Ritenute a titolo d'acconto: alcuni chiarimenti della Corte di Cassazione sul riparto di responsabilità ed onere della prova tra sostituto e sostituito. Nella sentenza numero 17475 del 2021 il caso di un contribuente che impugna una cartella esattoriale emessa dopo un controllo formale sulla dichiarazione dei redditi.
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 17475 del 17 giugno 2021, in riferimento alle ritenute di imposta, ha chiarito alcuni complessi profili in tema di riparto della responsabilità e dell’onere della prova tra sostituto e sostituito.
Nel caso di specie, il contribuente aveva impugnato, davanti alla Commissione Tributaria Provinciale, una cartella esattoriale, emessa, a seguito di controllo formale della dichiarazione dei redditi, per il recupero a tassazione, in relazione all’anno d’imposta 2005, di somme scomputate a titolo di ritenute d’acconto su redditi di lavoro autonomo, per le quali i sostituti d’imposta avevano omesso di trasmettergli le certificazioni attestanti il versamento delle ritenute stesse.
- Corte di Cassazione - Sentenza numero 17475 del 17 giugno 2021
- Il testo della Sentenza della Corte di Cassazione numero 17475 del 17 giugno 2021
Ritenute a titolo d’acconto, riparto di responsabilità ed onere della prova: il caso
I giudici di primo grado avevano respinto il ricorso, osservando che il contribuente non aveva dimostrato con idonea documentazione di avere effettivamente subito le ritenute, non ritenendo a tal fine sufficiente la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà dallo stesso prodotta.
Proposto appello, il contribuente chiedeva quindi, in via istruttoria, alla Commissione Tributaria Regionale di ordinare all’Agenzia delle Entrate la produzione dei documenti da lui già consegnati nella fase precedente al giudizio.
I giudici di appello, disposto, con ordinanza, il deposito, da parte dell’Agenzia delle Entrate, della documentazione che il contribuente affermava di avere consegnato all’Ufficio a dimostrazione delle ritenute d’acconto subite, rigettavano tuttavia l’impugnazione.
Rilevava infatti la CTR che il contribuente aveva asserito di avere depositato due casse di documenti, mentre l’Ufficio aveva presentato solo 21 documenti, insufficienti ed inadeguati.
In ogni caso, osservavano i giudici, il contribuente, che pure avrebbe potuto, nel suo interesse, rimediare alla eventuale carenza della produzione documentale dell’Ufficio finanziario, non aveva fornito la documentazione attestante, importo per importo, di avere subito le ritenute (copia delle fatture e prova del pagamento al netto della ritenuta).
Il contribuente proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo la violazione dell’art. 4 del Dpr. 322/98 (sulle modalità di dichiarazione e certificazioni dei sostituti d’imposta), dell’art. 36-ter del Dpr. n. 600/73 (sul controllo della dichiarazione dei redditi del contribuente), in rapporto all’art. 22 del Tuir (scomputo delle ritenute d’acconto subite) ed all’art. 67 del Dpr. n. 600 del 1973, che stabilisce il divieto di doppia imposizione.
Il mancato analitico controllo dell’Amministrazione finanziaria violava infatti, a suo avviso, tale divieto, laddove il mancato riconoscimento delle ritenute operate, ma non certificate, comportava un duplice prelievo, prima in capo al sostituto e poi in capo al sostituito.
In punto istruttorio/documentale, il ricorrente denunciava poi la violazione dell’art. 6, comma 4, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contribuente), statuente il divieto per Amministrazione finanziaria di richiedere documenti già in suo possesso, laddove egli, in sede di chiarimenti, aveva depositato tutte le fatture del periodo di riferimento, i registri degli acquisti e delle spese, nonché dichiarazione giurata sostitutiva di atto notorio, con la quale aveva attestato la fedeltà, buona tenuta e corrispondenza al vero di quei dati contabili.
L’Amministrazione finanziaria, non potendo pretendere dal contribuente, a norma dell’art. 6, cit., documenti ed informazioni già in suo possesso, avrebbe quindi dovuto preliminarmente procedere all’esame dei modelli 770 dei sostituti d’imposta, per verificare se negli stessi risultasse l’indicazione delle ritenute operate, piuttosto che imporgli un onere probatorio documentale molto oneroso, considerato, peraltro, che la certificazione di cui all’art. 4 del Dpr. n. 322 del 1998 non dimostrava il pagamento delle ritenute.
Il contribuente lamentava infine il fatto che la CTR avesse respinto l’appello sulla base della circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 68 del 19 marzo 2009, secondo la quale unico mezzo utile al fine del corretto scomputo per il professionista delle ritenute subite dalla propria dichiarazione Irpef doveva ritenersi l’esibizione all’Amministrazione finanziaria della dichiarazione “cartacea”, sottoscritta dal sostituto d’imposta, di avvenuto pagamento. In tal modo, rilevava il ricorrente, si era data prevalenza ad una circolare piuttosto che alle norme.
