Il lavoro di piattaforma, sempre più diffuso, nel futuro cambierà anche le dinamiche lavorative tradizionali, ma nel presente restano rischi e opportunità da studiare e gestire: intervista a Ivana Pais, professoressa di sociologia economica all'Università Cattolica del Sacro Cuore
Buona parte delle nostre azioni di vita quotidiana si trasformano in flussi di dati, rispondono e alimentano logiche algoritmiche, più o meno note. È la platform society, bellezza. Si potrebbe, dire, parafrasando le parole pronunciate da Humphrey Bogart nel film L’ultima Minaccia. E il Lavoro non fa eccezione.
Che cosa succede quando domanda e offerta si incontrano su un territorio virtuale di cui si conoscono le dinamiche, solo in superficie? Quando i contesti, della vita pubblica e professionale, collassano? Quando le opportunità si moltiplicano in maniera esponenziale? Ma anche l’esposizione della persona?
Ne abbiamo parlato con Ivana Pais, professoressa di Sociologia Economica all’Università Cattolica esperta in materia e impegnata nel progetto di ricerca weplat , focalizzato in particolar modo sul welfare.
Che cos’è e come funziona il lavoro di piattaforma? Intervista a Ivana Pais
Quando pensiamo a lavoratrici e lavoratori che usano le piattaforme per le loro attività la nostra mente va subito ai rider, uomini e donne che sfrecciano su biciclette e motorini munite di cubi colorati per portare pizze, sushi e panini dai ristoranti alle case dei clienti e che negli ultimi anni hanno fatto emergere la necessità di adottare regole e tutele ad hoc.
Ma il lavoro di piattaforma si svolge anche e soprattutto lontano dalle strade delle città per rispondere alle esigenze di cura ad ampio spettro: baby sitter, medici, psicologi trovano i loro clienti e pazienti online.
Dalla mancanza di tutele alla maggiore accessibilità dei servizi, il panorama di rischi e opportunità è ampio e le logiche di piattaforma cambieranno, o stanno già cambiando, anche le formule tradizionali di domanda e offerta, tanto da portare Ivana Pais al parallelismo con l’impatto avuto con l’introduzione della catena di montaggio.
Proprio per l’ampia portata delle dinamiche descritte servirà arrivare a una regolamentazione del fenomeno che oggi è ancora lontana: un primo passo a livello europeo è stato già fatto con una direttiva ad hoc, ma in questi casi la pratica va ben più veloce della teoria.
Non a caso per Ivana Pais qualsiasi passo normativo dovrà essere compiuto dopo un’attenta fase di studio delle dinamiche già esistenti.
“Io credo che per arrivare alla regolamentazione sia fondamentale prima aver consapevolezza del fenomeno.
Se vediamo finora in Italia si è intervenuti esclusivamente sul lavoro dei rider proprio perché la visibilità pubblica di quella professione ha favorito un intervento di protezione dei diritti del lavoratore”.
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Pro e contro del lavoro di piattaforma: il futuro dei lavoratori e delle lavoratrici tra sfide e opportunità
Ma quali sono le dinamiche da mettere sotto la lente di ingrandimento? Sul piatto della bilancia ci sono diversi pro e contro che toccano più dimensioni: i lavoratori e le lavoratrici, i clienti e le piattaforme stesse.
Accanto alla necessità di raccontarsi sulla piattaforma, con una portata importante di “lavoro non retribuito”, per usare le parole di Pais, c’è la possibilità di accedere a un panorama di opportunità ben più ampio, soprattutto sul fronte dei servizi di cura che non trovano sempre una adeguata risposta nel sistema di welfare pubblico o che trovano nuove forme online.
“Ci sono servizi medici, di consulenza psicologica che si stanno diffondendo proprio perché sono servizi in remoto, questo apre a nuove fasce di popolazione che non usufruivano di quel servizio in passato e ora che hanno la disponibilità del servizio online invece usufruiscono di quel servizio.”
La tempestività della risposta, a dispetto dei lunghi tempi di attesa della Sanità Pubblica, è uno dei vantaggi riconosciuti da chi ne usufruisce.
Ma i benefici non sono solo pratici sia per chi si rivolge alle piattaforme per ottenere dei servizi, “il fatto che la consulenza psicologica sia in telemedicina, per esempio, riduce lo stigma”, sottolinea Pais, che per chi offre il proprio lavoro su una piattaforma:
“Drammaticamente abbiamo trovato molti medici in fuga da un sistema sanitario dove le condizioni di lavoro, lo sappiamo dalla cronaca, sono sempre più difficili per cui i medici stanno sperimentando la piattaforma come alternativa o altri medici che proprio hanno abbandonato la modalità tradizionale perché lì trovano condizioni di lavoro migliori rispetto al settore medico”.
Condizioni di lavoro che, per altri settori, sono da tenere sotto osservazione. Anche “i rischi sono molti e sono già molto evidenti”, sottolinea la docente.
Se si guarda al lavoro domestico, ad esempio, persiste il lavoro nero.
“L’avere una piattaforma digitale in cui tutto avviene in maniera visibile ha creato l’aspettativa che alla visibilità, alla trasparenza corrispondesse anche una possibilità di regolarizzazione dei contratti di lavoro. (...) Questo non sta avvenendo, noi abbiamo ancora oggi piattaforme che intermediano lavoro nero, stanno facilitando e agevolando lavoro nero, il tutto con nomi e cognomi visibili online”.
E anzi, paradossalmente la tendenza si fa ancora più marcata per una inconsapevolezza rispetto ai servizi acquistati.
Alla domanda “che contratto ha la persona che è venuta a fare le pulizie in casa?” Alcune famiglie, spiega Ivana Pais, rispondono:
“La piattaforma ha l’assicurazione, ha il contratto, avrà tutto, io non so bene quale sia ma io ho comprato un servizio attraverso un sito online, danno per scontato che ci sa una protezione”.
Il lavoro delle piattaforme tra opportunità manifesti e rischi ignoti
E alla lunga lista di elementi da monitorare c’è proprio il potere e l’oscurità che caratterizza le piattaforme, terzo elemento nei rapporti di lavoro che nascono online e che, pur essendo fondamentale, resta immerso nell’ombra.
Sono le piattaforme, infatti, che gestiscono le dinamiche in cui clienti e lavoratori si muovono pur non conoscendole mai appieno, che creano monopoli e oligopoli e che possono cambiare col tempo le condizioni, spesso più allettanti nella prima fase di diffusione, a cui gli utenti devono uniformarsi.
Ma, sottolinea Pais, “quando si elogiano o si criticano le piattaforme bisogna evitare di attribuire alle piattaforme stesse tutte le virtù o al contrario tutte le colpe”.
D’altronde, come sottolinea Airoldi nel suo libro Machine Habitus, i confini tra i comportamenti algoritmici e quelli umani non sono tracciabili e si ridefiniscono costantemente. E di questo aspetto, anche dal punto di vista normativo, non si può non tener conto, se nel futuro del lavoro, anche quello tradizionale, le piattaforme contribuiranno a costruire nuovi modelli.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Il lavoro di piattaforma è il futuro, sotto la lente rischi e opportunità: intervista a Ivana Pais