Anche dopo le osservazioni espresse dalle commissioni Finanze di Camera e Senato sullo schema di Dlgs proposto dal Governo che introduce il concordato preventivo biennale, restano alcuni punti oggetto di perplessità. Un'analisi e alcune proposte
Siamo ormai quasi al termine dell’iter propedeutico all’introduzione formale del concordato preventivo biennale contenuto in uno dei decreti delegati che il Governo deve emanare per l’attuazione della riforma fiscale.
Lo schema del provvedimento è stato inviato alle Camere lo scorso dicembre e le Commissioni Bilancio e Finanze dei due rami del Parlamento hanno espresso il proprio parere nel merito del testo proposto.
Le osservazioni fino ad ora espresse, pur considerando i vari distinguo, hanno nei fatti recepito sostanzialmente l’esigenza di non appesantire ulteriormente il già fitto calendario di adempimenti fiscali previsti per il 2024, uno dei principali punti di discussione evidenziato da commercialisti e tributaristi, in attesa del suo agognato sfoltimento.
Concordato preventivo biennale: adempimenti dopo l’estate
Si va quindi, almeno per questo primo anno di applicazione del concordato preventivo biennale, verso il posticipo a dopo l’estate della presentazione dei dati necessari per la formulazione della proposta.
Questo è l’orientamento emerso dai pareri di entrambi i rami del Parlamento che consentirà anche un più ragionato ad attento approfondimento della proposta da parte dei contribuenti e dei propri consulenti tale da poter formulare una accettazione o meno più consapevole.
Verosimilmente l’ipotesi più gettonata sembra essere quella di posticipare al 15 ottobre la presentazione della dichiarazione dei redditi dei soggetti titolari di partita IVA.
Interessante notare come l’osservazione contenuta nel parere approvato dalla Commissione Finanze del Senato riprenda nella sostanza le proposte formulate dall’Istituto Nazionale Tributaristi oggetto di una la conferenza tenuta alla sala Stampa della Camera il 20 Dicembre scorso, con l’intervento di Assosoftware, UNCAT e degli Onorevoli Walter Rizzetto ed Alessandro Cattaneo:
“prevedere che, nella fase di prima applicazione dell’istituto, il termine per l’invio del modello di adesione al concordato preventivo biennale, unitamente a quello di trasmissione della dichiarazione dei redditi, possa essere differito rispetto alle ordinarie scadenze, anche consentendo che la sola seconda rata di acconto possa essere calcolata sulla base dei redditi concordati”.
Concordato preventivo biennale: il riferimento al dato ISA
Le osservazioni espresse dai due rami del Parlamento hanno riguardato anche il vincolo del punteggio ISA.
Le Commissioni pronunciatesi hanno chiesto di attenuarne l’impatto, leggasi il documento della commissione Finanze della Camera:
“h) con riferimento alle disposizioni di cui al Titolo II, consentire al contribuente di segnalare, in sede di perfezionamento del concordato preventivo biennale, eventuali anomalie che incidano sul punteggio di affidabilità fiscale e, comunque, sul reddito”,
o di eliminare del tutto, come ha proposto la stessa commissione del Senato:
“prevedere che l’accesso al concordato preventivo biennale venga esteso, nel rispetto della disciplina relativa agli ISA, a tutti i contribuenti che ne facciano richiesta”.
Queste proposte se implementate nel Dlgs potranno ampliare la platea dei potenziali fruitori, ma alcune perplessità restano.
Alcuni aspetti ancora controversi del concordato preventivo biennale
La norma prevede la fissazione di un reddito su cui calcolare le imposte lasciando fermi tutti gli altri obblighi relativi ai regolari adempimenti di ordinaria tenuta della contabilità e le scritture.
Si dovrà sempre fare attenzione all’eventuale superamento dei limiti di riferimento sia per quanto agli adempimenti IVA, nel passaggio da liquidazione trimestrale a mensile come pure con riguardo agli adempimenti contabili nei passaggi tra forfettario, semplificato ed ordinario.