Il contribuente ribadiva inoltre che l’art. 22 del Tuir consente comunque lo scomputo delle ritenute operate dal sostituto, a prescindere dal fatto che esse siano state effettivamente versate, laddove la stessa Cassazione ha stabilito come il mancato rilascio dell’attestazione dell’avvenuta ritenuta non possa comportare l’obbligo di pagare nuovamente l’imposta, non essendovi solidarietà del debito.
In un tale contesto, il ricorrente censurava comunque il fatto che, pur avendo egli fornito all’Amministrazione, in sede amministrativa, copiosa documentazione, questa aveva poi inspiegabilmente smarrito detti documenti, decisivi ai fini della causa.
Ritenute a titolo d’acconto e riparto di responsabilità tra sostituto e sostituito: la decisione della Corte di Cassazione
Secondo la Suprema Corte, le censure erano infondate.
Evidenziano i giudici di legittimità che, anche prima che venisse soppresso l’obbligo di allegare alla dichiarazione dei redditi il certificato del sostituto d’imposta attestante le ritenute operate, con risalenti pronunce era stato affermato che l’inosservanza dell’obbligo del sostituto d’imposta di inviare tempestivamente la suddetta certificazione non toglie comunque al contribuente sostituito il diritto di provare la reale entità della base imponibile, evitando la duplicazione di un’imposizione già scontata alla fonte (cfr., Cass., 4/08/1994, n. 7251).
In ogni caso, del resto, rileva la Corte, il sostituito, stante la generale emendabilità della dichiarazione fiscale, può contestare in giudizio il recupero, producendo al giudice tributario la documentazione relativa alle ritenute subite (cfr., Cass., 19/02/2004, n. 3304), anche considerato che il contribuente non può essere assoggettato di nuovo all’imposta solo perché chi ha operato la ritenuta non voglia consegnargli l’attestato da esibire al fisco (cfr., Cass., 3/07/1979, n. 3725).
L’art. 22 del Dpr. n. 917 del 1986, relativo appunto allo scomputo delle ritenute d’acconto, subordina del resto la detrazione dall’imposta delle ritenute alla sola condizione che esse siano state “operate”, sicché assume rilevanza il fatto oggettivo della loro applicazione, che può essere comprovato non solo con la certificazione rilasciata dal sostituto di imposta, ma anche con altri mezzi di prova equipollenti.
E in questo senso, rileva la Cassazione, si è espressa anche l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 68/E del 19 marzo 2009, con la quale ha riconosciuto che, laddove il contribuente non abbia ricevuto, nei termini di legge, dal sostituto d’imposta la certificazione delle ritenute effettivamente subite, questi è comunque legittimato allo scomputo delle stesse, “a condizione che sia in grado di documentare l’effettivo assoggettamento a ritenuta tramite esibizione congiunta della fattura e della relativa documentazione, proveniente dalle banche o altri intermediari finanziari, idonea a comprovare l’importo del compenso netto effettivamente percepito, al netto della ritenuta, così come risulta dalla predetta fattura”.
La norma sul controllo formale delle dichiarazioni, usualmente intesa come fonte del recupero delle ritenute non certificate, deve essere quindi integrata secondo i princìpi generali della prova, potendo gli uffici finanziari (e a fortiori i giudici tributari) apprezzare anche prove diverse dal certificato (cfr., Cass., sez. 5, 7/06/2017, n. 14138).
Venendo al caso in giudizio, pertanto, la Cassazione evidenzia come la Commissione Tributaria Regionale non aveva escluso la possibilità, per il contribuente, di avvalersi di una prova equipollente, al fine di dimostrare le ritenute subite, ma piuttosto, ritenendo di dover verificare la validità ai fini probatori della documentazione che il contribuente asseriva di avere consegnato all’Agenzia delle Entrate, aveva anche ordinato a quest’ultima, nel corso del giudizio, l’esibizione di tale documentazione, rilevando però, all’esito della produzione, che la stessa non era adeguata e sufficiente a comprovare gli importi dei compensi effettivamente percepiti.
Erano, dunque, infondate le censure rivolte alla sentenza impugnata con le quali ci si duoleva che il giudice di appello avesse ritenuto prevalente la circolare n. 68/E sopra richiamata sulle norme di legge, come pure le prospettate violazioni degli artt. 4 del Dpr. n. 322 del 1998, e 36-ter del Dpr. n. 600 del 1973, non essendosi i giudici di appello discostati dai principi già indicati.
Né la sentenza impugnata si poneva in contrasto con la pronuncia a Sezioni Unite n. 10378 del 12 aprile 2019, che ha enunciato il principio secondo cui “nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme, per le quali ha però operato le ritenute d’acconto, il sostituito non è tenuto in solido in sede di riscossione, atteso che la responsabilità solidale prevista dall’art. 35 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 è espressamente condizionata alla circostanza che non siano state effettuate le ritenute”.
Rileva infatti a tal proposito la Corte che le Sezioni Unite, con la sentenza citata, hanno sottolineato come la responsabilità del sostituito per l’obbligazione di versamento dell’acconto d’imposta, in caso di inadempimento del sostituto, è comunque espressamente condizionata alla circostanza che le ritenute non siano state operate.
