Lo statuto dei lavoratori cambia con Jobs Act: CGIL pone quesito per referendum su art. 18 e licenziamenti, Avvocatura dello Stato giudica inammissibile. Ecco le ultime novità.
Il quesito è stato proposto da una delle sigle più influenti tra i sindacati ed ha visto la richiesta di abrogazione alle modifiche apportate dal Jobs Act allo statuto dei lavoratori: moltissime sono le critiche da parte del governo, nettamente convinto che il sindacato stia tentando un referendum manipolativo.
L’art. 18 è stato oggetto di modifiche nelle passate legislature, oggi la CGIL prova a fare marcia indietro e ridiscutere la prassi dei licenziamenti.
Lo statuto dei lavoratori ha di fatto diminuito il proprio peso, liberandosi di quei diritti sul reintegro per licenziamenti senza giusta causa: con esso anche l’influenza politica delle associazioni sindacali come la CGIL ha cominciato a ridimensionarsi.
I licenziamenti che la Legge 300/1970 tutelava riguardavano anche casi di discriminazione, o mancata comunicazione del motivo dell’espulsione, prevedendo il reintegro del lavoratore oppure un’indennità in sostituzione dell’impiego. Questa opportunità, tuttavia, non è più parte della normativa sul lavoro e gli effetti sul mondo del lavoro sono evidenti. Vediamo cosa è cambiato nell’attuale normativa.
Cosa cambia nello statuto dei lavoratori: licenziamenti e referendum art. 18
Lo statuto dei lavoratori aveva il compito di difendere i dipendenti dalle azioni scorrette dei datori di lavoro: atti che spesso trascendevano in reati veri e propri. Tra le politiche introdotte e molto discusse del Jobs Act, ad esempio, vi è la possibilità di aprire la posta dei dipendenti e leggerne il contenuto, oppure tracciarne i movimenti sui motori di ricerca, in internet. In poche parole ciò che precedentemente era una vessazione implicita, o come in questo caso un vero e proprio reato, si è trasformato in una prassi abituale e perfettamente legale.
Oltre ai licenziamenti, tra le altre abrogazioni, vi è la possibilità di subire il demansionamento, malgrado fosse espressamente vietato dalla legge. In poco tempo è divenuto prassi comune e spesso ottenuto tramite coercizione.
Lo statuto dei lavoratori prevede che un’azienda non possa destinare ad una mansione inferiore un dipendente operante un compito più avanzato.
Effettivamente questo divieto è mantenuto alla lettera, eppure questa pratica diviene lecita se raggiunta tramite accordo tra l’imprenditore e il lavoratore: facile immaginare come un accordo possa diventare un ricatto, poiché a pena di licenziamento il datore di lavoro può costringere un dipendente ad accettare il demansionamento - e sarebbe un accordo.
Referendum art. 18 e Avvocatura dello Stato: inammissibilità
Il quesito sull’art. 18 proposto dalla CGIL è stato giudicato inammissibile dall’Avvocatura dello Stato: le motivazioni sarebbero circa il carattere propositivo e manipolatorio dell’iniziativa. Tuttavia, questa non è l’unica memoria depositata dall’organo: ve ne sarebbe una seconda sulla validità e necessità dei voucher, dichiarati una seconda vita per il lavoro nero dalla sigla sindacale, nonché alcune disposizioni sulle responsabilità negli appalti in caso di violazioni dei diritti dei lavoratori.
A questo punto non resta che attendere il giudizio della Corte Costituzionale la prossima settimana.
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