Da ciò ecco il primo dubbio.
Prendiamo il caso del contribuente forfettario che aderisce alla proposta concordataria.
L’articolo 26 della bozza del Dlgs in esame recita:
“Art. 26 (Adempimenti) 1. Nei periodi d’imposta oggetto di concordato, i contribuenti sono tenuti agli obblighi previsti per i soggetti che aderiscono al regime forfetario di cui all’articolo 1, commi da 54 a 89 della legge 23 dicembre 2014, n. 190.”
Vero è che il Senato nel suo parere ha osservato che almeno per questa categoria di contribuenti l’applicazione sarà di carattere sperimentale e valutava opportuno che possa essere formulata la proposta relativa ad un solo anno.
Ma se così non sarà ecco le domande.
Cosa accadrà se nel corso del primo anno di adesione viene superata la soglia degli 85.000 euro di incassi?
Quale imposta dovrà essere applicata sul reddito concordato per l’anno successivo, l’imposta sostitutiva a cui sono soggetti i contribuenti in regime forfettario? L’imposta IRPEF e le relative addizionali?
E se in corso d’anno è superata la soglia dei 100 mila euro, il dubbio si proporrà nell’immediato.
I testo del Dlgs riprende anche il comma 54 e 71 dell’articolo 1 della legge 190/2014 che rimane in vigore appunto anche per i contribuenti “concordatari” in regime forfettario.
Questo un primo punto non di poco conto che andrà chiarito, attesa anche la numerosa platea dei potenziali soggetti interessati.
Il paletto del debito da riconsiderare
La norma ha volutamente previsto dei paletti particolarmente stringenti all’ingresso in riferimento a debiti fiscali e contributivi.
I titolari di partita IVA beneficiari non devono avere debiti tributari o aver almeno estinto alla data di presentazione della dichiarazione per l’anno in corso oltre i 5.000 euro. Non devono avere debiti contributivi definitivamente accertati superiori ai 5.000 euro.
Questo sempreché non siano oggetto di rateazione o di sospensione, quindi sembrerebbero esclusi anche i soggetti che ad esempio hanno in corso delle rateazioni dei cosiddetti avvisi bonari non decadute, ma resta sempre un paletto che andrebbe a mio parere rivisto considerando l’attuale stato della riscossione nel nostro Paese.
L’economia è in effetti ripartita dopo la crisi pandemica, ma non in uguale misura per tutti, ed anche la recrudescenza dell’inflazione ora in attenuazione ha avuto effetti non del tutto positivi sulle finanze dei contribuenti che hanno potuto si aderire alla rottamazione quater ma nel contempo hanno dovuto far fronte all’incremento di costo dei finanziamenti erogati dal sistema bancario.
Le notizie del sempre maggiore numero di famiglie alle prese col fine mese si misura anche nel mondo delle partite IVA, all’interno del quale vi sono soggetti che vorrebbero e potrebbero aderire alla eventuale proposta di concordato che sarà formulata perché oggi sono in grado di far fronte alle necessità di cassa corrente ma non sono ancora nella condizione di poter far fronte al 100 per cento degli impegni relativi al debito pregresso, pur ritenendo di averne il potenziale nel medio periodo.
Su questo punto ritengo che il Governo possa e debba fare un passo in più, non necessariamente nel contesto del Dlgs relativo al Concordato Preventivo Biennale ma penso, ad esempio, con la rivisitazione delle sanzioni tributarie, in particolare relativamente agli omessi e ritardati versamenti, come peraltro disposto dalla Delega Fiscale e che si spera venga posta in atto quanto prima con effetti anche sul pregresso non riscosso riducendone così il carico.
Faciliterebbe ulteriormente la propensione al pagamento spontaneo di quanto maturato in passato anche in via rateale e potrebbe finalmente sancire il termine definitivo della stagione delle rottamazioni con una contestuale ultima edizione.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Elementi di perplessità nel concordato preventivo biennale