Il contribuente ha la possibilità di impugnare il provvedimento di risposta negativa all’istanza di interpello disapplicativo. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione
In tema di contenzioso tributario, è fatta salva la facoltà per il contribuente di impugnare il provvedimento di risposta negativa all’istanza di interpello disapplicativo delle società di comodo presentato ai sensi dell’articolo 37-bis del DPR n. 600/1973, vigente pro tempore.
A riguardo, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’articolo 19 del Dlgs n. 546 del 1992 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria.
Il provvedimento di diniego rientra tra questi in quanto atto teso a portare a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario.
Così ha statuito la Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 8412 del 28 marzo 2024.
Impugnabile il diniego all’istanza di interpello disapplicativo, un caso pratico
La vicenda processuale prende le mosse dal ricorso proposto da una società avverso il provvedimento del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate che aveva rigettato l’istanza di disapplicazione della normativa sulle società cd. di comodo, presentato dalla contribuente ai sensi dell’articolo 37-bis del DPR n. 600/1973, vigente pro tempore.
Il giudice di merito, in entrambi i gradi di giudizio, ha ritenuto il ricorso inammissibile. In particolare la CTR, nel confermare l’inammissibilità dei ricorsi proposti dalla società, ribadiva la natura di mero parere dei provvedimenti di diniego, come tali non impugnabili.
La società ha proposto ricorso in Cassazione, censurando la sentenza d’appello nel punto in cui ha dichiarato inammissibili i ricorsi avverso il provvedimento di diniego opposto all’istanza disapplicativa della normativa sulle società di comodo.
Il Collegio di legittimità ha ritenuto fondato il motivo di ricorso, rilevando in prima battuta che i provvedimenti di diniego degli interpelli disapplicativi, oggetto di causa, sono anteriori all’entrata in vigore del comma 7 dell’articolo 11 dello Statuto del Contribuente come sostituito, con decorrenza dal primo gennaio 2016, dall’articolo 1, comma 1, del Dlgs n. 156/2015.
La Corte di Cassazione ha chiarito prima di tutto che il provvedimento di diniego del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive di cui al citato art. 37-bis (soppresso dal Dlgs n. 128/2015), pur rientrante nelle tipologie elencate dall’articolo 19 del Dlgs n. 546/1992, è comunque un provvedimento con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario, in quanto tale facoltativamente impugnabile.
Si possono impugnare altri atti oltre a quelli espressamente indicati dalla normativa
In effetti, in tema di contenzioso tributario, è oramai principio consolidato che l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del Dlgs n. 546/1992 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria.
In altre parole, considerato che detto provvedimento non è presente tra quelli espressamente citati dall’art. 19 del Dlgs n. 546/1992, ne consegue che il contribuente ha il contribuente ha la facoltà, non l’onere, di impugnarlo e il mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare la pretesa tributaria in un secondo momento.
Quindi, la mancata impugnazione di un atto non espressamente indicato dal citato articolo 19 non determina la non impugnabilità della pretesa tributaria, che può essere successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso articolo.
In ordine all’efficacia degli atti con cui l’Amministrazione finanziaria risponde alle istanze disapplicative delle norme antielusive, giova ricordare che la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che l’omessa impugnazione dell’atto di diniego non pregiudica in alcun modo la posizione del contribuente, che ad esso non ritenga di adeguarsi, poiché si tratta – come detto – di atto privo di efficacia vincolante.
Infatti, in caso di risposta negativa, l’Amministrazione finanziaria ha sempre facoltà di rivalutare l’orientamento precedentemente espresso e il contribuente può sempre far valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico che gli venga notificato.
Diversamente, la risposta positiva impedisce all’Amministrazione – sempre che i fatti accertati in sede di controllo della dichiarazione corrispondano a quelli rappresentati nell’istanza – l’applicazione della norma antielusiva oggetto dell’interpello, in applicazione del principio di tutela dell’affidamento, che ha diretto fondamento costituzionale e carattere generale anche nell’ordinamento tributario, nel quale trova espresso riconoscimento nell’articolo 10 della legge n. 212 del 2000 (in tal senso cfr. Cass. n. 12150/2019).
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