Il che significa che, sebbene sia esclusa la solidarietà passiva tra sostituto e sostituito per l’obbligazione di versamento dell’acconto d’imposta, tale esclusione opera solo a condizione che le ritenute siano state operate; circostanza questa che i giudici regionali avevano per l’appunto ritenuto, nel caso in esame, non dimostrata.
Quanto, poi, alla dedotta violazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, del divieto di richiedere al contribuente documenti già in suo possesso, la Cassazione osserva che non era stata dimostrata l’avvenuta consegna, da parte del contribuente all’Ufficio finanziario, di tutte le fatture relative al periodo oggetto di contestazione, ritenute dal giudice d’appello necessarie per comprovare gli importi effettivamente percepiti al netto della ritenuta. E pertanto era irrilevante ogni considerazione in merito ad una eventuale inottemperanza dell’Ufficio all’ordine di esibizione impartito dal giudice d’appello.
Neppure, infine, era ravvisabile la violazione del divieto di doppia imposizione, che postula la reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto (cfr., Cass., 25/05/2016, n. 10793), laddove, nel caso di specie, non si chiedeva in realtà al sostituito il pagamento di un’imposta già effettuato dal sostituto, non potendosi quindi ravvisare l’ipotesi di imposta applicata due volte.
Ritenute a titolo d’acconto e riparto di responsabilità tra sostituto e sostituito: osservazioni
Il fatto che il sostituto di imposta sia definito ex art. 64, comma 1, del Dpr. n. 600 del 1973 come colui che, in forza di legge, è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, non toglie che anche il sostituito possa ritenersi obbligato al pagamento dell’imposta se la ritenuta non è stata effettivamente operata (o se questo non sia stato provato).
Sicché, in tali casi, anch’egli è soggetto al potere di accertamento ed a tutti i conseguenti oneri, fermo restando il diritto di regresso verso il sostituto che, dopo aver eseguito la ritenuta, non l’abbia eventualmente versata all’erario, esponendolo così alla azione del fisco.
La figura del sostituto d’imposta corrisponde, in sostanza, ad una espressa disposizione del legislatore, che, in relazione a determinati presupposti di fatto del tributo (quali la tassabilità del reddito da lavoro), eccezionalmente stabilisce che l’obbligo di pagare il tributo stesso nasca da un altro fatto (nella specie, dal rapporto di lavoro), che precede e condiziona il primo, a vantaggio dell’Amministrazione finanziaria.
Il sostituto, quale debitore tassabile in luogo dell’obbligato principale, è dunque tenuto, in luogo di quest’ultimo, ad adempiere a tutti gli obblighi sostanziali propri del soggetto passivo, e a subire le conseguenze dell’attività dell’Amministrazione Finanziaria, che dovrebbero avere ordinariamente come destinatario il debitore principale, se non operasse in via eccezionale la prevista sostituzione.
Pertanto, nella fase accertativa del tributo, laddove la ritenuta sia stata effettuata, viene esclusa la solidarietà tra sostituto e sostituito, questa fase dovendo necessariamente svolgersi nei confronti del sostituto, in capo al quale matura solo successivamente il diritto di rivalsa.
L’affermazione secondo cui il vincolo di solidarietà tra sostituto e sostituito sarebbe desumibile, ex art. 1294 c.c., dall’unicità della prestazione a cui sono tenuti sostituito e sostituto (fino a concorrenza di ritenuta) contrasta dunque con il rilievo che “la ritenuta fiscale d’acconto costituisce l’oggetto di un’obbligazione strumentale ed accessoria rispetto alla eventuale e futura obbligazione d’imposta, di cui agevola la riscossione” (Cass., SS.UU., 5 febbraio 1988, n. 1200), scontrandosi con il fatto che, mentre il sostituto è debitore di un certo valore, calcolato sull’importo erogato in base alle disposizioni di legge, il sostituito è debitore dell’importo risultante dalla dichiarazione dei redditi, che tiene conto della più ampia espressione di capacità contributiva di cui il predetto valore è una parte, nonché di eventuali costi o spese detraibili, e con il fatto che manca, dell’obbligazione solidale, l’effetto liberatorio, sempre connesso all’adempimento di uno dei coobbligati, giacché, se il sostituto versa ritenute non operate, il versamento non libera il sostituito, che non può detrarre dal reddito complessivo ritenute non subite.
Richiamandosi l’art. 22 del Dpr. n. 917/86, peraltro, “la norma, dedicata allo scomputo delle ritenute d’acconto, ne subordina la legittimità alla sola condizione che esse siano state operate” (Cass. n. 14138/2017).
Sul piano sostanziale, quindi, la legittimità della detrazione è subordinata alla sola condizione che esse siano state effettivamente “operate” (art. 22 Dpr. n. 917/1986), laddove il fatto storico (decurtazione del corrispettivo), pur potendo essere provato, tipicamente, mediante la certificazione di chi ha operato la ritenuta, come conferma anche la pronuncia in commento, può essere comunque provato anche con mezzi equivalenti da chi la ritenuta ha subito.
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