SNC: il socio receduto risponde del reddito accertato alla società finché non formalizza l’uscita

Emiliano Marvulli - Diritto societario

In una società in nome collettivo, il socio receduto risponde del reddito accertato alla società fino a quando non formalizza l’uscita dalla compagine sociale. Lo precisa la Corte di Cassazione

SNC: il socio receduto risponde del reddito accertato alla società finché non formalizza l'uscita

Il socio di una società in nome collettivo che abbia perduto tale qualità (in conseguenza di recesso, esclusione o cessione della quota) risponde nei confronti dei terzi, ivi compresa l’Amministrazione finanziaria, delle obbligazioni sociali sorte fino al momento in cui la cessione sia stata iscritta nel registro delle imprese o fino al momento (anteriore) in cui il terzo sia venuto a conoscenza della cessione.

Questo il contenuto dell’Ordinanza n. 326/2025 della Corte di cassazione.

SNC: il socio receduto risponde del reddito accertato alla società finché non formalizza l’uscita

La controversia prende le mosse dal ricorso avverso due avvisi di accertamento con i quali veniva imputato al ricorrente nella sua veste di socio al 50 per cento della società, ai sensi dell’articolo 5 del TUIR, il maggior reddito pro-quota per gli anni 2006 e 2007 ricostruito in capo alla società.

Il contribuente impugnava gli avvisi innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale deducendo di essere uscito dalla società nel 2003, pur senza aver provveduto alle formalità richieste dalla legge.

In particolare, il contribuente non aveva posto in essere alcun atto formale di recesso dalla società e aveva semplicemente comunicato nel 2004 alla Camera di Commercio la cessazione dell’attività lavorativa, in conseguenza di un gravissimo infortunio subito l’anno precedente; ammetteva, poi, di aver ceduto solo in via di fatto la propria quota all’altro socio, senza formalizzare la relativa cessione.

Formalmente, quindi, il contribuente risultava ancora iscritto, come socio, nei libri sociali.

La CTP, previa riunione dei ricorsi, li accoglieva, ritenendo fornita dal contribuente la prova della propria uscita dalla compagine societaria.

L’Ufficio proponeva gravame alla Commissione Tributaria Regionale chiedendone l’integrale riforma perché, in mancanza di una formale cessione della quota di partecipazione, non poteva ritenersi che il ricorrente non avesse percepito utili.

La CTR respingeva l’appello ritenendo che il ricorrente avesse provato sia “l’uscita dalla società” sia lo svolgimento di attività lavorativa “in altra e diversa situazione”; considerava, quindi, “effettiva e naturale” l’estromissione del ricorrente dalla società, “anche se formalmente non corretta”.

Per la cassazione della citata sentenza l’Ufficio ha proposto ricorso lamentando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 del DPR n. 917/86, che la Corte di Cassazione ha ritenuto fondato.

Il parere della Cassazione

Secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di IRPEF, e con riguardo ai redditi prodotti in forma associata:

“il socio di società in nome collettivo che non provveda tempestivamente - in conseguenza di recesso, esclusione, cessione della quota - a richiedere l’iscrizione nel registro delle imprese della modifica dell’atto costitutivo, o non provi che l’amministrazione finanziaria ne fosse a conoscenza, non può opporre, ai fini dell’applicazione dell’imposta sul suo reddito di partecipazione, la perdita della qualità di socio non iscritta e non comunicata (così Cass. 25.5.2022, n. 16871).”

Invero, la perdita della qualità di socio nelle società di persone (in conseguenza di recesso, esclusione, cessione della quota) integrando una modificazione dell’atto costitutivo (per la società in nome collettivo, art. 2295 c.c.) è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese a pena di inopponibilità ai terzi, a meno che si provi che questi ne fossero a conoscenza (art. 2300, comma 3, c.c.).

Così il regime di cui agli artt. 2290 e 2300 c.c., in forza del quale il socio di una società in nome collettivo che cede la propria quota risponde, nei confronti dei terzi, delle obbligazioni sociali sorte fino al momento in cui la cessione sia stata iscritta nel registro delle imprese o fino al momento anteriore in cui il terzo sia venuto a conoscenza della medesima, è di generale applicazione, non riscontrandosi alcuna disposizione di legge che ne circoscriva la portata al campo delle obbligazioni di origine negoziale con esclusione di quelle che trovano la loro fonte nella legge.

Pertanto, il socio di una società in nome collettivo che abbia perduto tale qualità risponde, nei confronti dei terzi, delle obbligazioni sociali sorte fino al momento in cui la cessione sia stata iscritta nel registro delle imprese o fino al momento (anteriore) in cui il terzo sia venuto a conoscenza della cessione (ed è appena il caso di rilevare che l’Amministrazione finanziaria assume la posizione di soggetto terzo rispetto al rapporto sociale ed all’atto di cessione delle quote sociali posto in essere dal socio di una società di persone).

Nel caso di specie la CTR ha fatto mal governo di tali principi perché ha ritenuto sufficiente il dato sostanziale (l’uscita del socio dalla compagine sociale) in luogo di verificare se il dato fosse stato pubblicizzato o fosse, comunque, pervenuto a conoscenza del Fisco. In senso contrario alla conoscenza del dato de quo in capo a terzi milita senza dubbio la circostanza che l’odierno intimato risultasse ancora iscritto nel libro dei soci.

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