Smart working, come funziona per i dipendenti pubblici e quali sono le differenze rispetto al telelavoro? Il coronavirus porta anche la pubblica amministrazione ad adeguarsi, stimolando il lavoro agile. Tutte le regole e le novità a potenziamento di quanto previsto dalla legge n. 81/2017.
Smart working anche per i dipendenti pubblici. La pubblica amministrazione, per rispondere all’emergenza coronavirus, adegua le proprie regole per il lavoro agile.
L’emanazione del DPCM del 9 marzo 2020 incentiva in misura maggiore l’adozione di provvedimenti per limitare gli spostamenti dei lavoratori dipendenti, compresi gli statali, per i quali smart working e telelavoro sono stati regolamentati dalla legge n. 81/2017.
La circolare n. 1 del Ministero della Funzione Pubblica ha superato la fase sperimentale del lavoro agile per i dipendenti pubblici, rendendo di fatto obbligatorio lo smart working all’interno della pubblica amministrazione.
L’interesse rispetto al lavoro agile di dipendenti pubblici e non cresce considerevolmente, e nelle ultime settimane a causa dell’emergenza coronavirus sono sempre più lavoratori ed aziende che si chiedono come funziona lo smart working.
Sono molteplici i fattori che portano a pensare che sia proprio lo smart working il futuro del lavoro, non solo in un periodo particolare come quello attuale.
La necessità di conciliare i tempi e i modi dell’attività professionale con quelli della vita per dipendenti e utenti (dalla cura di sé a quella dei propri figli), ma anche l’urgenza di affrontare la congestione del traffico nelle grandi città dal punto di vista ambientale e degli ingenti investimenti nei trasporti pubblici.
Di qui l’idea di ridurre gli spostamenti delle persone dal luogo del domicilio a quello del lavoro, impiegando la tecnologia per spostare invece quest’ultimo verso postazioni più semplici da raggiungere.
Per capire come funziona lo smart working è tuttavia fondamentale partire dalle differenze con il telelavoro.
Partiamo proprio da queste per capire come funziona il lavoro agile all’interno della pubblica amministrazione e quali sono le novità in campo per affrontare l’emergenza coronavirus.
Smart working: come funziona e differenza con il telelavoro
Il telelavoro prevede un orario tradizionale, è quindi più rigido ed in realtà costituisce solo un cambiamento di luogo di lavoro.
L’addetto lavora da casa o comunque da un posto lontano dalla sede dell’azienda o dell’istituzione per quel che riguarda i dipendenti della pubblica amministrazione.
Lo smart working o lavoro agile invece, è una realtà più articolata che include il lavoro da casa certo, ma anche dal proprio tradizionale posto di lavoro o da postazioni di cosiddetto “coworking”, ovvero edifici dove si svolgono in ambienti aperti attività di tipo completamente diverso l’una dall’altra, con l’utilizzo in comune però di spazi e tecnologie.
Gli orari in questo caso possono non essere affatto rigidi, ciò che conta sono i risultati che devono essere controllati ovviamente dai dirigenti.
Smart working dipendenti pubblici: come funziona e regole della PA per l’emergenza coronavirus
Nell’emergenza sanitaria legata alla diffusione del coronavirus la pubblica amministrazione punta sul lavoro agile e a distanza per garantire i servizi ai cittadini e partecipare attivamente al contenimento dell’infezione.
Lo smart working viene esplicitamente incentivato e semplificato da tutti i decreti adottati dal Governo. Con l’estensione a tutto il territorio nazionale della zona protetta, sono diverse le aziende che hanno optato per il lavoro agile dei propri dipendenti, compresi gli uffici pubblici.
Con la circolare n. 1 del 4 marzo 2020 lo smart working per i dipendenti pubblici diventa di fatto obbligatorio. Il documento rende evidente la chiusura della fase “pioneristica” delle nuove modalità di lavoro e punta a trasformare l’opportunità dello smart working in obbligo, in funzione del contenimento sanitario, ma anche della necessaria modernizzazione dell’amministrazione pubblica.
La circolare impone alle diverse amministrazioni l’obbligo di adottare lo smart working e prevede l’acquisto attraverso la Consip Spa di attrezzature informatiche per consentire lo smart working per i pubblici dipendenti.
Tra le regole previste per il passaggio all’obbligatorietà dello smart working per i dipendenti pubblici c’è:
- l’utilizzo di soluzioni “cloud” per agevolare l’accesso condiviso a dati, informazioni e documenti;
- ricorso a strumenti per la partecipazione da remoto a riunioni e incontri di lavoro (sistemi di videoconferenza e call conference);
- ricorso alle modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa anche nei casi in cui il dipendente si renda disponibile ad utilizzare propri dispositivi, a fronte dell’indisponibilità o insufficienza di dotazione informatica da parte dell’amministrazione, garantendo adeguati livelli di sicurezza e protezione della rete secondo le esigenze e le modalità definite dalle singole pubbliche amministrazioni;
- attivazione di un sistema bilanciato di reportistica interna ai fini dell’ottimizzazione della produttività anche in un’ottica di progressiva integrazione con il sistema di misurazione e valutazione della performance.
