Con la sentenza numero 2916 del 2024, la Corte di Cassazione si è espressa in tema di effetti del pagamento del debito tributario nell'ambito del giudizio penale relativo ai corrispondenti reati
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2916 del 2024, ha chiarito le regole generali in tema di effetti, nell’ambito del giudizio penale relativo ai corrispondenti reati, del pagamento, in sede amministrativa, del debito tributario.
Nel caso di specie, il GIP del Tribunale aveva applicato all’imputato, ex art. 444, c.p.p. (patteggiamento), la pena di un anno e gg. 13 di reclusione, con il concorso di attenuanti generiche, ridotta per il rito richiesto, per i reati di omessa dichiarazione (art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000) contestati in relazione alle annualità di imposta 2017, 2018 e 2020; pena poi sostituita ex art. 20-bis, cod. pen. con il lavoro di pubblica utilità per pari durata.
Pagamento del debito tributario ed effetti nel giudizio penale: il caso di specie
Avverso tale pronuncia il Procuratore generale presso la Corte d’appello proponeva ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 e rilevando che l’applicazione della pena per i delitti contestati, a norma della disposizione richiamata, era consentita solo ove ricorresse l’intervenuta estinzione dei debiti tributari mediante integrale pagamento degli importi dovuti prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, fatte salve le ipotesi di cui all’art. 13, commi 1 e 2, del medesimo d.lgs. n. 74 del 2000.
Nella specie, rilevava il PG, dagli atti non risultava invece che tale condizione fosse stata soddisfatta, non essendo stato documentato alcun pagamento degli importi dovuti da parte del contribuente/imputato, con conseguente preclusione dell’accesso al rito richiesto.
Secondo la Suprema Corte, la censura era fondata.
Evidenziano i giudici di legittimità che, ai sensi dell’art. 13, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, la causa di non punibilità per i reati di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5 del medesimo decreto si verifica solo quando i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, e sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.
Se tale causa di non punibilità non si verifica, ai sensi del comma 1 dell’art. 13-bis d.lgs. n. 74 del 2000, le pene per tali delitti sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12; sempre che, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.
Ai sensi del comma 2 del citato art. 13 bis, poi, per il delitto ex art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, ove non si verifichi la causa di non punibilità ex art. 13, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, l’accesso all’applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc. pen. è possibile “solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1”, cioè quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, oppure se l’imputato abbia avuto accesso al ravvedimento operoso, ma dopo che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.
Di conseguenza, si è affermato il principio per cui, in tema di reati tributari, la preclusione al patteggiamento posta dall’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 per il caso di mancata estinzione del debito tributario prima dell’apertura del dibattimento opera solo con riguardo ai più gravi reati dichiarativi di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5, richiamati dall’art. 13, comma 2, dello stesso decreto, dal momento che, in tali ipotesi, l’integrale pagamento del debito effettuato prima del predetto termine, ma dopo la formale conoscenza, da parte dell’autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, vale solo a ridurre il disvalore penale del fatto e non esclude la punibilità, mentre tale limite non opera per i reati di omesso versamento di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, richiamati dall’art. 13, comma 1, d.lgs. citato, per i quali l’estinzione del debito determina la non punibilità e, quindi, non può valere quale condizione per accedere al patteggiamento (fr., cCass., Sez. 3, n. 9083 del 12/01/2021).
Venendo alla fattispecie in esame, relativa al reato ex art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, come visto, il pagamento del debito tributario non risultava dalla sentenza, dagli atti e neanche dalla memoria difensiva, sicché l’accesso al rito era precluso.
In definitiva, conclude la Suprema Corte, risultava illegale la pena determinata attraverso una riduzione per il patteggiamento, non consentita per la mancanza dei presupposti richiesti dalla legge per l’accesso al rito speciale (cfr., Cass., Sez. 3, n. 552 del 2020).
Pagamento del debito tributario ed effetti nel giudizio penale: il parere della Cassazione
A prescindere dallo specifico caso processuale e cercando di mettere a sistema il rapporto tra pagamento e giudizio penale, si può anche evidenziare quanto segue.
