettuate nella frazione dell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento fa sorgere da quella data, al pari della dichiarazione di cessazione dell’attività, il diritto al rimborso dei versamenti d’imposta che risultano effettuati in eccedenza.
Così ha stabilito la Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 18320 del 4 luglio 2024.
Rimborso dell’IVA e dichiarazione 74-bis: i chiarimenti della Corte di Cassazione
Il caso riguarda il ricorso avverso un diniego di rimborso IVA proposto dalla curatela fallimentare, giustificato dall’Agenzia delle entrate sul presupposto della mancata cessazione dell’attività d’impresa, non avendo la società contribuente provveduto alla chiusura della partita IVA.
La controversia è giunta dinanzi alla CTR che, respingendo l’appello dell’Amministrazione finanziaria ha evidenziato che il credito IVA maturato dalla società in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento va necessariamente ricompreso tra i crediti che il curatore è tenuto a riscuotere nell’adempimento dei suoi compiti istituzionali funzionali alla liquidazione del patrimonio del fallito per la soddisfazione dei creditori nel rispetto della par condicio.
Inoltre, la dichiarazione IVA presentata dal curatore fallimentare doveva essere equiparata alla cessazione dell’attività, con conseguente legittimità della richiesta di rimborso.
Avverso la sentenza di appello l’Ufficio erariale proponeva ricorso per cassazione, lamentando violazione o falsa applicazione degli artt. 30, secondo comma, 35 e 74 bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per avere la Commissione di secondo grado erroneamente ritenuto che la dichiarazione ex art. 74 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 depositata dal curatore fallimentare sia equiparabile alla cessazione dell’attività d’impresa.
La Corte di cassazione ha respinto le doglianze dell’Amministrazione finanziaria e ha rigettato il ricorso.
Come chiarito dalla Corte di cassazione, la posizione IVA maturata in epoca precedente la dichiarazione di fallimento è differente da quella successiva, ponendosi la coincidenza della partita IVA per le operazioni prefallimentari e postfallimentari come circostanza meramente occasionale, che non muta l’autonomia giuridica delle operazioni facenti capo al fallito, di cui il curatore è avente causa e amministratore del patrimonio, e quelle riferibili alla massa dei creditori, nel cui interesse opera il curatore stesso, quale gestore del patrimonio altrui, con conseguente necessità di redazione, ai sensi dell’art. 74-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, di due distinte dichiarazioni IVA, aventi ad oggetto le operazioni effettuate dal fallito anteriormente e successivamente al fallimento.
La necessità di distinguere tra la posizione IVA ante fallimento e la posizione IVA post fallimento giustifica l’orientamento per il quale la dichiarazione, prevista dall’art. 74 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 del curatore, relativamente alle operazioni anteriori all’apertura o all’inizio della procedura concorsuale, è equiparabile alla dichiarazione di cessazione di attività.
Detta dichiarazione, al pari della dichiarazione annuale, chiudendo il rapporto tributario antecedente al fallimento, fa sorgere, da quella data, ai sensi dell’art. 30 del d.P.R. 633 del 1972, il diritto al rimborso dei versamenti d’imposta che risultano effettuati in eccedenza (così Cass. n. 27948 del 30/12/2009; Cass. n. 36385 del 13/12/2022).
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Via libera al rimborso dell’IVA dopo la dichiarazione 74-bis