Riduzione dei canoni di locazione in cambio di spese di ristrutturazione: una panoramica sul trattamento fiscale da applicare nel caso di immobili non abitativi, partendo dall'Ordinanza della Corte di Cassazione numero 12254/2022.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 12254/2022, ha chiarito un rilevante profilo in tema di trattamento fiscale in caso di riduzione dei canoni di locazione per immobili non abitativi.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale ne aveva rigettato l’appello, nell’ambito di un contenzioso relativo ad un avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva contestato maggiore IRPEF, per l’anno 2008, per omessa dichiarazione di canoni di locazione percepiti.
Riduzione dei canoni di locazione in cambio di spese di ristrutturazione: il caso dell’Ordinanza numero 12254 del 2022
L’Amministrazione finanziaria denunciava la violazione degli artt. 1 e 26 del Dpr. n. 917 del 1986 per avere la Commissione Tributaria Regionale confermato l’illegittimità dell’avviso di accertamento, ritenendo che il canone di locazione, ove non percepito, anche per volontà contrattuale – come era nella specie, essendo stato previsto che il conduttore provvedesse, per il primo anno, alla ristrutturazione dell’immobile locato in luogo della corresponsione del canone - non concorreva a formare il reddito imponibile.
E questo nonostante che, ai sensi dell’art. 26 cit., i redditi fondiari concorrano, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà o altro diritto reale.
In particolare, sosteneva l’Agenzia, i redditi da locazione concorrono a formare il reddito imponibile in capo al locatore indipendentemente dalla percezione del canone, trattandosi, nel caso di accordo di riduzione o posticipazione del canone in considerazione dei lavori di ristrutturazione a farsi sull’immobile locato da parte del conduttore, di una operazione di tipo permutativo, con percezione dunque, da parte del locatore, del canone in natura, in termini di lavori eseguiti.
Secondo la Suprema Corte, la censura era fondata.
Evidenziano i giudici di legittimità che, a norma dell’art. 26, comma 1, del TUIR, i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà o altri diritti reali.
La stessa Cassazione, ricorda la Corte, in materia di IVA, ha già ritenuto che non è consentito al proprietario di un edificio decurtare i relativi canoni di locazione della parte trattenuta dal conduttore a titolo di pagamento dei lavori di ristrutturazione eseguiti sull’immobile, dato che tali lavori vanno a beneficio del proprietario medesimo, risolvendosi quindi in una forma diversa di corresponsione del canone (cfr., Cass. 15808/2006).
Con riferimento poi alle imposte sui redditi, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che il reddito degli immobili locati per fini diversi da quello abitativo - per i quali opera, invece, la deroga introdotta dall’art. 8 della L. n. 431 del 1988 - è individuato in relazione al reddito locativo fin quando risulta in vita un contratto di locazione (cfr., Cass. n. 13232 del 2019, Cass., n. 19240 del 28/09/2016, in relazione ai canoni non percepiti per morosità, costituenti reddito tassabile, fino a che non sia intervenuta la risoluzione del contratto o un provvedimento di convalida dello sfratto).
La Suprema Corte conferma, pertanto, che il criterio di imputazione del reddito di locazione degli immobili ad uso diverso è costituito dalla titolarità del diritto reale, a prescindere dalla sua effettiva percezione (cfr., Cass. n. 28743 del 2021).
A tali principi non si era quindi attenuto il giudice di appello, che, come visto, aveva ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento, non ravvisando in capo al contribuente - locatore di un contratto di locazione immobiliare ad uso commerciale (per attività di ristorazione) - l’obbligo di esporre in dichiarazione, per l’anno 2008, il reddito derivante dai canoni di locazione, in quanto non percepiti, atteso che era stato pattuito il differimento del pagamento degli stessi al secondo anno di locazione, in considerazione dell’impegno da parte del medesimo conduttore ad eseguire, nel corso del primo anno, lavori di ristrutturazione dell’immobile.
A prescindere dallo specifico caso processuale, in termini più generali, si può anche evidenziare quanto segue.
Sostenimento delle spese di ristrutturazione e riduzione dei canoni di locazione: focus sui profili fiscali
Con specifico riferimento ai contratti di locazione, gli articoli 3 e 17 del Dpr. 26 aprile 1986, n. 131 individuano gli eventi successivi alla conclusione del contratto di locazione che devono essere autonomamente assoggettati a registrazione; e cioè: cessioni, risoluzioni e proroghe dell’originario contratto, che devono essere, pertanto, registrati in termine fisso, anche se stipulati verbalmente, o se il relativo contratto venga redatto nella forma della scrittura privata non autenticata.
L’accordo di riduzione del canone inizialmente pattuito, non è riconducibile alle ipotesi, contemplate nei predetti articoli 3 e 17, di cessione, risoluzione e proroga, anche tacita, del contratto, non ravvisandosi, in particolare, nell’accordo di riduzione del canone una ipotesi di risoluzione dell’originario rapporto contrattuale.
Fatta salva l’ipotesi in cui l’accordo di riduzione del canone venga formalizzato nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, non sussiste dunque in capo ai contraenti l’obbligo di comunicare all’Amministrazione finanziaria la modifica contrattuale intervenuta.
Vi è però la facoltà di registrare volontariamente il nuovo accordo, che consente alle parti contraenti di rendere edotta l’Amministrazione finanziaria circa il nuovo accordo intervenuto tra le stesse, rendendolo certo di fronte ai terzi (cfr., Cass., n. 7644 del 09/03/2022).
La registrazione dell’accordo rileva poi anche sotto un altro profilo.
I redditi fondiari concorrono infatti, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili, risultando gli stessi redditi tassati secondo il principio di competenza e non di cassa.
Nel caso in cui, pertanto, il contribuente intenda sottrarsi al principio di tassazione secondo il principio di competenza, lo stesso deve dimostrare l’esistenza di un fatto impeditivo, opponibile all’Amministrazione finanziaria, però, solo se avente data certa (cfr., Cass., n. 37438 del 30/11/2021).
Nell’ambito dei contratti di locazione, la risoluzione (o modifica) del contratto non ha peraltro effetto naturalmente retroattivo, giacché, trattandosi di contratti ad esecuzione continuata o periodica, l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite.
E per tali periodi, pertanto, il canone concorre, a tutti gli effetti, a formare la base imponibile IRPEF (cfr., Cass., Sez. 5, 18/11/2005, n. 24444; Sez. 5, 01/06/2007 n. 12905; Sez. 5, 18/01/2012, n. 651).
Se poi in tale accordo viene prevista una riduzione dei canoni a fronte del sostenimento, da parte del conduttore, delle spese di ristrutturazione, come visto, l’Ufficio può considerare tali importi quali un pagamento in natura da sottoporre a tassazione (cfr., anche Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, n. 551/1/17 del 15.05.2017).
L’Amministrazione però deve in tali casi dare concreta prova sia della riduzione che del computo delle spese così imputate.
Laddove tale prova venga fornita, gli importi devono considerarsi alla stregua di canoni, trattandosi, in sostanza, di un pagamento in natura.
In sostanza, l’accollo delle spese può essere riqualificato a titolo di canone.
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