In tema di cessione di partecipazioni, le operazioni di cessione relative ad azioni o partecipazioni in una società non rientrano nella sfera di applicazione dell'Iva, salvo casi caratterizzati da particolari condizioni.
La Corte di Cassazione, con la Sentenza numero 5156/2021, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di rilevanza ai fini del pro rata Iva delle cessioni di azioni o partecipazioni.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato ad una società operante nell’attività di commercio di articoli di abbigliamento e sportivi, un avviso di accertamento con il quale aveva accertato, relativamente all’anno di imposta 2004, una indebita detrazione dell’Iva, avendo la società detratto l’intero ammontare dell’Iva sugli acquisti senza calcolare il pro rata per la cessione di partecipazioni in altra società, dalla stessa fatturata in esenzione.
Avverso tale atto impositivo la società contribuente aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, che lo aveva rigettato con sentenza poi confermata anche dalla Commissione Tributaria Regionale, la quale aveva in particolare ritenuto che l’assunzione e la cessione delle partecipazioni detenute risultava, nella specie, diretta a realizzare l’oggetto sociale, come emergeva anche dalle previsioni statutarie e non poteva dirsi estranea all’attività di impresa esercitata in quanto alla stessa funzionale.
L’operazione di cessione della partecipazione azionaria, secondo la CTR, costituiva dunque un prolungamento diretto permanente e necessario dell’attività imponibile per affermazione della stessa società contribuente, la quale l’aveva motivato nel senso di una finalità industriale della gestione delle partecipazioni in società che operavano nell’ambito della produzione e del commercio di prodotti sportivi.
Le suddette operazioni finanziarie non potevano, quindi, essere qualificate come accessorie o occasionali.
Avverso tale pronuncia la società contribuente proponeva infine ricorso per cassazione, censurando la sentenza per violazione dell’art. 19-bis, Dpr. n. 633/1972, per non avere la CTR esaminato tutte le questioni sollevate con l’atto di appello e dirette ad evidenziare che la società, a prescindere dalla previsione statutaria, non aveva mai effettuato, né prima né dopo la cessione, altre alienazioni di partecipazioni, sicché l’operazione in esame aveva natura occasionale.
In particolare, si evidenziava poi che il giudice di appello aveva erroneamente assimilato l’assunzione di partecipazioni sociali con la loro cessione, nonostante il fatto che tale ultima attività non rientrasse nell’oggetto sociale della società e, inoltre, che, ai fini dell’applicazione dell’art. 19-bis cit., non assumeva comunque rilievo il dato formale dell’attività indicata nello statuto come oggetto sociale, ma semmai quello sostanziale, dovendosi quindi fare riferimento all’attività concretamente svolta.
- Corte di Cassazione - Sentenza numero 5156 del 25 febbraio 2021
- Il testo integrale della sentenza della Corte di Cassazione numero 5156 del 25 febbraio 2021.
La rilevanza i fini del pro rata iva della cessione di azioni o partecipazioni: la decisione della Corte di Cassazione
Secondo la Suprema Corte la censura era fondata. Evidenziano i giudici di legittimità che il giudice di secondo grado, al fine di valutare se l’attività di cessione delle partecipazioni azionarie costituisse prestazione occasionale o meno, aveva in effetti argomentato facendo specifico riferimento alla riconducibilità sia dell’attività di assunzione che di cessione a quanto risultante dalle previsioni statutarie.
Da tale considerazione di fondo lo stesso giudice aveva quindi fatto discendere che la cessione della partecipazione azionaria costituiva una modalità, diretta e necessaria, di realizzazione dell’attività di impresa svolta.
In sintesi, la pronuncia aveva valutato la questione della riconducibilità della cessione della partecipazione sociale alla luce del contenuto dell’oggetto sociale e ne aveva pertanto fatto conseguire la considerazione che tale operazione costituisse il prolungamento diretto, permanente e necessario dell’attività esercitata.
Tanto premesso, la Cassazione osserva però che, con riferimento all’affermazione secondo cui era in relazione all’oggetto sociale che doveva valutarsi la riconducibilità dell’operazione all’attività di impresa, la Suprema Corte (Cass. civ., 13 febbraio 2017, n. 7654) ha già ribadito il principio, (cfr., anche Cass. 9 marzo 2016, n. 4613; 14 marzo 2014, n. 5970; 13 novembre 2013, n. 25475) secondo cui, per verificare se una determinata operazione attiva rientri o meno nell’attività propria di una società, ai fini dell’inclusione nel calcolo della percentuale detraibile in relazione al compimento di operazioni esenti, occorre avere riguardo non già all’attività previamente definita dall’atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svolta dall’impresa, in quanto, ai fini dell’imposta, rileva il volume d’affari del contribuente, costituito appunto dall’ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi compiute, e, quindi, l’attività in concreto esercitata.
