La legge preclude al cessionario/committente la possibilità di rettificare autonomamente la fattura emessa dal cedente/prestatore per documentare un'operazione, anche nel caso in cui risulti oggetto di insoluto. Lo ha chiarito l'Agenzia delle Entrate nella risposta all'interpello del 2 febbraio
Solo il cedente del bene o il prestatore del servizio può emettere una nota di variazione della fattura in diminuzione. Tale facoltà non può essere esercitata dal cessionario/committente.
Questo anche se l’operazione è oggetto di un insoluto di una qualunque delle parti.
Il chiarimento deriva dalla risposta dell’Agenzia delle Entrate all’interpello n. 29, pubblicata il 2 febbraio 2024.
Se il cessionario dimostra di aver versato un’imposta non dovuta ha comunque la possibilità di ottenerne il rimborso.
Fatturazione: il committente non può emettere note di variazione al documento rilasciato dal prestatore
L’Agenzia delle Entrate con la risposta all’interpello n. 29, pubblicata il 2 febbraio 2024, fornisce alcuni chiarimenti in materia di fatturazione.
Nello specifico, sottolinea come il cessionario/committente non possa rettificare autonomamente la fattura emessa dal cedente/prestatore per documentare un’operazione, anche laddove la stessa risulti oggetto di insoluto di una qualunque delle parti.
La questione deriva dalla richiesta di chiarimento avanzata da una società, interessata a sapere se la procedura che consiste nella possibilità di emissione di una nota di variazione possa essere approcciata, fatti i debiti cambiamenti, anche al caso in cui una fattura “negativa” è stata ricevuta dal committente e, pertanto, lo stesso dovrebbe emettere una nota di variazione “negativa” per poter stornare la posizione IVA della fattura negativa ricevuta.
L’Agenzia ricorda quanto previsto dall’articolo 26 del decreto IVA (DPR n. 633/1972), il quale configura l’emissione di una nota per variare in diminuzione l’imponibile e/o l’imposta di un’operazione fatturata come una mera possibilità, rimessa al solo cedente/prestatore.
Come indicato al comma 2, infatti:
“Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25.”
Come indicato poi al successivo comma 3-bis, tale disposizione si applica anche in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente, a partire dalla data:
- in cui quest’ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale;
- del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis del regio decreto n. 267/1942;
- di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto n. 267/1942.
Il cessionario che dimostra di aver versato un’imposta non dovuta può ottenere il rimborso
Alla luce della normativa esposta, l’Agenzia delle Entrate sottolinea come il cessionario/committente non abbia la possibilità di modificare in modo autonomo la fattura emessa dal cedente/prestatore per documentare un’operazione.
Questo anche nel caso in cui la fattura dovesse risultare oggetto di insoluto di una qualunque delle parti.
La risposta al quesito posto dall’impresa è dunque negativa. L’Agenzia evidenzia, però, che il cessionario di un’operazione, che dimostri di aver versato un’imposta non dovuta in riferimento alla stessa, ha comunque la possibilità di ottenerne il rimborso.
Come previsto dall’articolo 30-ter del decreto IVA:
“1. Il soggetto passivo presenta la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione. [...].”
In questo caso, dunque, si considera termine iniziale di decorrenza per la relativa richiesta la chiusura della procedura concorsuale che ha colpito il cedente/prestatore (limitatamente all’imposta non recuperata nel corso della stessa).
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