Con l’Ordinanza n. 21517/2023, la Corte di Cassazione ha trattato il tema dell'accertamento anticipato rispetto al diritto ai 60 giorni del contribuente per il contraddittorio
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 21517 del 2023, si è espressa in tema di accertamento anticipato rispetto al diritto ai 60 giorni per il contraddittorio.
Nel caso di specie, la Guardia di Finanza aveva analizzato le movimentazioni bancarie di una società, da cui erano emerse operazioni non adeguatamente giustificate, sia in entrata sia in uscita, in relazione ad una pluralità di anni d’imposta.
La verifica si concludeva con la consegna alla contribuente di processo verbale di costatazione.
Presupposti per procedere ad accertamento anticipato: il caso di specie
Sul fondamento del detto PVC, l’Agenzia delle Entrate notificava alla società più avvisi di accertamento, aventi ad oggetto Ires, Iva ed Irap.
La contribuente proponeva quindi impugnazione avverso gli atti impositivi, proponendo varie censure, tra cui anche l’illegittimità degli avvisi perché notificati meno di sessanta giorni dopo la consegna del PVC.
La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva i ricorsi ed annullava gli atti impositivi.
L’Amministrazione finanziaria proponeva quindi appello, sostenendo la sussistenza di ragioni di urgenza che avrebbero giustificato il mancato riconoscimento alla contribuente del termine di sessanta giorni tra la notificazione del PVC e quella dell’atto impositivo, di cui alla L. 212/2000, art.12, comma 7 (Statuto del contribuente).
La Commissione Tributaria Regionale rigettava l’appello e l’Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione, contestando la violazione della L. 212/2000, art. 12, comma 7, in cui, a suo avviso, era incorso il giudice di secondo grado laddove aveva erroneamente annullato l’avviso di accertamento sebbene la Guardia di Finanza avesse comunque già concesso alla società, durante le attività istruttorie, ampio termine per dedurre, e nonostante che avesse comunque redatto il PVC al solo scopo di esporre le risultanze delle indagini finanziarie.
Sebbene la GdF avesse qualificato le attività di controllo a carico della società come “verifica”, l’accesso nei locali della società era dunque avvenuto unicamente al fine di notificare gli esiti delle indagini finanziarie.
L’Amministrazione ricorrente censurava poi la sentenza per avere il giudice dell’appello annullato l’atto impositivo sulla base di una pretesa violazione formale della disciplina del contraddittorio preventivo, in un’ipotesi in cui però la finalità tutelata dalla norma era stata già ampiamente soddisfatta nel corso della previa verifica fiscale.
In sostanza, secondo l’Amministrazione finanziaria, il principio del contraddittorio non era stato nella specie violato, essendo stata la contribuente comunque posta in condizione di presentare proprie osservazioni, ed essendo queste anche state prese in considerazione, come emergeva dallo stesso PVC.
Con un terzo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduceva nuovamente la violazione dell’art. 12 citato, per non avere la CTR rilevato che per i tributi non armonizzati l’inosservanza del termine dilatorio può comportare la sanzione demolitoria della nullità solo se, sulla base delle allegazioni del contribuente, venga dimostrato che, nel caso in cui il contraddittorio fosse stato rispettato, il procedimento avrebbe potuto avere un esito diverso e restando comunque onere del contribuente dimostrare che l’avvenuta violazione del diritto al contraddittorio abbia arrecato danno al suo diritto di difesa.
Infine, la ricorrente deduceva che, in ogni caso, sussistevano nella specie plurime e specifiche ragioni di urgenza che giustificavano l’accelerazione della procedura di riscossione, quali: il fumus d’evasione sotteso alle indagini bancarie, unitamente all’ammontare elevato dei recuperi stessi; la circostanza in base alla quale la società era già stata destinataria di due avvisi di accertamento per le annualità precedenti; il fatto che il soggetto era in liquidazione ed aveva trasferito la propria residenza senza alcuna giustificazione economica.