Pertanto, nella specie, il giudice di appello, al fine di valutare la riconducibilità dell’operazione nell’ambito dell’attività di impresa della società, aveva errato nel ritenere di poter fare esclusivo riferimento all’oggetto sociale, dovendo invece egli piuttosto indagare quale fosse l’attività dalla stessa società concretamente esercitata.
Rileva poi la Corte di Cassazione che, con specifico riferimento alla questione se la cessione di partecipazione azionaria possa essere considerata o meno fuori campo Iva, la Corte di giustizia (causa C-502/2017, C&D Foods acquisition ApS) ha precisato che, ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 2006/112, una società il cui unico oggetto consista nell’acquisizione di partecipazioni in altre società senza interferire direttamente o indirettamente nella gestione di queste ultime non ha la qualità di soggetto passivo Iva, né il diritto a detrazione (in base all’articolo 168 della stessa direttiva).
Infatti, rilevano i giudici comunitari, il mero acquisto e la mera detenzione di azioni non costituiscono, di per sé, un’attività economica che conferisce al soggetto che le abbia effettuate la qualità di soggetto passivo, dato che tali operazioni non comportano lo sfruttamento di un bene volto alla produzione di introiti aventi carattere di stabilità, dal momento che l’unico reddito risultante da dette operazioni è costituito dall’eventuale profitto al momento della vendita delle azioni di cui trattasi (v., in tal senso, sentenze del 29 ottobre 2009, SKF, C-29/08, punto 28 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 17 ottobre 2018, Ryanair, C-249/17, punto 16).
La stessa Corte comunitaria, evidenzia ancora la Cassazione, ha peraltro affermato che solo i versamenti che costituiscono il corrispettivo di un’operazione o di un’attività economica sono inclusi nell’ambito di applicazione dell’IVA, il che non vale però per i versamenti risultanti dalla semplice proprietà di un bene, come i dividendi o altri profitti derivanti dalle azioni (sentenza del 29 ottobre 2009, SKF, C-29/08, punto 29 e giurisprudenza ivi citata), tranne che la partecipazione finanziaria in un’altra società sia accompagnata da un’interferenza diretta o indiretta nella gestione della società in cui si è realizzata l’acquisizione di partecipazioni, laddove tale interferenza implichi il compimento di operazioni soggette all’IVA ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2006/112, quali, per esempio, la prestazione di servizi amministrativi, contabili e informatici (v., in tal senso, sentenza del 29 ottobre 2009, SKF, C-29/08, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).
In sostanza, in base alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, le operazioni relative ad azioni o partecipazioni in una società rientrano nella sfera di applicazione dell’Iva solo quando vengono effettuate nell’ambito di un’attività commerciale di negoziazione di titoli, al fine di realizzare un’interferenza diretta o indiretta nella gestione delle società in cui si è realizzata l’acquisizione di partecipazioni, o quando costituiscono comunque il prolungamento diretto, permanente e necessario dell’attività imponibile (sentenza del 29 ottobre 2009, SKF, C-29/08, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).
Solo entro certi limiti l’attività di acquisizione di partecipazioni azionarie può dunque costituire un’attività economica rilevante ai fini Iva.
Applicando tali principi alla controversia in esame, la Corte di Cassazione evidenzia allora che la CTR aveva errato a valutare l’attività della società unicamente sulla base dell’esame dell’oggetto sociale, senza verificare, in concreto, indicando gli elementi specifici di valutazione da cui trarre le ragioni di convincimento, se l’operazione di acquisizione della partecipazione azionaria fosse stata effettuata al fine di realizzare un’interferenza diretta o indiretta nella gestione delle società di cui si era realizzata l’acquisizione di partecipazioni, o se costituiva comunque il prolungamento diretto, permanente e necessario, dell’attività imponibile.
Cessione di azioni o partecipazioni e la rilevanza ai fini del pro rata Iva: osservazioni
In conclusione e a prescindere dallo specifico caso processuale, giova evidenziare quanto segue.
