Si chiude l'esperienza dello smart working nella Pubblica Amministrazione. La bozza del decreto per il rientro negli uffici dei dipendenti pubblici produce perplessità nei sindacati di categoria e preoccupa per l'impatto sui trasporti pubblici. Il provvedimento chiede ai mobility manager pubblici la stesura dei Piani degli spostamenti casa-lavoro e una maggiore flessibilità degli orari di ingresso e di uscita del personale.
Smart working nella Pubblica Amministrazione, finale di partita.
Sembra essere questo l’esito del lavoro agile negli uffici pubblici, iniziato come esperienza di massa con l’avvento della pandemia da Coronavirus nel 2020.
La bozza di decreto sulla quale sta lavorando il Dipartimento della Funzione Pubblica prevede infatti il rientro al lavoro in presenza per tutti i dipendenti della Pubblica Amministrazione a partire dal prossimo 15 ottobre: rientro che dovrà completarsi entro i successivi 15 giorni, pertanto il 30 ottobre 2021.
La scaletta prevista dalla Funzione Pubblica contempla per primo il termine dello smart working e il rientro dei lavoratori che lavorano a contatto con il pubblico (front office) e successivamente quelli dei settori che erogano servizi all’utenza (back office). Il tutto appunto entro ottobre.
Ma cerchiamo di approfondire meglio la filosofia che c’è dietro il “tutti in ufficio” del decreto ispirato in prima persona dal Ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta.
La riduzione dello smart working nella Pubblica Amministrazione e le preoccupazioni per la pandemia
L’indirizzo di fondo del provvedimento che prevede il ritorno al lavoro in presenza nella Pubblica Amministrazione (che però ricordiamolo al momento è ancora una bozza) è riassumibile nelle seguenti parole presenti al comma 3 dell’articolo 1:
“il lavoro agile non è più una modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa”.
Tutto ruota intorno al concetto della riduzione del lavoro agile a prestazione di lavoro non ordinaria negli uffici pubblici.
Una filosofia che sancisce la fine dello smart working come esperienza di massa, dettata dall’emergenza sanitaria e che tra luci ed ombre era stata molto apprezzata dai dipendenti pubblici.
Tuttavia, dato che lo stato di emergenza sanitaria proclamato dal Governo perdurerà sino al prossimo 31 dicembre 2021, nello stesso testo della bozza di decreto si prevedono una serie di misure per mitigare il temuto effetto di potenziamento della curva pandemica eventualmente risultante dal ritorno al lavoro in presenza di centinaia di migliaia di dipendenti pubblici.
Queste misure sono così riassumibili:
- al comma 2 dell’articolo 1, lettera b, della bozza di decreto si prevede l’individuazione da parte delle amministrazioni pubbliche di fasce di flessibilità in entrata e in uscita, anche in deroga ai contratti collettivi “allo scopo di evitare che il personale che accede alla sede di servizio si concentri nella stessa fascia oraria”. Amministrazioni che debbono anche tenere conto della “situazione del proprio ambito territoriale” e “delle condizioni del trasporto pubblico locale”;
- data la perdurante carenza di mezzi di trasporto pubblici, soprattutto nei grandi centri urbani, la bozza del provvedimento si preoccupa invece all’articolo 2 di incaricare i cosiddetti mobility manager delle aziende delle PA di elaborare i Piani degli spostamenti casa - lavoro (Pscl), tenendo conto delle nuove fasce orarie di ingresso e di uscita. I mobility manager dovranno raccordandosi con i loro omologhi degli enti locali, che a loro volta dovranno valutare “l’emanazione di apposite disposizioni finalizzate ad adeguare tempestivamente i piani di trasporto pubblico locale alle nuove fasce di flessibilità delle pubbliche amministrazioni”.
Ora a prescindere dai dubbi sulla disponibilità delle risorse economiche per provvedere a un potenziamento di tale portata del trasporto pubblico da parte degli enti locali e delle regioni, quello che balza agli occhi è la mancanza del tempo necessario per attuarlo.
Fine dello smart working o nuovo contratto: le perplessità dei sindacati
Ma le perplessità in materia di adeguatezza dei trasporti non sono le uniche; ci sono anche quelle delle organizzazioni sindacali dei lavoratori pubblici.
Queste ultime in effetti sono state evocate più volte dal Ministro Brunetta per contribuire a inquadrare in un nuovo contratto lo smart working e in realtà delle trattative sono in corso, sebbene non appaiono proprio in via di definizione.
In un comunicato unitario del 24 settembre o sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil scrivono che “È importante salvaguardare la contrattualizzazione del lavoro agile nella Pubblica amministrazione”.
Una precisazione fatta perché il decreto in bozza della Funzione Pubblica da una parte riduce lo smart working a fenomeno marginale e dall’altra ne specifica molto i contenuti all’interno dell’accordo individuale con il singolo lavoratore come previsto dalla Legge Madia del 2017.
A questo punto a che serve un nuovo contratto?
Ma a pensarci bene la domanda è da estendere anche agli investimenti sulla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione: a che scopo farli, se poi di fatto si esclude il lavoro a distanza?
Tutte domande da girare al Ministro Brunetta, ma nel frattempo si torna in ufficio.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Brunetta chiude gli spazi per lo smart working nella Pubblica Amministrazione