L’opinione della Corte di Cassazione
Tanto premesso, la Suprema Corte rileva che la norma in questione dispone che:
“Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”
Laddove le Sezioni Unite hanno già chiarito che (Cass., SU, n. 18184/2013, e in senso conforme Cass., n. 27623/2018, Cass., n. 15843/2020, Cass., n. 23223/2022):
“In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento - termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni - determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio.”
Rileva dunque la Cassazione che, dovendo assicurarsi piena tutela ai valori costituzionali ricordati, il mancato rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni, qualora l’Amministrazione finanziaria non provi la ricorrenza di ragioni d’urgenza, importa la nullità dell’atto impositivo indipendentemente dalla natura del tributo accertato, sia esso armonizzato o non armonizzato, essendo comunque un’ipotesi in cui l’obbligo del rispetto del termine dilatorio è previsto testualmente dalla legge.
La garanzia di tutela del contribuente assicurata mediante il termine dilatorio in questione non ammette del resto equipollenti, non potendo essere sostituita da un contraddittorio più o meno lungo ed intenso svoltosi tra le parti. Il termine infatti rimane indifferente alle vicende che si sono compiute nelle fasi preliminari alla notifica dell’avviso.
Quanto alla tesi sostenuta dall’Agenzia, secondo cui, nella specie, il termine non doveva essere rispettato in quanto non si era verificato un vero e proprio accesso, la Cassazione ricorda di avere già assunto un orientamento ormai consolidato circa l’interpretazione di che cosa debba intendersi per “accessi, ispezioni e verifiche”, essendo riferito il detto termine a (Cass., n. 1497/2020 e in senso conforme Cass., n. 15010/2014):
“tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzato a garantire il contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio e descrittivo.”
Infine, secondo la Corte, neppure ricorrevano specifiche ragioni d’urgenza, che avrebbero giustificato il mancato rispetto del termine dilatorio previsto dalla legge.
Infatti, l’affermazione dell’Ufficio secondo cui le ragioni d’urgenza sarebbero state da ricercarsi nel fatto che l’Ufficio doveva presentare la richiesta di misure cautelari doveva ritenersi del tutto infondata, posto che le misure cautelari possono essere richieste anche sulla base del processo verbale.
Irrilevante era anche l’esigenza “di quantificare l’ammontare dei recuperi”, valendo questo in relazione a qualsiasi accertamento tributario, nonché quella di “accelerare la procedura di riscossione”, senza che venisse però chiarito quali fossero le ragioni di tale necessaria accelerazione.
Anche quanto al riferimento al “fumus di evasione sotteso alle indagini bancarie”, si trattava di una considerazione molto generica, così come non si comprendeva per quale ragione avrebbe dovuto integrare gli elementi d’urgenza il fatto che fossero stati emessi a carico del contribuente ulteriori avvisi di accertamento, per anni diversi, e che avesse trasferito la propria sede.
Si trattava quindi di argomenti che, affinché potessero essere presi in considerazione, l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto esporre con maggiore ampiezza, specificità e chiarezza, ed eventualmente anche documentare.
Tanto premesso in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali giova anche evidenziare quanto segue.
L’eventuale invalidità dell’atto impositivo adottato in violazione dello Statuto del contribuente è affidata alla verifica della funzione insita nella normativa di cooperazione tra amministrazione e contribuente, della rilevanza dell’interesse protetto e della gravità del pregiudizio arrecato dalla condotta difforme dal modello legale.
In caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, sia per i tributi non armonizzati che per quelli armonizzati, attraverso la comminatoria di nullità dell’atto impositivo nel caso di violazione del termine dilatorio di 60 giorni, è già stata operata dal legislatore una valutazione ex ante in merito all’obbligo di rispetto del contraddittorio.
Nel quadro offerto dal diritto unionale, peraltro, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE) tutela espressamente il diritto al contraddittorio nel modo più ampio.
Infatti, l’art. 41 CDFUE, rubricato “diritto ad una buona amministrazione”, consacra “il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio.”
In tal senso la Corte di Giustizia ha poi affermato che (v., in particolare, sentenze citate Commissione/Lisrestal e a., punto 21, e Mediocurso/Commissione, punto 36):
“(...) i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. A tal fine essi devono beneficiare di un termine sufficiente.”
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