Nell’ambito del processo penale per delitti tributari puniti dal d.lgs. n.74/2000 sussistono alcune cause di non punibilità ed attenuanti che mirano a contemperare le esigenze di “punizione” del fatto di reato con quelle della definizione, in sede amministrativa, delle pendenze fiscali, anche mediante il ricorso agli istituti deflativi del contenzioso tributario.
In particolare, come visto, ex art. 13, primo comma, d.lgs. n.74/2000:
1. “I reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso”.
Il primo comma dell’art. 13 d.lgs. n.74/2000 prevede, pertanto, la non punibilità dei reati di omesso versamento delle ritenute certificate, di omesso versamento di Iva e di indebita compensazione (limitatamente all’ipotesi di cui al comma 1, articolo 10-quater), qualora i debiti tributari, comprensivi di sanzioni e interessi, siano stati totalmente pagati prima dell’apertura del dibattimento penale.
L’art.13, ultimo comma, d.lgs. n.74/2000 consente inoltre all’imputato di chiedere due proroghe, ciascuna di tre mesi, previste dalla norma al fine di riuscire a completare il piano di pagamento rateale ed accedere così alla causa di non punibilità.
In base al comma due del medesimo articolo, poi:
2. “I reati di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempre che il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali”.
Il secondo comma dell’art. 13 d.lgs. n.74/2000, pur prevedendo una causa di non punibilità per i reati cosiddetti dichiarativi, introduce dunque la già detta limitazione secondo la quale il contribuente può accedere all’istituto solo se non abbia già avuto conoscenza dell’azione amministrativa o processuale penale.
L’art. 13 bis, comma 1, d.lgs. n.74/2000 prevede invece una circostanza attenuante, per cui:
1. “Fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie”.
L’art.13 bis d.lgs. n.74/2000 si riferisce dunque ai delitti diversi da quelli previsti e puniti dagli artt. articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, contemplati nel precedente art. 13, in quanto, come visto, per questi reati, il pagamento integrale di quanto dovuto consente di accedere alla più favorevole disciplina della non punibilità.
Si rileva infine che l’art. 23 del d.l. 30 marzo 2023, n. 34, conv. con la legge 26 maggio 2023, n. 56, ha introdotto anche una nuova causa di non punibilità “speciale”, che, pur applicandosi ai delitti di “omesso versamento di ritenute” (articolo 10-bis), “omesso versamento di Iva” (articolo 10-ter) e “indebita compensazione” con utilizzo di crediti non spettanti (articolo 10-quater, comma 1), già contemplati dal primo comma dell’art. 13 d.lgs. n.74/2000, prevede, espressamente, quale presupposto per la sua applicabilità, che le relative violazioni siano correttamente definite e le somme dovute versate integralmente dal contribuente secondo le modalità e nei termini previsti dall’articolo 1, commi da 153 a 158 e da 166 a 252, della legge 197/2022 (cosiddetti provvedimenti della tregua fiscale), purché le relative procedure siano definite prima della pronuncia della sentenza di appello.
In definitiva, il detto coacervo normativo correla il pagamento del debito tributario ad un effetto premiale sul piano penale.
Come dimostrato anche dal fatto che il D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, poi convertito nella L. 19 dicembre 2019, n. 157, ha poi ampliato la causa di non punibilità derivante dal pagamento del debito tributario prevista per i delitti di cui agli artt. 4 e 5 del D.Lgs n. 74/2000 anche al delitto di “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” ex art. 2, nonché a quello di “dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici” di cui all’art. 3 del citato D.Lgs n. 74/2000.
Sul lato operativo si evidenzia infine che, affinché il debito tributario sia considerato integralmente estinto, non è sufficiente l’esistenza di un piano di rateizzazione, né il semplice accordo tra contribuente e Amministrazione Finanziaria, essendo invece necessario l’effettivo versamento di quanto dovuto (cfr., Cass., penale, sez. III, 13 luglio 2018, n. 48375).
Quanto al pagamento, lo stesso non può avvenire attraverso una semplice compensazione con un credito di imposta, laddove la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “la sopravvenuta posizione creditoria verso l’erario, che comporta una possibile compensazione legale, non consente di fruire della causa di non punibilità per estinzione del debito tributario, in quanto la normativa penale fa riferimento al pagamento del debito” (cfr., Cass., penale sez. III, 29 gennaio 2020, n.17806).
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Pagamento del debito tributario ed effetti nel giudizio penale