In materia di detrazione dell’Iva, vige la regola generale per cui i soggetti passivi hanno la possibilità di detrarre l’imposta che ha gravato l’acquisto o la fornitura dei soli beni o di servizi destinati ad essere utilizzati in via esclusiva per la realizzazione delle operazioni soggette ad imposta (art. 17, secondo paragrafo, della sesta direttiva).
E, sempre sul piano generale, in caso di compimento sia di operazioni che conferiscono il diritto di detrazione, sia di operazioni che non lo conferiscono, il calcolo del pro rata di detraibilità, che individua la percentuale di detraibilità dell’Iva sugli acquisti e che risulta dalla frazione avente al numeratore l’ammontare delle operazioni che conferiscono il diritto di detrazione ed al denominatore il medesimo ammontare aumentato di quello corrispondente a quelle che tale diritto non conferiscono, si riferisce soltanto ai beni ed ai servizi utilizzati da un soggetto passivo per eseguire nel contempo operazioni che danno diritto a detrazione e operazioni che non conferiscono tale diritto.
Ciò in quanto se tutti i risultati delle operazioni del soggetto passivo aventi un nesso con un’attività imponibile dovessero essere comunque inclusi nel denominatore della frazione che serve a calcolare il pro rata della detrazione, anche qualora l’ottenimento di tali risultati non implichi l’impiego di beni o di servizi soggetti all’Iva o, almeno, ne implichi solo un impiego limitatissimo, il calcolo della detraibilità sarebbe inevitabilmente falsato.
Il legislatore italiano ha del resto anche fruito della facoltà, riconosciuta agli Stati membri dall’art. 17, paragrafo quinto, 3° co., della sesta direttiva, di ricorrere a metodi di determinazione del diritto di detrazione specifici, di carattere derogatorio e, in particolare, ha adottato quello enunciatovi al punto d), in virtù del quale uno Stato membro può autorizzare od obbligare un soggetto passivo ad operare la detrazione relativamente a tutti i beni e i servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate, ossia in base ad un metodo fondato sulla cifra di affari.
E difatti i commi 4° e 5° dell’art. 19 del Dpr. n. 633/72, nel testo applicabile all’epoca dei fatti, stabilivano che
“se il contribuente ha effettuato anche operazioni esenti ai sensi dell’articolo 10 la detrazione è ridotta della percentuale corrispondente al rapporto tra l’ammontare delle operazioni esenti effettuate nell’anno e il volume di affari dell’anno stesso, arrotondata all’unità superiore o inferiore a seconda che la parte decimale superi o meno i cinque decimi” (4° comma)
e che
“per il calcolo della percentuale di riduzione l’ammontare delle operazioni esenti è determinato senza tenere conto di quelle indicate ai numeri 6), 10) e 11) dell’art. 10 e non si tiene conto nemmeno nel volume di affari, quando non formano oggetto dell’attività propria dell’impresa o sono accessorie ad operazioni imponibili, delle altre operazioni esenti indicate ai numeri da 1) a 9) del detto articolo” (5° comma)
In sostanza, l’esercizio del diritto di detrazione costituisce l’elemento attraverso il quale si concretizza il principio di neutralità dell’Iva.
Il diritto di detrazione è disciplinato poi dall’art. 19 del Dpr. 633/72, in base al quale, ai fini della detrazione, l’acquisto deve essere non solo inerente all’esercizio dell’impresa, arte o professione, ma anche collegato a determinate operazioni (imponibili o assimilate).
Nel caso in cui tuttavia il contribuente svolga sia attività che danno luogo ad operazioni soggette ad imposta, sia attività che danno luogo ad operazioni esenti, l’imposta detraibile va calcolata in base ad una percentuale (pro rata), determinata con i criteri di cui all’art. 19 bis del Dpr. 633/72.
L’IVA è infatti un’imposta che deve conservare il suo carattere di neutralità. Neutralità che trova limiti nel meccanismo del “pro rata”, per il quale i soggetti che svolgono anche operazioni esenti da IVA non possono fruire della totale detraibilità dell’IVA sugli acquisti di beni e servizi dall’IVA applicata sulle vendite, ma devono determinare la quota di imposta detraibile, ex art. 19 bis, co. l, Dpr. 633/72, “in base al rapporto tra le operazioni che danno il diritto a detrazione, effettuate nell’anno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nell’’anno medesimo”.
E, per verificare se una determinata operazione attiva rientri o meno nell’attività propria di una società, ai fini dell’inclusione nel calcolo della percentuale detraibile in relazione al compimento di operazioni esenti, come visto, occorre avere riguardo non già all’attività previamente definita dall’atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svolta dall’impresa.
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