ISTAT, nel Censimento permanente delle istituzioni pubbliche l'impatto della pandemia e dello smart working sulla Pubblica Amministrazione. Prima del Covid solo il 3,6 per cento delle amministrazioni era organizzato al lavoro agile, passato al 58,9 per cento nel 2020. Il lavoro a distanza aumenta il benessere dei lavoratori, meno chiari gli effetti sui servizi per cittadini e imprese.
L’impatto della pandemia da Coronavirus ha cambiato il volto della Pubblica Amministrazione in Italia.
Ad assicurarlo sono i risultati preliminari del Censimento permanente delle istituzioni pubbliche diffuso il 15 dicembre 2021 dall’ISTAT per quel che riguarda le sezioni relative allo smart working e agli effetti del Covid-19 sulla PA.
L’Istituto di statistica ha in effetti registrato i profondi cambiamenti avvenuti nell’attività degli uffici pubblici in un tempo estremamente ristretto corrispondente ai mesi del lockdown nel 2020.
Basti pensare che solo il 3,6 per cento delle amministrazioni pubbliche si era già organizzato prima dell’arrivo del virus con iniziative riguardanti lo smart working.
Dai dati ISTAT emerge peraltro una chiara divaricazione nel comportamento delle diverse amministrazioni verso il lavoro da remoto nel 2020 che si dividono seguendo le direttrici del “grande-piccolo”: dove le PA più grandi e strutturate del paese si sono dimostrate più preparate alla strutturazione di forme di lavoro a distanza.
Inoltre, l’ISTAT traccia un bilancio positivo e abbastanza univoco dell’esperienza del lavoro da remoto di massa avvenuto nel 2020: a detta di più dell’80 per cento delle amministrazioni consultate è aumentato infatti il benessere dei lavoratori, grazie al miglioramento dell’equilibrio fra vita professionale e privata.
Più incerto invece il bilancio in materia di servizi erogati ai cittadini e alle imprese. Ma vediamo più da vicino i risultati dell’indagine.
ISTAT, come si è diffuso lo smart working nella PA nel 2020
La necessità di far lavorare gran parte del proprio personale da remoto è stata probabilmente colta più agevolmente dalle pubbliche amministrazioni più grandi, dato che nella percentuale molto bassa di esperienze avvenute prima della pandemia spicca il numero delle PA più strutturate.
Infatti, secondo il censimento ISTAT le istituzioni che avevano già lavorato in questa modalità erano:
- presidenza del Consiglio e ministeri con il 66,7 per cento delle iniziative di questo tipo;
- agenzie centrali per il 50 per cento;
- città metropolitane al 28,6 per cento;
- università pubbliche 27,1;
- giunte e consigli regionali 25 per cento.
Al contrario i comuni più piccoli e le comunità montane erano tra le realtà meno sensibili al lavoro a distanza.
Una divaricazione di atteggiamento rispetto al lavoro agile è peraltro riscontrabile anche su base geografica, visto che delle poche amministrazioni che nel complesso avevano fatto queste esperienze:
- il 5 per cento si trovava nel Nord-Est;
- il 3,7 nel Centro;
- il 3,1 nel Nord-Ovest;
- il 2,7 nel Sud;
- il 2,6 nelle Isole.
Sta di fatto che con l’arrivo del Sars-Cov2 la situazione è cambiata rapidamente con il lavoro agile che è divenuto modalità ordinaria di attività nelle pubbliche amministrazioni e con il 58,9 per cento delle istituzioni pubbliche che al 31 dicembre 2020 prevedeva una sola quota minima di dipendenti in presenza, soprattutto tra le amministrazioni più piccole (il 63,2 per cento di quelle tra 0 e 9 dipendenti).
Nel complesso il numero minimo dei lavoratori tenuti a lavorare in presenza delle PA esaminate dall’ISTAT sono stati il 14,8 per cento.
Ma un segnale evidente delle difficoltà ad organizzarsi per il lavoro agile viene soprattutto dalla dotazione di personal computer per i dipendenti.
In questo caso, ISTAT registra che il totale delle città metropolitane ha potuto fornirne ai propri dipendenti e così per oltre il 94 per cento le amministrazioni centrali dello Stato, gli organi costituzionali e le università pubbliche, ma anche gran parte delle provincie con l’80,9 per cento e delle regioni con il 75.
Tuttavia la media nazionale delle pubbliche amministrazioni che hanno offerto strumentazione hardware per il lavoro da remoto per il proprio personale è stata complessivamente solo del 47,6 per cento.
Ad abbassare drasticamente la media sono stati i comuni (in media il 46,4 per cento), soprattutto i più piccoli, e gli enti pubblici non economici (58,7 per cento): tutti non in grado di assicurare PC ai propri dipendenti.
In ogni caso e in tutto il Paese la possibilità di utilizzare i propri strumenti informatici da parte dei dipendenti ha rappresentato la misura adottata dal maggior
numero di istituzioni pubbliche (77,4 per cento) per il lavoro da remoto.
Smart working e digitalizzazione PA, cosa ci dice l’ISTAT
Se per quel che riguarda il benessere dei lavoratori prodotto dal lavoro agile il dato raccolto dall’ISTAT è molto chiaro con più dell’80 per cento delle amministrazioni consultate che lo riconoscono, meno evidente è l’impatto del lavoro agile sui servizi erogati a cittadini e imprese con il 53,6 per cento delle PA che ritengono che non ce ne sia stato alcuno, il 34,6 che abbia avuto effetti positivi e solo l’11,8 effetti negativi.
Tuttavia, benché questi dati siano stati commentati dal Dipartimento della funzione pubblica come una conferma della scarsa efficienza del lavoro agile praticato lo scorso anno, seguendo la linea politica del Ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta a ben guardarli non si arriva alle stesse conclusioni, date le condizioni di arretratezza già menzionate: ad esempio la scarsa dotazione tecnica e la mancanza di formazione del personale.
Tanto più che dalla stessa indagine emerge come le diverse amministrazioni per il 67 per cento considerino proprio la mancanza di formazione in materia di Ict, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, il principale ostacolo al processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione italiana.
A pensarla così sono soprattutto le realtà locali come i comuni, con il 78,5 per cento di quelli con meno di 5.000 abitanti.
E forse su questo dovrebbe concentrarsi maggiormente l’attenzione del Governo perché l’investimento sulla formazione del personale e sulla dotazione tecnologica degli uffici pubblici potrebbe riaprire possibilità ben più ampie per la diffusione del lavoro pubblico a distanza, anche in considerazione dello perdurare dello stato di emergenza sanitaria e delle necessità ambientali di un trasporto pubblico sostenibile.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: ISTAT, pandemia e smart working hanno cambiato la PA