- Dipartimento Funzione Pubblica - circolare n. 1 del 4 marzo 2020
- Misure incentivanti per il ricorso a modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa
L’urgenza della scelta, legata all’emergenza coronavirus, appare evidente nella scelta di consentire al lavoratore perfino l’impiego di strumenti propri, pur di consentirgli l’accesso a modalità di lavoro a distanza.
Smart working dipendenti pubblici: il quadro giuridico e gli obiettivi nella PA
In Italia lo smart working è stato ufficialmente introdotto nel comparto pubblico con la legge 7 agosto 2015 n. 124 e con il cosiddetto decreto Madia, dal nome dell’allora ministro per la Pubblica Amministrazione.
Il tradizionale telelavoro, invece, era già stato regolato dalla legge Bassanini del 1998.
A seguire, il lavoro agile in particolare ha ricevuto l’inquadramento attuale con la legge numero 81 del 2017 che riguarda sia il settore privato, sia quello pubblico, e con la conseguente promulgazione delle linee guida da parte della Presidenza del consiglio del 26 giugno dello stesso anno per la loro attuazione nella pubblica amministrazione.
L’obiettivo quantitativo che si poneva già la legge del 2015 ed è stato ribadito dalle linee guida del 2017 è quello di far lavorare in smart working entro tre anni il 10 per cento dei dipendenti pubblici.
Ovviamente, la cornice giuridica ha dovuto affrontare anche altri temi come, ad esempio, dare garanzia che i dipendenti che optino per il lavoro agile non subiscano penalizzazioni dal punto di vista economico o di carriera, e strutturare un adeguato sistema di controllo e valutazione con relativa responsabilizzazione dei dirigenti.
Smart working, i vantaggi oltre l’emergenza coronavirus: lo studio ENEA
Se l’interesse per lo smart working è legato oggi ad una necessità pubblica di tutela della salute dei cittadini, sono diversi i vantaggi che il lavoro agile potrebbe apportare all’intera società.
Sulla scia della crescente attenzione per il lavoro a distanza, anche l’Enea ha deciso di occuparsene con una sua ricerca per capirne l’impatto sulla qualità della vita e la sostenibilità urbana.
Negli scorsi anni è stato effettuato uno studio che ha coinvolto circa 3.500 dipendenti della pubblica amministrazione, operativi in modalità di lavoro agile o telelavoro.
Il settore geografico analizzato si è limitato al centro-nord, con una particolare attenzione alla regione Liguria e al Comune di Genova che hanno affrontato le difficoltà di spostamento dei lavoratori dopo il crollo del ponte Morandi anche con il lavoro a distanza.
“Ora il nostro obiettivo è coinvolgere nell’indagine le pubbliche amministrazioni del Sud e delle Isole, dove è meno diffuso il ricorso al lavoro a distanza - ha dichiarato Bruna Felici dell’Unità Studi, Valutazioni e Analisi di ENEA - anche se non mancano casi di enti che hanno avviato iniziative originali e interessanti. Inoltre, alle amministrazioni che aderiranno all’indagine forniremo una stima dei chilometri, dei consumi e delle emissioni evitate grazie al telelavoro e allo smart working, utili a considerare e a valutare il proprio contributo per la riduzione dell’impatto sull’ambiente”.
La motivazione di questo interesse sullo smart working per i dipendenti pubblici da parte dell’Ente che si occupa di nuove tecnologie e sviluppo sostenibile è abbastanza ovvio.
Se infatti ogni giorno 19 milioni di persone si recano al lavoro, soprattutto con mezzi privati diventa una questione vitale ridurre l’inquinamento, soprattutto per l’Italia deferita alla Corte di Giustizia Europea per il superamento dei limiti di emissione del biossido di azoto nell’atmosfera, come era già accaduto per le particelle PM10.
Un’idea conclusiva delle possibili ricadute positive lo fornisce Marina Penna, ricercatrice della stessa Unità dell’Enea:
“Basterebbe anche un solo giorno a settimana di smart working per i tre quarti dei lavoratori pubblici e privati che utilizzano l’automobile per ridurre del 20 per cento il numero di chilometri percorsi in un anno. In questo modo si otterrebbe un risparmio di circa 950 tonnellate di combustibile, oltre a una riduzione di oltre 2,8 milioni di tonnellate di CO2, di 550 tonnellate di polveri sottili e di 8mila tonnellate di ossidi di azoto, con un significativo impatto positivo sulla salute della popolazione”.
Se quindi è oggi legittimo considerare lo smart working come una soluzione idonea per evitare il diffondersi del contagio da coronavirus, è evidente che i vantaggi del lavoro agile sono molteplici, sia per il lavoratore che per la società intera.
Il coronavirus, che speriamo di lasciarci presto alle spalle, porta a ripensare l’organizzazione del lavoro nel lungo termine.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Smart working e telelavoro: come funzionano nella pubblica amministrazione